MOLFETTA - Il 31 gennaio si festeggia don Bosco, san Giovanni Bosco (foto). Non siamo in pochi dello Greatest Generation a ricordare quando a Molfetta giunse, molti anni fa, il primo salesiano: don Ferrara. Avuto in regalo (o in prestito non lo abbiamo mai saputo) un lembo di terra e un sottoscala adiacente allora alla periferia della città, là dove ora sorge il quartiere san Giuseppe, quando da quelle parti vi lavoravano i “vaccari” con le loro vacche, maiali, pecore e galline.
Don Ferrara iniziò il percorso alla ricerca di “giovani di strada” nello spirito di don Bosco. Noi ragazzi ci recavamo oltre il passaggio a livello (tutt'ora esistente) allora custodito da una famiglia di “vaccari”, che ci permetteva di inoltrarci oltre la ferrovia, quindi in aperta campagna, lasciando il paese alle nostre spalle, per andare alla ricerca e alla raccolta dei fusti d'erbe chiamata “acqua e mir” perché masticandoli fuoriusciva un liquido dal sapore simile: era il nostro dissetante e divertimento pomeridiano.
Si giocava per strada e costruivamo palle di stracci o di carta per fare palloni, si giocava a piedi nudi per non rovinare le scarpe e non fare arrabbiare i genitori. Un giorno ci fu un passaparola “di un prete che cercava di mettere insieme gruppi di ragazzi per creare una forza sportiva e di preghiera”. Con reticenza ci recammo da “quel prete” che ci accolse con panini alla “cotognata” (quadrini di marmellata) e, con la raccomandazione paterna di fare molta attenzione. Ci fu consegnato un pallone di vero cuoio, delle magliette e dei calzoncini. Indescrivibile la nostra gioia: panini alla marmellata, pallone e accessori, e un campaccio o pietraia tutta per noi. Per giorni lavorammo per rendere quella pietraia un campo di pallone e, poi tutti riuniti in silenzio, pregavamo san Giovanni Bosco e Maria Ausiliatrice a cui il santo era devoto.
Nel frattempo don Ferrara, ci raccontava la vita di don Bosco e di sua madre Margherita, anche con illustrazioni varie. Tutto ciò affascinava noi ragazzi. Si recitavano le preghiere della sera sempre in campaccio, poi le funzioni serali giù nella cripta, dove si allestiva un altare per la messa e subito dopo smontato per far posto a un biliardino e un tavolo da ping pong. Lavorare, giocare e pregare: era questo il nostro motto.
Nel frattempo i ragazzi che frequentavano questo centro che chiamavamo già “Oratorio don Bosco,” aumentavano sempre più. Il sottoscala ci procurava guai a non finire quando pioveva. Non essendo riparato, si allagava fin dalle prime piogge e con regolarità quando pioveva d'inverno. Tutti noi ragazzi, con don Ferrara in testa, con secchi e scope per pulire quella che era la nostra chiesa e la sala giochi. Anche molti genitori, convinti e assicurati della buona opera dello spirito salesiano di don Bosco, iniziarono a frequentare l'oratorio, facendo oblazioni e donando tutto quello che poteva essere utile alla buona riuscita delle opere in svolgimento nell'ambito dell'oratorio stesso.
Molto lentamente o molto velocemente a pensarci oggi, con il passare degli anni, con la campagna che veniva sostituita da palazzi sempre più numerosi, si iniziò a costruire la parrocchia e la chiesa di san Giuseppe che diede il nome al quartiere. Noi Greatest Generation ormai adulti e avviati alla vita lavorativa o di studio, fummo sostituiti dalle nuove generazioni ora ben visibili in un Centro Oratoriano Don Bosco, completamente diverso da quello in cui crescemmo e maturammo nello spirito di don Bosco, il santo dei giovani.
Non ci siamo dimenticati inoltre di quando, dal 1° al 31 gennaio di ogni anno, in onore di don Bosco, don Ferrara ci spronava a compiere una buona azione quotidiana e a trascriverla su foglietti bianchi che venivano raccolti insieme in un contenitore di cartone ogni sera dopo le preghiere. La notte del 31, in compagnia anche dei genitori tutti, durante i canti celebrativi per la festa di San Giovanni Bosco, venivano bruciati tutti i foglietti con le nostre buone azioni con un grande falò di fiamme e fumo che si alzava alto verso il cielo, trasportando con se le nostre buone azioni.
Altri tempi, tempi antichi.
Chi era S. Giovanni Bosco
Poche righe su di un Santo, Giovanni Bosco, conosciuto e venerato in tutto il mondo, nei suoi Oratori di lavoro e preghiera.
Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 ai Becchi, frazione di Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco). Famiglia di poveri contadini, rimase orfano del papà, Francesco, a soli due anni. Un fratello di nome Antonio.
Mamma Margherita, nella chiesa, aveva imparato a pregare, e lo insegnava ai suoi figli. A differenza del fratello, diventato un contadino rozzo, Giovanni cresce delicato e gentile, portato ad aiutare i poveri, i deboli. Studia i trucchi dei prestigiatori, i segreti degli equilibristi. Una sera di domenica, Giovanni dà il primo spettacolo ai ragazzi delle case vicine. Fa miracoli di equilibrismo, giochi con barattoli e casseruole sulla punta del naso. Poi balza sulla corda tesa tra due alberi, e vi cammina tra gli applausi dei suoi piccoli spettatori. Ripete la predica sentita alla messa del mattino, e invita tutti a pregare. Giovanni è sicuro che per fare del bene a tanti ragazzi, deve studiare e diventare prete. Giovanni lavora di giorno e studia di notte, per non litigare con suo fratello Antonio.
Mamma Margherita cerca di aiutare Giovanni, senza per questo trascurare Antonio. Dopo il matrimonio di Antonio, Giovanni torna a studiare e per mantenersi impara a fare il sarto, il fabbro, il barista, dà ripetizioni sempre con l'aiuto di mamma Margherita che gli sarà sempre a fianco. A vent'anni Giovanni entra in seminario: sei anni di studio intensi, che lo portano al sacerdozio.
5 giugno 1841. L'arcivescovo di Torino consacra prete Giovanni Bosco che finalmente può dedicarsi ai ragazzi disperati.
Va a cercarli per le strade di Torino, facendosi un'idea delle condizioni morali dei giovani. Mamma Margherita fu la sua prima benefattrice. Lasciò la casa per venire a fare da madre ai ragazzi raccolti da don Bosco, vendette tutto ciò che aveva di bene gelosamente nascosto per aiutare suo figlio in difficoltà. I ragazzi raccolti da don Bosco diventavano sempre più numerosi.
Don Bosco rompe gli indugi e inizia a istituire negli Oratori dove aiutato dai suoi fidati, costituisce laboratori di sarti, calzolai, avviando i ragazzi al lavoro e non dimenticando le preghiere. Le difficoltà sono enormi. Dopo i calzolai e i sarti, vengono i legatori, i falegnami, i tipografi, i meccanici. Nascono così le Congregazioni Salesiane.
Don Bosco muore all'alba del 31 gennaio 1888. Ai salesiani che vegliavano attorno al letto, mormorò nelle ultime ore: “Vogliatevi bene come fratelli. Fate del bene a tutti, del male a nessuno”.
Oggi, le opere create da San Giovanni Bosco sono sparse in tutto il pianeta. Quando qualcuno gli fece notare quanto stava accadendo per merito suo e con l'aiuto di mamma Margherita, don Bosco interruppe bruscamente dicendo: “Io non ho fatto niente. E' la Madonna che ha fatto tutto”.
A distanza di 120 anni, don Bosco ha un messaggio da rivolgere ad ogni giovane:
«Io ero una persona come te. Ho voluto dare un senso pieno alla mia vita. Con l'aiuto di Dio ho rinunciato ad avere una famiglia mia per diventare papà, fratello, amico di chi non aveva papà, fratello, amici.
Se vuoi essere come me, andremo insieme a spendere la vita in una favela sudamericana, tra i lebbrosi d'India, o nella periferia di una città italiana, dove troveremo tanti poveri, anche se nascosti: poveri di affetto, di senso della vita, poveri che hanno bisogno di Dio e di te per vivere. Ma se anche non ti senti di rischiare la vita com'io l'ho rischiata, ti ricordo una verità importantissima: la vita, questo grande dono che Dio ci ha dato, bisogna spenderla, e spenderla bene. La spenderai bene non chiudendoti nell'egoismo, ma aprendoti all'amore, all'impegno per chi è più povero di te».