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Molfetta, allarme sicurezza: aggressione a due agenti della Polizia Municipale
27 settembre 2012

MOLFETTA - Un’aggressione gratuita, che delinea ancora una volta il clima di paura e tensione che si respira a Molfetta, tra incendi di auto, furti di appartamento e scippi.  Nella tarda serata di ieri un maresciallo e un agente del Corpo di Polizia Municipale sono stati aggrediti da un minore nei pressi della fontana della parrocchia san Giuseppe (Corso Fornari, nei pressi della villetta).
È ormai evidente che a Molfetta la microcriminalità e le prepotenze non hanno più argine se nemmeno si piegano e placano alle Forze dell’Ordine. Gli stessi cittadini iniziano a temere per la propria incolumità fisica.
I due agenti erano stati chiamati per questioni di ordine pubblico perché il minore, già noto alle Forze dell’Ordine, stava creando turbative. Tuttavia, presentatisi sul luogo, il minore avrebbe aggredito i due agenti tout court con una serie di colpi. Necessarie le cure sanitarie per entrambi i vigili: al primo una prognosi di 5 giorni per un pugno ricevuto al volto, al secondo 15 giorni di prognosi e una TAC perché si temeva che il colpo ricevuto e la successiva caduta per terra avesse provocato lesioni celebrali. Il minore è, però, fuggito.
Sono già in corso le indagini, non è esclusa l'adozione di misure cautelari nei confronti dei presunti aggressori secondo quanto fissato dall’art.274 del Codice di Procedura Penale.
 
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E' vero che la debolezza morale, prima ancora che la politica, fu generale allora in Italia, non solo tra gli uomini di cultura e della classe dirigente di ispirazione generale. Occorrerebbe dare largo spazio anche ai cedimenti al fascismo delle alte gerarchie ecclesiastiche e, per quel che riguarda il Vaticano, di palesi manifestazioni di appoggio. Pio XI, successo nel gennaio 1922 a Benedetto XV, bloccò l'interessante esperienza che i cattolici democratici stavano facendo nel Partito Popolare, mediante ripetuti richiami alla “vita individuale” del cristiano, con una “politica della apoliticità” che andò a favore del fascismo. In un discorso ai giovani di Azione cattolica, che in molte zone erano battaglieri avversari del teppismo fascista, Pio XI così indicava le direttive d'azione nel settembre del 1922: “…..Non politica, non economia sociale, dico perfino non cultura, ma prima di tutto la formazione cristiana della vita individuale……….. .” In merito ai fascisti, quelli che facevano politica purtroppo vincente, l'”Osservatore Romano” scriveva il 9 novembre 1922, giustificando le “intemperanze” delle camicie nere: “…….. bisogna essere ragionevoli, bisogna essere realisti. La immissione, come fu preannunciata, del Fascismo nello Stato, fu cospicua e potente che accadde come in un enorme getto d'acqua in un recipiente: il liquido non si ferma agli orli, ne trabocca e balza e schizza tutto all'intorno in una esuberanza momentanea……..E' fenomeno di esuberanza politica transuente quanto storicamente inevitabile…i capi, i dirigenti spiegano uno zelo repressivo e disciplinare lodevole……”. Dopo il delitto Matteotti il regime fascista ricevette dal Vaticano un autorevole avallo. Il segretario di Stato, cardinal Gasparri, ricevendo il corpo diplomatico dichiarava tra l'altro: “….rovesciare il governo Mussolini vorrebbe dire mettere il paese a ferro e fuoco; licenziare le camicie nere, vorrebbe dire lasciare scorazzare per l'Italia 300.000 giovanotti di cui sarebbe impossibile reprimere i misfatti. Cerchiamo di essere pazienti e restiamo calmi. E' il desiderio di Sua Santità.” Dall'avallo alla fiducia, dalla fiducia al ringraziamento delle alte gerarchie cattoliche verso il fascismo; un regime che, secondo gli organi ufficiali del Vaticano , “aveva restaurato i valori morali della nazione”. Rimessi i crocifissi sulle pareti delle scuole e dei tribunali, l'ateo e la massonica Casa Savoia erano diventati i “protettori” di una religiosità tutta formale. A conclusione dell'Anno Santo 1925, nell'allocuzione del 14 dicembre, Pio XI ringraziò le autorità fasciste con queste parole: “Di questo Anno Santo amiamo esprimere anche in questo così solenne consesso il Nostro grato compiacimento, che vuol pure estendersi a tutto quello che da qualche tempo si viene facendo in favore della Religione e della Chiesa………”. Proprio all'inizio di quell'Anno Santo, il 3 gennaio, Mussulin aveva dato un taglio netto con le istituzioni democratiche, abolendo i partiti e rivendicando al solo fascismo la rappresentanza politica degli italiani. Tra lo sbarcato e il risoluto, tra lo strafottente e il retorico, tra il viscidume lusingante e la maschia sicurezza di essere “capo”, anzi “duce”, il dittatore si insediava sull'antico vizio italico della rinuncia alle proprie responsabilità, del servilismo. L'autorità si rivestiva della maestà del concetto sacro e Mussulin vi applicava le sue “gerarchie”. – ("E CI STAV MUSSULIN", U' PURT ACCHESSOR STAV FATT, COMPLETAT E IN FNZION”, ERRNEV SCIEVN E VNEVN, ADDAVER!)
Come è stato possibile, insomma, che non si vedessero i pericoli del neofascismo palese e strisciante, mentre si facevano tante professioni di antifascismo e tante celebrazioni della Resistenza? Non bastano tuttavia dichiarazioni di principio, o appelli generici alla “partecipazione democratica alla vita pubblica”, per “costruire insieme il bene comune”. Di queste dichiarazioni e di questi inviti sono pieni i cinque decenni del post-fascismo. Con quali risultati? “GLI ANZIANI CI DICONO SEMPRE "E CI STAV MUSSULIN"; per non parlare dei “giovani”!! Si succedono violenze in tutte le città italiane, si continuano a sbandierare impunemente slogans e parole d'ordine del regime fascista. Perché? Perché la gente non reagisce in modo globale, definitivo? C'è una verità che dobbiamo dirci: perché manca la convinzione. Sotto l'etichetta democratica c'è in giro ancora molta mentalità di derivazione fascista. C'è qualunquismo, c'è la fuga dalle proprie responsabilità, c'è il desiderio, o l'abitudine, di lasciare ad altri la “politica sporca”. Non sembri pretenzioso o sfuggente, se diciamo che si tratta di motivi culturali. Per troppo tempo la cultura è stata intesa come campo di esercitazione di pochi intellettuali. E anche quando, in questo dopoguerra, la cultura “impegnata” ha cercato di “andare verso il popolo”, è riuscita a coinvolgere una parte in un discorso di partecipazione all'attività politica, ma non a cambiare le prospettive, soprattutto non a far diventare i ceti popolari protagonisti della propria elevazione civile. Generalmente, si è continuato ad “uscire” dai ceti popolari per diventare intellettuali e quindi classe dirigente, attribuendosi il compito di fare cultura, di “distribuire” cultura agli “altri” (di spezzare “il pane del sapere”, si diceva un tempo e si dice tuttora). Non ha giovato gran che la diffusione quantitativa degli strumenti di conoscenza; la scuola d'obbligo, l'aumento del numero degli alunni che frequentano le scuole superiori, la liberalizzazione delle facoltà universitarie con accesso aperto a tutti, l'industria culturale con il libro a basso prezzo, i periodici di divulgazione scientifica, la radio, la stampa, la televisione…………la stampa, la televisione!!!!!!!!!!!!! Cattive maestre???

Viviamo in un mondo in cui il virtuosismo ha cessato di essere appannaggio di pochi eletti ed è divenuto esperienza di massa. Ciascuno è chiamato a farsi funambolico artefice della propria vita, in una sorta di bricolage biografico, quotidianamente alle prese con il rischio: nulla è più garantito, così come nulla può più essere dato per scontato in rapporti sentimentali familiari e sociali sempre esposti alla possibilità di essere “disdetti”. La nuova cittadinanza repubblicana, viene formandosi il profilo minaccioso del “cittadino brutto e cattivo”: barricato a difesa del proprio fragile (o consolidato benessere), non sa pensare la ”sicurezza” se non in termine di ordine pubblico; intollerante nei confronti di qualsiasi intervento dello stato nei suoi “affari”, ne invoca l'inflessibilità nei confronti dei “diversi” e sogna quartieri presidiati giorno e notte dalla polizia. Ecco il richiamo all'uomo forte, padre e padrone di tutti….. “"E CI STAV MUSSULIN". La manipolazione dell'opinione è ancora in gran parte in mano ad una certa “cultura dominante” staccata dalla realtà popolare: vedi il non lontano “berlusconismo” in fase di rinascità, stando ai “si dice” e ai “ma”. E la gente comune vaga, con giudizi apparentemente propri, me nella realtà tratti dalle considerazioni messi lì con l'aria più innocente e più seria, dall'editoriale di un quotidiano o da un commento del telegiornale, da una “risposta al lettore” stesa con fare bonario a dall'analisi di un “esperto”, magari puntigliosa ed esauriente, su questo o quell'altro aspetto di una determinata situazione. Il regime fascista nella sua interezza può essere considerato una gigantesca scuola di conformismo, di qualunquismo, di sottosviluppo civile e culturale; i valori erano sempre manipolati, distorti, troncati sul nascere. Una scuola la cui pesante eredità continua ad agire, con vischiosa tenacia, nella vita pubblica e privata del nostro paese. Sono stati scritti molti libri sull'avvento del fascismo. E tuttavia vi è troppa gente che non sa ancora come e soprattutto perchè il fascismo venne. E' stato detto che il fascismo ottenne il potere più per debolezza altrui che per forza propria. E c'è molto di vero. Così come il neofascismo di oggi ha potuto crescere in misura tragicamente preoccupante più per il “via libera” concesso da certe forze politiche che per propria capacità persuasiva sulla gente. La mancanza di idee-forza, peggio, il vuoto politico viene sempre riempito da iniziative di destra, reazionarie e strangolatrici di libertà. Quando si dice che la gente è stanca di disordini e di convulsioni sociali, si dice una “falsa verità”. La gente vuole certo tranquillità, lavoro, relazioni sociali regolari, ordinate, senza il pericolo di una rivoltellata o di una bastonatura all'angolo della strada. Ma la verità è che la gente si è stancata appositamente, con un crescendo di tensioni e di violenze volute e programmate. La gente si trova d'accordo e applaude all'UOMO della PROVVIDENZA: a quale prezzo? E il fascismo non è purtroppo, una fase superata. Fino a quando non si abbatte questo distacco tra cultura e popolo, fino a quando tutto il popolo non diventa protagonista della sua vicenda in Italia restiamo in balìa di un sostanziale fascismo.





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