Molfetta è ok, friendly, tollerante. Non si sono mai registrati episodi gravi né mi sono sentito mai discriminato. Ma le cose non sono nemmeno semplici come si è portati a credere: se c’è un politico o un attore che si dichiarino omosessuali ce ne sono altri mille che non lo fanno e se sei un pezzo grosso magari la gente e la famiglia ti coccolano e ti acclamano ma se sei un operaio o uno studente no. Marco (nome di fantasia) è un ragazzo alto e magro, 20 anni passati da poco, una passione per l’informatica e una vita normale fatta di amori e amici. Da 2 anni è fidanzato con Giuseppe, che è un anno più piccolo di lui e mentre addenta un kebab che annaffia con lattine e lattine di Coca Cola mi spiega che Molfetta è una città tollerante, che la comunità LGBT (sigla che designa le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender) è nutrita e serena e che esistono in città numerosi luoghi di incontro, frequentatissimi anche da altre parti della provincia. L’ho incontrato una sera, per caso, grazie ad amici in comune e quando ha preso a parlare con appassionata disinvoltura di diritti e battaglie di chi ama lo stesso sesso, mi sono subito posto da eterosessuale una domanda facile, facile: come se la passano ragazzi e ragazze omosessuali in una città di provincia? Vedono i propri diritti riconosciuti o si sentono discriminati? Riescono a vivere la propria inclinazione alla luce del sole? LA VIA CRUCIS DI MARCO Marco si è dichiarato a 16 anni e da quel momento è iniziata per lui una via crucis asfissiante e dolorosa fatta, di psicologi, sacerdoti, consulenti vari e parenti che hanno cercato di metterlo in guardia dal grave “errore” e di riportarlo con le buone e le cattive sulla “retta” via. Questa è una costante in tutte le storie nelle quali mi sono imbattuto nel corso dell’inchiesta: chi trova il coraggio di dichiararsi da ragazzo/ragazza, deve misurarsi con il rifiuto e l’incredulità della famiglia, convinte che il loro caro sia stato fuorviato da travisamenti e manipolazioni varie, magari messe in atto da qualche malintenzionato. E’ stato così anche per Marco: “giocavo a calcetto con i miei amici e a un certo punto ho preso la cotta per un ragazzo che veniva spesso al campo. Ho provato attrazione per lui, punto e basta. Abbiamo anche avuto una breve storia insieme e a quel punto ho deciso di dirlo ai miei genitori. Non mi andava di portare la cosa per le lunghe e a quell’età non sei portato molto ai compromessi e comunque l’ho trovata una cosa naturale e insomma, ho fatto coming out, mi sono dichiarato. Mio padre ha minacciato di cacciarmi di casa, mia madre ha detto che mi drogavo e per questo avevo sviluppato questo tipo perverso di depravazione. Sono stato così trascinato da uno psicologo che dopo avermi chiesto un po’ della mia vita personale e dei miei hobby ha detto che ero assolutamente normale e che il mio era un semplice orientamento sessuale che non aveva a che fare con nessuna distorsione comportamentale. Ma mio padre mi ha minacciato di mandarmi a lavorare in campagna e poi mi hanno costretto a rivolgermi a un altro psicologo, un altro e un altro ancora e poi a dei sacerdoti: ne ho incontrati tre e devo dire che sono stati piuttosto gentili e comprensivi”. Per fortuna di Marco e di tutti gli altri, in questi casi compare sempre o quasi, un membro della famiglia con tutte le rotelle a posto che mette un po’ di ordine e chiede anche agli altri famigliari di riallacciare la spina del cervello. “Nel mio caso è stato mio nonno: ha preso mio padre in disparte e gli ha detto di finirla, che io ero un ragazzo assolutamente normale e che non c’era assolutamente nulla di cui vergognarsi. Da quel momento le cose sono iniziate a migliorare”. Poi un giorno di due anni fa Marco ha vinto la sua semplicissima ma terribile e complicata battaglia: “mamma mi ha chiesto di presentargli il mio fidanzato, il ragazzo con il quale mi stavo frequentando: Giuseppe. Ora lui è di casa e in famiglia è tornata l’armonia, ma non tutte queste storie hanno un lieto fine e il rifiuto che hai patito dai tuoi, lascia comunque degli strascichi”. FABIO HA UNA RAGAZZA, AMA ANGELO, MA NON ROMPE IL RAPPORTO E’ stato Marco a presentarmi Angelo, uno studente universitario a colari problemi. Forse servirebbe un’associazione composta da genitori che hanno figli gay. Solo chi ci è passato e ora accetta la sessualità dei figli può capire veramente come comportarsi e fornire il supporto giusto a chi invece è nel pallone. Credo sarebbe uno strumento importante”. Jet che si è dichiarata a 16 anni e non ha mai avuto nessun problema in famiglia, mi ripete le stesse cose: “Molfetta per fortuna non è una città omofoba e almeno per quanto mi riguarda non ho mai sentito, visto e subito nessun atto di omofobia. Io ho 29 anni, quasi a 16 anni ho fatto il mio coming out in famiglia e vivo tranquillamente il mio essere lesbica a Molfetta, Bari e in qualsiasi città mi sposto. Purtroppo nella società italiana gli additamenti avvengono per qualsiasi minoranza, non solo per l’omosessualità quindi l’importante è vivere bene con se stessi, questo è il primo passo, purtroppo ci sono omosessuali che non si accettano, vuoi per la mentalità chiusa familiare che magari hanno portato il soggetto a non includere nella normalità due persone dello stesso sesso che si amano, vuoi anche per la società che ancora ridicolizza questa realtà”. ANTONELLA, RIFIUTATA DAL PADRE Molfetta città friendly, quindi, ma Antonella chiosa che “questa tolleranza è più di facciata che interiore. La prima frase di una persona che viene a sapere del tuo essere gay è ah ma lo sai che anch’io ho un amico gay? Ricorda un po’ quelli che vogliono tranquillizzare chi ha una grave diversità da farsi perdonare”. Anche Antonella ha una storia difficile alle spalle: i genitori non hanno accettato il suo coming out e anche per lei è scattata la solita processione da psicologhi e parroci: “il momento più difficile è stato quando mio padre mi ha detto che non ero più sua figlia. Lo ha detto guardandomi negli occhi con un fare glaciale. E’ stato per me un grandissimo dolore sentirsi dire una cosa del genere dall’unico uomo che davvero ho amato e amo nella mia vita”. Ma oggi anche lei è stata accetta e può vivere liberamente la sua sessualità. Sia Antonella che Angela sono state a luglio al gay pride di Lecce. A chi dice che ora i gay soffrono di manie di protagonismo assolutamente fuori luogo Jet risponde chiaramente: “in realtà il gay pride non è solo quello che vi fanno vedere in tv ma c’è molto altro. Non bisogna avere paura della diversità perché non c’è nulla di diverso: amiamo come amate voi, facciamo le faccende giornaliere come qualsiasi altra persona. Un omosessuale è un medico, un falegname, un netturbino, un insegnante, un barista, un parrucchiere insomma una qualsiasi figura utile alla società, quindi non giudicate l’orientamento perché l’amore non ha sesso e quando si ama non ci sono limiti”. Angela invece rivendica la possibilità di esibirsi: “perché una coppia eterosessuale in pubblico può sbaciucchiarsi senza che qualcuno dica nulla e se lo fa una coppia omosessuale scoppia lo scandalo? O tutti dovrebbero avere il diritto di farlo, o nessuno”. Ma poi ammette sul gay pride: “che, personalmente, preferirei una sfilata gioiosa sì, ma meno trasgressiva ed esplicita. Il gay pride dovrebbe essere una manifestazione di protesta verso la società e i diritti che non concede, dell’orgoglio di essere gay, ricca di contenuti e analisi come lo è stata a Lecce, quando è intervenuto anche il governatore Nichi Vendola. Molti però vanno al gay pride solo per rimorchiare o esibirsi”. In chiusura di serata Antonella mi racconta che una coppia di molfettesi che vivono insieme da anni in città, ha deciso di sposarsi all’estero. Purtroppo mentre scrivo, i due sono in viaggio dall’altra parte del mondo e non posso incontrarli per poter raccontare la loro storia. Molto probabilmente sono i primi omosessuali molfettesi a sposarsi. Quando finisco di chiacchierare con Angela e Antonella, faccio una passeggiata sul Porto. E’ notte fonda e le strade non sono deserte, ma in compenso c’è una gigantesca luna che illumina a giorno il cielo. Penso che Antonio, il ragazzino gay appassionato di geografia, saprebbe sicuramente spiegarmi da dove razza è uscita fuori una luna così grande e mi rincuoro pensando che forse anche lui un domani, come quella coppia di molfettesi prossima alle nozze, potrà mettere su famiglia, fare pace con se stesso e trovare la propria strada.un passo dalla laurea e dall’aria del tipo veramente in gamba. Quando l’ho incontrato, mi è apparso felice come una pasqua: Fabio, il suo ragazzo, ha appena deciso di lasciare la sua fidanzata storica, di fare coming out e di mettersi stabilmente con Angelo andando a vivere con lui a Milano. “Ho conosciuto Fabio in un negozio di musica a Bari: siamo entrambi appassionati di dischi in vinile e quando l’ho visto frugare in un cesto, beh è stato subito colpo di fulmine! Lui vive in un paese dell’entroterra barese, fa il cameriere e non ha mai avuto il coraggio di uscire allo scoperto. Per questo è fidanzato da tanti anni con una ragazza che in realtà non ama e ora ha deciso di dire a tutti la verità e di raggiungermi a Milano. Dopo la laurea lavorerò lì: ho giù un accordo con un azienda e vivremo insieme”. Angelo mi ha dato subito il numero di Fabio dicendomi che lui avrebbe potuto raccontarmi come è molto più difficile essere omosessuali in altre città della Puglia, magari più piccole e chiuse. Ho tenuto per un po’ il suo contatto ma quando mi sono deciso a chiamarlo è stato troppo tardi: i due si sono lasciati all’improvviso. Angelo mi ha spiegato che Fabio, codardamente, ha deciso di continuare la sua doppia vita fatta di ipocrisia e bugie e si è rimangiato la parola data, decidendo di restare con la sua ragazza e di tenersi il lavoro da cameriere nel suo piccolo paese. Qualche giorno dopo mi è arrivata anche la versione di Fabio. In una lunga, amara mail ha confessato che la “vita spesso, purtroppo molto spesso è fatta di compromessi. Dovevo decidere se mandare in frantumi la mia famiglia, deludere a mordi te una ragazza alla quale comunque ho voluto bene, di lasciare una scia di disastri alle mie spalle e andarmene a Milano ma, ecco non ce l’ho proprio fatta. Anche se ho una laurea resto a fare il cameriere nel mio paese e anche se amo Angelo mi tengo Francesca. Gli avevo proposto un amore imperfetto ma genuino. Ha detto no”. Che non è facile vivere la propria omosessualità dappertutto senza imbarazzi come succede invece a Molfetta, me lo ha confermato anche Gianni che abita a Gioia del Colle. “Nel mio paese di 28.000 abitanti sarebbe un serio problema camminare mano nella mano con un mio ipotetico fidanzato. Nessuno si azzarderebbe a farlo a Gioia del Colle (Bari). Si rischia di essere etichettati ed emarginati a vita. La mentalità della quasi totalità degli abitanti è rimasta ferma agli anni Cinquanta e il pregiudizio è assai difficile da sradicare. Per di più mi sento discriminato ogni giorno della mia vita, quando sento persone a me vicine utilizzare termini come “frocio” e “ricchione” per denigrare una persona, ma ho imparato a convivere con tutto questo. A volte mi è capitato di essere insultato per la mia omosessualità, ma per fortuna sono una persona forte e quasi tutto quello che mi cade addosso scivola con altrettanta velocità”. Quando la situazione è così difficile non resta che affidarsi ai social network per mettere in piedi contatti e amicizie: “ bazzico soprattutto Facebook e lì ho parecchi amici e conoscenti gay. Su Facebook frequento un gruppo di circa cento persone (tutte gay) dove si parla di tutto e ognuno è libero di dire la propria o di raccontare la propria esperienza (facciamo anche cose più frivole, come contest musicali o cinematografici). Frequento di rado invece, blog e siti a tematica omosessuale (qualche hanno fa hanno provato a inventare una sorta di Facebook omosessuale ma ha avuto poco successo)”. UNA SERATA ALL’EREMO Quando Marco ha saputo che stavo scrivendo un’inchiesta sul mondo Lgbt in città, mi ha subito suggerito di passare un giovedì sera all’Eremo. Il locale, che si trova sulla litoranea tra Molfetta e Giovinazzo, ha organizzato per tutta l’Estate serate alle quali ha partecipato massicciamente buona parte della comunità omosessuale della città, per non dire della provincia. Di queste serate me ne ha parlato anche una simpaticissima ragazza lesbica che mi ha chiesto di usare per lei, come nome fasullo, il folkloristico, Jet. “Esistono serate organizzate da locali gay ma quelle dell’Eremo sono un’altra cosa. Sono serate friendly … cioè qualsiasi individuo aperto mentalmente è benaccetto. Dove ci si incontra dove ci si conosce... insomma nulla di strano e diverso da come funziona nel mondo etero: ci sono chat social network passaparola amicizie e anche lo sguardo in un bar dove poi da cosa nasce cosa” . All’organizzazione di questo serate ha partecipato anche l’Arcilesbica di Bari e hanno avuto per tutta l’estate un grande seguito di presenze, ovviamente non solo tra la comunità Lgbt. Quando arrivo all’Eremo c’è già della musica e tutti stanno aspettando l’esibizione di un gruppo. Il locale è pieno di ragazzi, molti sono di mia conoscenza ma tanti altri no, e mi sembra subito ci sia una forte presenza di non molfettesi. Al bar ho chiacchierato con due ragazzi che poco prima ho visto baciarsi. Quello più alto e magro mi ha detto di essere di Terlizzi e di aver conosciuto proprio a una di queste serate quello che attualmente è il suo fidanzato e cioè il ragazzo biondo che gli sta accanto in quel momento. Iniziamo a parlare di cose frivole: la pizza più buona che si può mangiare a Molfetta, quanto bella è la piazzetta alle spalle del Duomo, che i nostri panifici sono fantastici. Poi il “biondo” mi parla di una spiaggia frequentata a Molfetta da diversi omosessuali. Quando gli chiedo dove si trova tira fuori uno smartphone e mi mostra alcune foto scattate con il suo compagno: si tratta di una striscia di spiaggia nei pressi del “Gavetone” e da battute e allusioni che seguono tra i due, intuisco che la zona non è estranea anche a fenomeni di prostituzione. Poi apprendo che le icone gay sono un po’ cambiate negli ultimi anni e che se Nichi Vendola resiste, altre come Madonna e Lady Gaga cedono il passo a star della tv come Chef Rubio. Dopo la seconda birra il discorso si inerpica sui diritti negati a gay e lesbiche. Il “biondo” ci sta raccontando di quanto secondo lui siano scoccianti i bambini sulla spiaggia quando l’alto e magro sorride fissandolo negli occhi e risponde: “che scoccianti o meno a me domani almeno un paio piacerebbe averli. Ma li voglio con il mio compagno, magari sposandomi pure, ma so bene che qui in Italia gli omosessuali non avranno mai diritti, soprattutto per il continuo intromettersi del Vaticano in cose che non gli competono. Dubito che in Italia potremo mai avere i matrimoni gay riconosciuti, il diritto all’adozione (e tanto altro)”. La serata scorre via veloce, conosco un sacco di gente simpatica e anche la musica è buona. Jet mi spiega che in città serate del genere, ma specificatamente a tematica gay, le organizza anche il lido Nettuno e che la cosa è buona ma implica anche un rischio: “quello della ‘ghettizzazione’ cioè andare in una serata prettamente gay, frequentata solo dai gay e alla quale possono accedere solo i gay. E’ un po’ pericoloso perché sottolinea una diversità che in realtà non c’è, perché essere gay è come avere i capelli rossi o biondi. Niente di strano! Comunque ormai gli omosessuali frequentano serate etero e viceversa, come ad esempio almeno nella nostra zona non ci sono bar, pub prettamente gay, ma si parla sempre di friendly”. MOLFETTA TOLLERANTE, MA DICHIARARSI È ANCORA DIFFICILE Non tutti hanno il coraggio e l’energia di affrontare uno scontro frontale con la propria famiglia. Antonio ha 17 anni, lo sguardo timido e una conoscenza impressionante della geografia. Quando ci conosciamo, parliamo un po’ di Bologna, dove ho studiato tempo fa e lui snocciola i nomi dei comuni che circondano il capoluogo emiliano con spigliata destrezza. E’ solo un ragazzino ma le sue parole sono gonfie di un disincantato risentimento: “è tutta una balla quella della tolleranza! Tolleranza di che cosa? La verità è che dove andiamo e andiamo, siamo considerati di serie B, gente che non è completamente normale. A me piace un ragazzo ma non posso dichiararmi perché se i miei amici e genitori lo scoprissero, verrei umiliato e messo da parte e questo non lo voglio. Starò zitto e andrò avanti così e domani si vedrà”. In realtà Angela, una ragazza sulla trentina, che incontro con Antonella, la sua fidanzata, in un bar vicino al porto, mi conferma che Molfetta è una città tollerante: “qui mi sono baciata e abbracciata con le mie varie fidanzate diverse volte e non è mai successo niente e devo dire che nessuna persona che è a conoscenza del mio orientamento sessuale mi ha mai discriminato. Posso immaginare che forse per i ragazzi può essere un po’ più difficile, ma di certo chi decide di venire allo scoperto trova una comunità amica che non ti fa particolari problemi. Forse servirebbe un’associazione composta da genitori che hanno figli gay. Solo chi ci è passato e ora accetta la sessualità dei figli può capire veramente come comportarsi e fornire il supporto giusto a chi invece è nel pallone. Credo sarebbe uno strumento importante”. Jet che si è dichiarata a 16 anni e non ha mai avuto nessun problema in famiglia, mi ripete le stesse cose: “Molfetta per fortuna non è una città omofoba e almeno per quanto mi riguarda non ho mai sentito, visto e subito nessun atto di omofobia. Io ho 29 anni, quasi a 16 anni ho fatto il mio coming out in famiglia e vivo tranquillamente il mio essere lesbica a Molfetta, Bari e in qualsiasi città mi sposto. Purtroppo nella società italiana gli additamenti avvengono per qualsiasi minoranza, non solo per l’omosessualità quindi l’importante è vivere bene con se stessi, questo è il primo passo, purtroppo ci sono omosessuali che non si accettano, vuoi per la mentalità chiusa familiare che magari hanno portato il soggetto a non includere nella normalità due persone dello stesso sesso che si amano, vuoi anche per la società che ancora ridicolizza questa realtà”. ANTONELLA, RIFIUTATA DAL PADRE Molfetta città friendly, quindi, ma Antonella chiosa che “questa tolleranza è più di facciata che interiore. La prima frase di una persona che viene a sapere del tuo essere gay è ah ma lo sai che anch’io ho un amico gay? Ricorda un po’ quelli che vogliono tranquillizzare chi ha una grave diversità da farsi perdonare”. Anche Antonella ha una storia difficile alle spalle: i genitori non hanno accettato il suo coming out e anche per lei è scattata la solita processione da psicologhi e parroci: “il momento più difficile è stato quando mio padre mi ha detto che non ero più sua figlia. Lo ha detto guardandomi negli occhi con un fare glaciale. E’ stato per me un grandissimo dolore sentirsi dire una cosa del genere dall’unico uomo che davvero ho amato e amo nella mia vita”. Ma oggi anche lei è stata accetta e può vivere liberamente la sua sessualità. Sia Antonella che Angela sono state a luglio al gay pride di Lecce. A chi dice che ora i gay soffrono di manie di protagonismo assolutamente fuori luogo Jet risponde chiaramente: “in realtà il gay pride non è solo quello che vi fanno vedere in tv ma c’è molto altro. Non bisogna avere paura della diversità perché non c’è nulla di diverso: amiamo come amate voi, facciamo le faccende giornaliere come qualsiasi altra persona. Un omosessuale è un medico, un falegname, un netturbino, un insegnante, un barista, un parrucchiere insomma una qualsiasi figura utile alla società, quindi non giudicate l’orientamento perché l’amore non ha sesso e quando si ama non ci sono limiti”. Angela invece rivendica la possibilità di esibirsi: “perché una coppia eterosessuale in pubblico può sbaciucchiarsi senza che qualcuno dica nulla e se lo fa una coppia omosessuale scoppia lo scandalo? O tutti dovrebbero avere il diritto di farlo, o nessuno”. Ma poi ammette sul gay pride: “che, personalmente, preferirei una sfilata gioiosa sì, ma meno trasgressiva ed esplicita. Il gay pride dovrebbe essere una manifestazione di protesta verso la società e i diritti che non concede, dell’orgoglio di essere gay, ricca di contenuti e analisi come lo è stata a Lecce, quando è intervenuto anche il governatore Nichi Vendola. Molti però vanno al gay pride solo per rimorchiare o esibirsi”. In chiusura di serata Antonella mi racconta che una coppia di molfettesi che vivono insieme da anni in città, ha deciso di sposarsi all’estero. Purtroppo mentre scrivo, i due sono in viaggio dall’altra parte del mondo e non posso incontrarli per poter raccontare la loro storia. Molto probabilmente sono i primi omosessuali molfettesi a sposarsi. Quando finisco di chiacchierare con Angela e Antonella, faccio una passeggiata sul Porto. E’ notte fonda e le strade non sono deserte, ma in compenso c’è una gigantesca luna che illumina a giorno il cielo. Penso che Antonio, il ragazzino gay appassionato di geografia, saprebbe sicuramente spiegarmi da dove razza è uscita fuori una luna così grande e mi rincuoro pensando che forse anche lui un domani, come quella coppia di molfettesi prossima alle nozze, potrà mettere su famiglia, fare pace con se stesso e trovare la propria strada.
Autore: Onofrio Bellifemine