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Malato terminale
15 gennaio 2002

E’ solo questione di tempo: inutile nasconderselo. Poi il destino del nostro ospedale sarà segnato. E’ come un malato terminale di cui non si conosce il giorno della fine, ma si sa per certo che essa arriverà. Le voci che si rincorrevano nei giorni scorsi si fanno sempre più concrete e i segnali non mancano. La chiusura "temporanea" del reparto di ginecologia e ostetricia rappresenta un primo significativo indicatore della "svolta" impressa dal piano sanitario regionale all’intero sistema. La spesa sanitaria regionale "gonfiata" degli anni scorsi, le clientele, le assunzioni politiche e tutto quello che faceva parte dell’apparato sanitario pugliese sono ben note a tutti per ricordarle. Sarebbe interessante, invece, cercare le responsabilità. Ma non tocca a noi fare i processi. Inutili le proteste, gli avvertimenti, i presagi. Tutto veniva messo a tacere, sottovalutato, ignorato. Ma la gente parlava. E i partiti gestivano uno dei più grandi serbatoi di voti sul territorio. Anche le ultime elezioni hanno confermato che la sanità paga. Eccome. Ora siamo al redde rationem, a quella resa dei conti sempre rimossa, ma inevitabile quando ci si trova di fronte alle cifre di un deficit regionale di 280 miliardi che ha portato ad aumentare le tasse e a programmare tagli alla spesa, soprattutto sanitaria. Del resto un progetto di razionalizzazione è auspicabile: non si può continuare a pensare in termini campanilistici (e di serbatoi elettorali), inutile insistere nelle duplicazioni di reparti, alcuni dei quali fantasma o poco efficienti. Meglio pochi, ma buoni. Lo stesso discorso si può fare per l’ospedale di Molfetta. "Bello e impossibile" potremmo dire parafrasando una nota canzone. Come QUINDICI ha raccontato e documentato nella precedente inchiesta, il presidio ospedaliero si è rifatto il look dal pronto soccorso ai vari reparti con nuovi ambienti dotati di servizi e attrezzature d’avanguardia, che facevano ben sperare sul futuro della nostra struttura sanitaria pubblica. Ma alla prova dei fatti, questo ospedale ci è sembrato proprio "bello", ma "impossibile". Lo abbiamo verificato direttamente. Di fronte ad un ricovero notturno d’urgenza (appendicite acuta con peritonite), dopo le cure del pronto soccorso (queste sì efficienti e tempestive) al malato viene detto: "Occorre operare subito", ma "non c’è posto in chirurgia". Giusta la diagnosi clinica, sbagliata la terapia (intesa come assistenza). E quando si fa notare al chirurgo di turno, che in un ospedale semivuoto e destinato alla chiusura di alcuni reparti, un posto lo si può pur rimediare anche in ostetricia, ci viene risposto che non è possibile. E bisogna cercare un altro posto in un ospedale vicino. Per fortuna, Bisceglie dista solo 10 chilometri. Il posto c’è, l’assistenza pure. E così il malato è operato e assistito in modo puntuale e con grande disponibilità. Stentiamo perfino a credere di essere in una struttura pubblica. Sinceramente non capiamo la situazione di Molfetta, né quella dell’ex Preventorio, un altro “bello e impossibile”. Mettiamoci nei panni dell’uomo della strada che si chiede se sia più importante la procedura burocratica (il malato operato va ricoverato nel reparto di chirurgia e non altrove, anche se l’ospedale è mezzo vuoto) oppure la necessità di salvare una vita. Ci viene spiegato che con l’accorpamento dei reparti maschile e femminile ci sono solo 18 letti e una sola infermiera. Insomma, questione di carenza di personale. Se le cose stanno così, invece di mantenere due ospedali a mezzo servizio, è meglio averne uno solo efficiente, senza piangerci addosso perché non nasceranno più bambini a Molfetta o perché occorrerà spostarsi di 10 chilometri per sottoporsi a un intervento chirurgico. Meglio un reparto brutto, angusto e senza bagni in camera, ma efficiente, che uno nuovo, elegante, ma vuoto, senza personale e con scarsa possibilità di assistenza? Chi non sceglierebbe la seconda soluzione? E’ proprio questa la condanna per l’ospedale di Molfetta? Una “sentenza”, su cui riflettere.
Autore: Felice de Sanctis
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