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Malasanità, anch'io ho perso mio padre
15 marzo 2005

Caro Direttore, sono Mara de Trizio, una lettrice del suo periodico. Non ha potuto non catturare la mia attenzione la lettera di accusa pubblicata nell'ultimo numero di Quindici (del 15/02/05), scritta da una ragazza di Molfetta per la perdita del padre, volta sottolineare l'inefficienza della sanità. Nel leggere quella lettera mi sono sentita particolarmente coinvolta, quasi in obbligo di far conoscere anch'io la triste sorte riservata al mio papà dal sistema sanitario. Leonardo, così si chiamava, aveva 63 anni, era in perfetta salute, amava circondarsi di amici, aveva sempre la battuta pronta per tutto e tutti; arzillo, vispo, giovanile, era come lui stesso si definiva “nu pastcchiedd”. In passato aveva solo sofferto di ulcera gastrica che, al bisogno, teneva a bada con delle compresse. Un giorno, il 17/10/2000, in ossequio alla tanto propagandata prevenzione, decise di sottoporsi a l controllo per l'ulcera, presso l'Ospedale Civile di Molfetta in day ospital. In realtà in ospedale rimase non uno ma sette giorni, necessari per allargare il campo d'indagine. Il 24/10/2000 mio padre fu dimesso con la rassicurazione che non ci fosse nulla di grave da segnalare. Noi famiglia, dando credito a quanto riferitoci dall'ospedale, o meglio, al fatto che niente ci fosse stato evidenziato, ci limitammo a far consultare tanto libretto di dimissioni al medico curante il quale, grande ed esperto luminare, confermò che gli esiti delle analisi relativi all'ulcera erano ottimali. Peccò di consultare un reperto radiologico che non riguardava l'ulcera, ma nel quale abbiamo scoperto, dopo quasi due anni da quel day ospital, era così scritto: “ nel lobo superiore sinistro del polmone è localizzato un nodulo ovoidale di 14 mm di non univoca interpretazione (tubercoloma?). Controllo nel tempo” Ipotizzando,dunque, un tubercoloma, ma senza procedere ad ulteriori approfondimenti, mio padre era stato tacitamente dimesso e nulla ci era stato neanche accennato. Avendo ricevuto notizie tranquillizzanti, nulla noi abbiamo fatto o approfondito, anche perché mio padre non avvertiva nessun sintomo doloroso. Il 30/04/2003 mio padre si è spento: quel nodulo al polmone, allora in nuce, di 14 mm era diventato di 4 cm. Dall'ottobre 2000, solo nel marzo 20003 abbiamo appurato l'inefficienza del presidio ospedaliero di Molfetta prima, del medico curante dopo. E' stata solo la nostra tragica curiosità a rivelare la sorte maledettamente preannunciata su quel libretto di dimissioni e mai da nessuno esplicitataci. Pieni di rabbia e impotenza, ci siamo recati dal medico curante a mostrargli ciò che lui avrebbe dovuto far notare a noi.; ammutolito ha allargato le braccia e ha incamerato le nostre accuse e il nostro sconforto, riconoscendo l'errore così madornale. Alla luce di quanto è successo mi chiedo : è giusto aver perso un padre che, se due anni prima fosse stato puntualmente assistito, non sarebbe morto?; è giusto che continui a lavorare nel sistema sanitario chi commette errori gravi? (nonostante magari, le numerose denunce a carico); è giusto che altra gente possa essere curata , anzi non curata, da tali dottori e debba subire la stessa sorte di mio padre?; è giusto parlare di prevenzione, quando in realtà non si sa leggerla?; è giusto che un ospedale dimetta un paziente senza sottoporlo almeno ad una consulenza specialistica e apponga sbrigativamente sul libretto di dimissioni un punto interrogativo?; è giusto riporre fiducia in un infedele sistema sanitario? Mara de Trizio Continuare a registrare gli episodi di malasanità è un dovere per chi fa informazione, non solo per denunciare disfunzioni e situazioni assurde che mettono in gioco vite umane, ma soprattutto per chiedere che un servizio di vitale importanza raggiunga non dico l'eccellenza tanto vantata, ma scarsamente realizzata dal “governatore” Fitto, ma almeno normali livelli di sufficienza, nella speranza di miglioramenti che lo portino, a breve, a livello ottimale. Grazie, perciò, della sua lettera e del suo coraggio civile nel denunciare queste situazioni. Ci auguriamo che i suoi interrogativi abbiano delle risposte, anche se temiamo che non verranno. Il silenzio diventa l'arma migliore per chi non sa come spiegare lo sfascio della sanità pubblica: forse il rimedio è stato peggiore del male.
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