MOLFETTA - Una vera e propria macchia del nostro Paese. Con queste parole la prof.ssa Ottavia Sgherza ha aperto l’incontro «Maggio 1947: Mafia e Banditismo» all’Università Popolare Molfettese, promosso dall’associazione GILDA. Argomento centrale dell’incontro, la strage di Portella della Ginestra (nella foto una lapide del luogo), avvenuta il 1 maggio del 1947 a Montelepre, piccolo Paese in provincia di Palermo, ad opera di Salvatore Ferreri e di Salvatore Giuliano, due mafiosi-banditi, dopo un incontro tenutosi a Roma con un agente segreto, noto come “Ginestra”, appartenente all’organizzazione nazista “Volpi Argentate”.
Relatrice dell’incontro è stata la prof.ssa Gianna Sallustio, che ha ricordato che l’eccidio è stato un avvenimento triste che ha lasciato diversi interrogativi in sospeso, in quanto le cause son ancora oggi poco chiare. Prima di parlare di questa strage, la prof.ssa Sallustio ha voluto dare alcune delucidazioni in merito ad avvenimenti precedenti, i cui “protagonisti” sarebbe meglio chiamarli “esecutori”.
Ha richiamato alla memoria la seconda metà del 1943 quando gli americani furono informati della nuova organizzazione della mafia siciliana: erano una trentina di fuorilegge e trentasette bande armate, tra cui spiccavano Salvatore Ferreri, noto anche come “Fra Diavolo”, “u palernitanu” o “il vendicatore” (ma per l’anagrafe di Palermo era Salvo Rossi), e Salvatore Giuliano con il suo luogotenente Pisciotta.
Giuliano era considerato dai contadini di Montelepre il “vendicatore” di una vita ingiusta: per questo lo aiutavano inviandogli viveri e acqua di nascosto alle forze dell’ordine. I principi Valerio Pignatelli e Julio Valerio Borghese si misero in contatto con i due siciliani affinché spaventassero i contadini con le armi, poiché questi ultimi desideravano la divisione delle terre incolte dei latifondisti. Seguì un incontro segreto nei primi del 1944 tra Giuliano e tre marò della X MAS che era in stretta collaborazione con la SD tedesca (formazione armata di neonazisti). Si decise di compiere azioni di sabotaggio e spionaggio a danno degli alleati. Con loro anche la Repubblica di Salò fondata da Mussolini dopo la sua liberazione da parte delle SS hitleriane. Il progetto mussoliniano era quello di riappropriarsi dell’Italia a colpi di sabotaggio.
Seguirono a catena attentati alle “camere del lavoro” e ai contadini che si impegnavano nell’ambito sindacale: uccidere un “comunista” diveniva quasi un merito di guerra. Sempre nello stesso periodo nacque l’EVIS (esercito volontario indipendenza Sicilia) che era legata strettamente alla Repubblica di Salò.
La prof.ssa Sallustio ha, inoltre, ricordato che buona parte di questa storia non si comprenderebbe senza gli amori, le complicità e le donne dei gerarchi e dei banditi. Maria Coraci, madre di Ferreri, alla morte del figlio si comportò come una prefica da tragedia greca.
Al processo di Viterbo rispose al giudice che a lei non interessava la verità, ragion per cui non aveva intenzione di collaborare con la giustizia, ma voleva sapere perché mai suo figlio era stato ucciso due volte: la prima quando se ne era andato di casa e la seconda quando la mafia o lo stesso ispettore di polizia consegnarono il suo corpo ai carabinieri di Alcamo.
Non mancavano nemmeno donne al servizio della Repubblica di Salò, con il compito di intercettare informazioni con ogni mezzo: facevano arrestare, torturare e perfino uccidere gli antifascisti e i militanti della democrazia che auspicavano un’Italia libera. Portavano sul petto lo stesso distintivo della X MAS (un gladio).
Lo stesso Giuliano, pluriassassino, sequestratore di uomini, affermò che l’unica donna di cui aveva avuto realmente paura era Maria Cyliacus (classe 1915), spia internazionale che era giunta a Roma nel 1948 agli ordini della neonata CIA: fu inviata a Montelepre e venne espulsa dall’Italia dopo essere stata nel penitenziario di Palermo nel tentativo di carpire i segreti alle mogli dei banditi.
Precedente alla strage di Portella della Ginestra fu la strage di Alia (1946) in cui trovarono la morte molti sindacalisti. Vero è che ai contadini che anelavano alla divisione dei latifondi non interessava il sindacalismo, per cui si vide la necessità di mettere in atto un piano che stroncasse sul nascere la loro speranza: l’eccidio di Portella della Ginestra.
Contadini, donne, anziani e bambini si erano riuniti nella vallata “Piana della Ginestra” per festeggiare la speranza di un nuovo avvenire. Dalla collina, improvvisamente, iniziarono a partire raffiche di mitra: 11 morti, di cui 9 adulti e 2 bambini, e 27 feriti. Stando alle testimonianze fu Ferreri a lanciare per primo le granate contro quella gente. Alcuni mafiosi decisero così di eliminare Ferreri con una trappola.
Al ricco proprietario di Alcamo, Giuseppe Bambina, giunsero due lettere di estorsione firmate “G. il re della montagna”. La firma risultò falsa, così fu convocato Ferreri per spiegarne il senso. Insieme al padre e a due guardiaspalle, nella notte tra il 26 e il 27 giugno del 1947, fu assassinato in un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Nel luglio 1950 fu assassinato anche Giuliano: si dichiarò, per sviare le indagini, che il bandito fu ucciso in un conflitto a fuoco con i Carabinieri.
In realtà, si è scoperto che fu drogato durante un banchetto e assassinato nel sonno da Pisciotta, il quale a sua volta, nel 1954 fu avvelenato in carcere perché aveva deciso di fare i nomi degli assassini di Portella della Ginestra. Sicuramente esisteva un “Memoriale di Giuliano” nel quale erano scritti tutti i nomi di coloro che avevano preso parte alla strage, ma, non è mai stato ritrovato.
All’esaustiva spiegazione è seguita la visione del film “Salvatore Giuliano” (1962) con la regia di Francesco Rosi che rispecchia molto realisticamente l’intricata faccenda giudiziaria della suddetta strage.
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