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Mafia e banditismo, Portella della Ginestra: la storia e i protagonisti all'Università Popolare di Molfetta
14 dicembre 2012

MOLFETTA - Una vera e propria macchia del nostro Paese. Con queste parole la prof.ssa Ottavia Sgherza ha aperto l’incontro «Maggio 1947: Mafia e Banditismo» all’Università Popolare Molfettese, promosso dall’associazione GILDA. Argomento centrale dell’incontro, la strage di Portella della Ginestra (nella foto una lapide del luogo), avvenuta il 1 maggio del 1947 a Montelepre, piccolo Paese in provincia di Palermo, ad opera di Salvatore Ferreri e di Salvatore Giuliano, due mafiosi-banditi, dopo un incontro tenutosi a Roma con un agente segreto, noto come “Ginestra”, appartenente all’organizzazione nazista “Volpi Argentate”.

 

Relatrice dell’incontro è stata la prof.ssa Gianna Sallustio, che ha ricordato che l’eccidio è stato un avvenimento triste che ha lasciato diversi interrogativi in sospeso, in quanto le cause son ancora oggi poco chiare. Prima di parlare di questa strage, la prof.ssa Sallustio ha voluto dare alcune delucidazioni in merito ad avvenimenti precedenti, i cui “protagonisti” sarebbe meglio chiamarli “esecutori”.

Ha richiamato alla memoria la seconda metà del 1943 quando gli americani furono informati della nuova organizzazione della mafia siciliana: erano una trentina di fuorilegge e trentasette bande armate, tra cui spiccavano Salvatore Ferreri, noto anche come “Fra Diavolo”, “u palernitanu” o “il vendicatore” (ma per l’anagrafe di Palermo era Salvo Rossi), e Salvatore Giuliano con il suo luogotenente Pisciotta.

 

Giuliano era considerato dai contadini di Montelepre il “vendicatore” di una vita ingiusta: per questo lo aiutavano inviandogli viveri e acqua di nascosto alle forze dell’ordine. I principi Valerio Pignatelli e Julio Valerio Borghese si misero in contatto con i due siciliani affinché spaventassero i contadini con le armi, poiché questi ultimi desideravano la divisione delle terre incolte dei latifondisti. Seguì un incontro segreto nei primi del 1944 tra Giuliano e tre marò della X MAS che era in stretta collaborazione con la SD tedesca (formazione armata di neonazisti). Si decise di compiere azioni di sabotaggio e spionaggio a danno degli alleati. Con loro anche la Repubblica di Salò fondata da Mussolini dopo la sua liberazione da parte delle SS hitleriane. Il progetto mussoliniano era quello di riappropriarsi dell’Italia a colpi di sabotaggio.

Seguirono a catena attentati alle “camere del lavoro” e ai contadini che si impegnavano nell’ambito sindacale: uccidere un “comunista” diveniva quasi un merito di guerra. Sempre nello stesso periodo nacque l’EVIS (esercito volontario indipendenza Sicilia) che era legata strettamente alla Repubblica di Salò.

 

La prof.ssa Sallustio ha, inoltre, ricordato che buona parte di questa storia non si comprenderebbe senza gli amori, le complicità e le donne dei gerarchi e dei banditi. Maria Coraci, madre di Ferreri, alla morte del figlio si comportò come una prefica da tragedia greca.

Al processo di Viterbo rispose al giudice che a lei non interessava la verità, ragion per cui non aveva intenzione di collaborare con la giustizia, ma voleva sapere perché mai suo figlio era stato ucciso due volte: la prima quando se ne era andato di casa e la seconda quando la mafia o lo stesso ispettore di polizia consegnarono il suo corpo ai carabinieri di Alcamo.

Non mancavano nemmeno donne al servizio della Repubblica di Salò, con il compito di  intercettare informazioni con ogni mezzo: facevano arrestare, torturare e perfino uccidere gli antifascisti e i militanti della democrazia che auspicavano un’Italia libera. Portavano sul petto lo stesso distintivo della X MAS (un gladio).

Lo stesso Giuliano, pluriassassino, sequestratore di uomini, affermò che l’unica donna di cui aveva avuto realmente paura era Maria Cyliacus (classe 1915), spia internazionale che era giunta a Roma nel 1948 agli ordini della neonata CIA: fu inviata a Montelepre e venne espulsa dall’Italia dopo essere stata nel penitenziario di Palermo nel tentativo di carpire i segreti alle mogli dei banditi.

 

Precedente alla strage di Portella della Ginestra fu la strage di Alia (1946) in cui trovarono la morte molti sindacalisti. Vero è che ai contadini che anelavano alla divisione dei latifondi non interessava il sindacalismo, per cui si vide la necessità  di mettere in atto un piano che stroncasse sul nascere la loro speranza: l’eccidio di Portella della Ginestra.

Contadini, donne, anziani e bambini si erano riuniti nella vallata “Piana della Ginestra” per festeggiare la speranza di un nuovo avvenire. Dalla collina, improvvisamente, iniziarono a partire raffiche di mitra: 11 morti, di cui 9 adulti e 2 bambini, e 27 feriti. Stando alle testimonianze fu Ferreri a lanciare per primo le granate contro quella gente. Alcuni mafiosi decisero così di eliminare Ferreri con una trappola.

 

Al ricco proprietario di Alcamo, Giuseppe Bambina, giunsero due lettere di estorsione firmate “G. il re della montagna”. La firma risultò falsa, così fu convocato Ferreri per spiegarne il senso. Insieme al padre e a due guardiaspalle, nella notte tra il 26 e il 27 giugno del 1947, fu assassinato in un conflitto a fuoco con i carabinieri.

Nel luglio 1950 fu assassinato anche Giuliano: si dichiarò, per sviare le indagini, che il bandito fu ucciso in un conflitto a fuoco con i Carabinieri.

In realtà, si è scoperto che fu drogato durante un banchetto e assassinato nel sonno da Pisciotta, il quale a sua volta, nel 1954 fu avvelenato in carcere perché aveva deciso di fare i nomi degli assassini di Portella della Ginestra. Sicuramente esisteva un “Memoriale di Giuliano” nel quale erano scritti tutti i nomi di coloro che avevano preso parte alla strage, ma,  non è mai stato ritrovato.

 

All’esaustiva spiegazione è seguita la visione del film “Salvatore Giuliano” (1962) con la regia di Francesco Rosi che rispecchia molto realisticamente l’intricata faccenda giudiziaria della suddetta strage.

 

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Autore: Dora Adesso
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Un passo indietro. – Il 27 aprile del 1947, accompagnato dal fido “Zzz…”, un cane che fiuta i carabinieri a cento metri di distanza, si reca a Montelepre per assistere al matrimonio della sorella Mariannina con Pasquale Sciortino, uno dei membri della sua banda. Cerimonia che viene celebrata nella vecchia casa dei Giuliano in Via Castrense di Bella. Sta già spuntando l'alba quando si mette in cammino per tornare al suo rifugio. Deve far presto, perché lo aspetta una giornataccia: ha intenzione di fare una capatina a Partinico per pareggiare certi conti. Prima, però vuol farsi una bella dormita. “Svegliatemi alle 11”, dice ai suoi compagni. Ma, alle dieci, arriva suo cognato Pasquale con una lettera: “ Te la manda tua madre”. Salvatore la legge con attenzione, poi accende un fiammifero e la distrugge. Un attimo dopo esclama: “E' giunta l'ora della nostra liberazione”. Una frase che ripete anche tre giorni più tardi, quando riunisce tutta la banda. “Domani è il 1° maggio – dice -, i comunisti parlano a Portella della Ginestra. Stanno prendendo troppo piede, dobbiamo impedirglielo. “Come? –interviene un certo Giovanni Genovese. “Sparando - ribatte Turiddu. “Ma ci sono anche donne e bambini……”. - “Fa lo stesso”. Genovese si arrende, mentre Giuliano forma il plotone di esecuzione. La notizia della carneficina di Portella della Ginestra sconvolge l'Italia, ma Turiddu ha già altre “commissioni” da sbrigare. “Dobbiamo continuare la lotta contro i comunisti – afferma seccamente – se il comunismo avrà il sopravvento, noi siamo rovinati”. E' sicuro che i democristiani gli daranno l'impunità, cancellando con un provvedimento legislativo i suoi delitti. Alle elezioni del 1948 la DC stravince, ma naturalmente il colpo di spugna non arriva per Giuliano e la sua banda. Anche i padrini della Costa occidentale gli danno la caccia; la mafia ha sguinzagliato i suoi più temuti killer per fargli la pelle. La situazione sta diventando insostenibile e Giuliano medita di espatriare clandestinamente in America. Si nasconde a Castelvetrano in casa di un certo De Maria, detto l'avvocaticchio. Pisciotta (che nel frattempo si è messo d'accordo con il colonnello dei carabinieri Luca) lo raggiunge lì la notte fra il 5 e il 6 luglio del 1950, e lo uccide a tradimento con la pistola dopo averlo narcotizzato. Poi, si allontana in fretta e furia, mentre gli uomini del Comando repressione banditismo danno inizio a una macabra messa in scena. Il cadavere viene trasportato in cortile e qualcuno spara una raffica di mitra. Pochi minuti dopo, un ufficiale dichiara alla stampa che l'incubo è finito: “Il più pericoloso bandito siciliano è caduto sotto i colpi dei carabinieri. Accerchiato, ha tentato disperatamente di aprirsi un varco e di fuggire, ma nel conflitto a fuoco, protrattosi a lungo, ha trovato la morte”. Abboccano tutti. L'unico a non credere a questa versione è Tommaso Besozzi, giornalista dell'Europeo. Da quel grande cronista che è, intuisce che c'è qualcosa di strano. Così, fa un'indagine personale, mette a confronto le testimonianze contrastanti ed accerta che il conflitto non è mai avvenuto. “Di sicuro c'è solo che è morto”, scrive in un memorabile reportage. La settimana successiva viene richiamato a Milano. Completa l'inchiesta l'inviato Nicola Adelfi: “Lo ha ucciso nel sonno Pisciotta”. Al processo che si tiene a Viterbo, Gaspare sta zitto per tutto il dibattimento come se la cosa non lo riguardasse, ma alla lettura della sentenza, si aggrappa alle sbarre ed esplode: “Siete dei traditori, perché mi avete fatto condannare dopo avermi promesso la libertà in cambio della testa di mio cugino. Pagherete anche quest'ultimo sopruso. Condannandomi, non mi metterete a tacere. Ditelo ai vostri “padroni”. Giuliano non lavorava in proprio. A Portella della Ginestra, per esempio, ce lo mandarono gli onorevoli Giovanni Alliata di Montereale, Leone Marchesano e Bernardo Mattarella, i primi due monarchici e il terzo democristiano….” Pisciotta dacci le prove”, lo interrompono i giornalisti presenti in aula. Ma lui non ascolta più nessuno, aggiunge soltanto: “Le prove sono nei diari di Turiddu che custodisco gelosamente in un luogo segreto. In appello ve le mostrerò”. Una promessa che Pisciotta non ha potuto mantenere. Il 9 gennaio del 1954, Pisciotta moriva in una cella del carcere palermitano dell'Ucciardone, stroncato da un caffè che una mano ignota aveva corretto con 20 milligrammi di stricnina, sufficienti per mandarlo nella tomba con i suoi segreti sulla strage di Portella della Ginestra. -
Questo nostro Paese, triste e doloroso ammetterlo non è solo "macchiato", è "SPORCO", ma "SPORCO ASSAI", ASSAI, ASSAI!! Quello che è ancora più triste e doloroso, è l'abitudine e la convivenza mortificante con tutto ciò. Portella della Ginestra, una delle tante vergognose macchie. - Alle 10 del mattino del 1° maggio 1947, un giovedì. A Roma, Togliatti parla agli operai scesi in piazza per rinnovare, dopo l'oscura parentesi fascista, l'antica consuetudine di ritrovarsi in occasione della Festa del Lavoro. Anche in Sicilia sono state organizzate molte manifestazioni. Lì, la ricorrenza è ancora più sentita, perché ci sono da festeggiare due avvenimenti: oltre il 1° maggio, infatti, si brinderà all'affermazione ottenuta dal Blocco del Popolo alle recenti elezioni per il primo Parlamento regionale. Comunisti, socialisti e rappresentanti del Partito d'Azione, riuniti sotto la stessa bandiera, hanno ottenuto uno strepitoso successo: 600.000 voti, 100.000 in più del Fronte Agrario, che aveva fomentato i moti indipendentisti, e il doppio della DC. La cerimonia più pittoresca è prevista a Portella della Ginestra, una località di non agevole accesso sui monti alle spalle di Palermo. In attesa che cominci il comizio, gli uomini si ristorano mangiando pane, formaggio e fave fresche, mentre le donne arrostiscono saporiti quarti di montone su spiedi improvvisati. Le ragazze indossano costumi variopinti tramandati dalla tradizione (nel Quattrocento, in questa zona si installò una colonia di Greco-albanesi che nei secoli successivi riuscì a fondersi con i locali) e depongono fasci di fiori su una lastra di marmo murata sopra un rilievo del terreno. E' il podio di Nicola Barbato: per lo meno, così lo chiama la gente. Questo Barbato era un socialista che faceva il medico a Corleone e, nel 1892, aveva dato vita ai fasci Siciliani, finendo in galera per dodici anni. Grande protettore dei proletari e degli oppressi (i suoi “fasci” erano molto diversi da quelli che in seguito, sarebbero stati creati da Mussolini), Barbato aveva una mania: il 1° maggio di ogni anno, si recava in pellegrinaggio a Portella della Ginestra e, dopo essersi arrampicato su un masso, arringava la folla, scatenandola contro il malgoverno. La sua morte, avvenuta nel 1923, non aveva interrotto questa particolare consuetudine: anzi, tutti gli oratori che, da allora, si erano avvicendati nella zona avevano dovuto parlare proprio dal suo “podio”. C'era salito perfino Pietro Nenni. - Tutto il resto è stato ben raccontato e descritto dalla sig.na/ra Dora Adesso.


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