Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire, lo scriveva George Orwell, in «La fattoria degli animali» (1945). Una frase di grande attualità, se consideriamo quello che avviene oggi e l'indifferenza con cui la gente sembra seguire un'involuzione della società, della politica, dell'economia, che solo la grande crisi degli ultimi mesi sta riportando nella giuste dimensioni. C'è chi si augura il disastro, perché ritiene che, solo da un crollo totale, possa rinascere un Paese e una società che hanno dimenticato l'etica, il senso del dovere, la giustizia, la solidarietà. Noi non siamo fra quelli, ma crediamo che occorre avere il coraggio di dire la verità, anche quando questa è scomoda, anche quando non vogliamo sentirla, perché continuiamo ad illuderci che tutto, prima o poi, “si aggiusta” come la tv ci propina ogni giorno, diretta dal grande fratello che governa il nostro Paese. Perché preoccuparci di pensare, di trovare le soluzioni difficili e scomode, quando c'è chi pensa e decide per noi? “Farò in modo che la tv pubblica e quella privata non siano ansiogene. La tv pubblica non può essere il punto principale di pessimismo”. Nascono da affermazioni come queste tanti nostri problemi, che scopriamo solo oggi, in tempo di crisi, quando non c'è ottimismo che tenga di fronte ad una realtà quotidiana che vede perfino la classe media impoverirsi sempre di più, mentre qualcuno consiglia di continuare a ballare sul Titanic. Certo, è antipatico il ruolo della Cassandra, ma il dovere dell'informazione in un diffuso qualunquismo di massa e soprattutto di fronte al comportamento compiacente di alcuni media, è quello di risvegliare le coscienze, anche se questo vuol dire sbattere in faccia alla gente la realtà, quella realtà che nessuno vuole ascoltare. Non sappiamo se dietro questa omologazione culturale e mediatica ci sia un disegno ben preciso, ma qualcuno, 27 anni fa, aveva previsto un piano ben definito per avere il controllo del Paese, instaurando una dittatura dolce, che aveva anche un nome allettante, Piano di rinascita democratica: «Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l'impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro. L'azione dovrà essere condotta a macchia d'olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l'ambiente. Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d. In un secondo tempo occorrerà:a) acquisire alcuni settimanali di battaglia; b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un'agenzia centralizzata; c) coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale; d) dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costituzione» (Licio Gelli, Piano di Rinascita Democratica – 1982). C'è chi queste cose le ha dimenticate, ma la storia ha tempi lunghi e quello che non fu possibile attuare all'epoca, sta divenendo molto più realizzabile oggi col controllo totale della tv. Prendiamo l'esempio della nostra Molfetta, che ci è più vicino, ma che riflette una situazione nazionale. Cosa avviene in città? Cosa accade nei Palazzi del potere? Si lavora a senso unico, senza dibattito, senza confronto, sotto le direttive di un sindaco-senatore che, impegnato a Roma per buona parte della settimana, ha scelto di comunicare con la città attraverso un ufficio propaganda che propina ai media, con frequenza quasi quotidiana, comunicati che esaltano iniziative in corso, progetti futuri, improbabili successi per convincere l'opinione pubblica della bontà del proprio operato. La realtà, che ognuno di noi ha sotto gli occhi e che nessuno vuol vedere o sentire, è quella di una città dove la qualità della vita è in caduta verticale, per l'assenza di regole e per l'esistenza di un'illegalità diffusa che viene tollerata, fornendo alla criminalità, ma anche ai bulli di periferia, una certa sensazione di impunità. Si spiegano così le 16 rapine dall'inizio dell'anno, il proliferare sui marciapiedi della città di mercati alimentari all'aperto senza alcun rispetto per l'igiene, la pulizia, il decoro cittadino. Che dire poi delle strade che, alla prima pioggia abbondante, diventano gruviere da ricoprire con materiale di scarto, pronto a frantumarsi alla pioggia successiva? E del caos del traffico e dei parcheggi “allegri”, un problema al quale nessuno vuole realmente porre rimedio e solo recentemente, dopo che la misura era ormai colma, si sta tentando timidamente di arginare il fenomeno dell'abusivismo selvaggio. Vogliamo capire. Non ci accontentiamo dei comunicati stampa del Comune. Abbiamo da tempo e da soli lanciato l'allarme criminalità, ricordano che già in passato dalla piccola criminalità impunita è nato il fenomeno della delinquenza organizzata, sfociata nel grande traffico della droga, stroncato poi con l'operazione Reset. Ecco perché vogliamo risvegliare la memoria corta a chi attribuisce a ragazzate di vandali perditempo le tante esplosioni ai danni di vetture e negozi avvenute negli ultimi mesi. Esiste l'ombra del racket, che molti hanno escluso, proprio perché non volevano sentire una verità scomoda? Un fenomeno che non va sottovalutato e che anche qualche dilettante sprovveduto, che lo negava, comincia a considerare. Cosa fa l'opposizione? Il Partito Democratico ancora alla ricerca di un'identità e di un leader (che fine ha fatto Guglielmo Minervini, che appare sempre più lontano dalla sua città?) cerca di organizzare le proprie file e propone qualche timido dibattito, con un'opposizione in consiglio comunale molto debole, di fronte alla forza dei numeri. Perché non scende fra la gente, non affronta i problemi reali dei cittadini, anziché limitarsi alla battaglia (giusta e legittima) per le donne in giunta? Perché non urla la propria disapprovazione per lo scempio edilizio e urbanistico e l'illegalità diffusa? Intanto dal Palazzo si sceglie la strada di «raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero, dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall'oblio per tutto il tempo che serva, negare l'esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso prendere atto di quella stessa realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente indispensabile», è ancora Orwell che scrive in quel “1984” profetizzato nel 1948 posponendo le ultime due cifre dell'anno, ma che si rivela oggi, a distanza di oltre 60 anni, attualissimo.
Autore: Felice de Sanctis