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Le statue del Sabato Santo tornano all'originario splendore
15 febbraio 2009

Caro Franco, voglio solo farti sapere che i restauratori hanno fatto un lavoro meraviglioso sulle statue. Giulio Cozzoli è disceso dal cielo con il più grande sorriso sul suo volto, per non parlare anche dei miei genitori Sergio e Antonietta. Essi saranno, nello spirito, con tutti voi in chiesa sabato, e così anch'io. E' una lettera scritta in inglese, da Anthony Magarelli, dagli Stati Uniti, e recapitata al Priore dell'Arciconfraternita della Morte, Francesco Stanzione. Anthony Magarelli è il figlio della donna che nel 1958 donò alla confraternita la statua dell'Addolorata. E' una lettera che il Priore legge pubblicamente con orgoglio, in quel “sabato” che ha restituito alla città, dopo il restauro, le statue del Sabato Santo e, appunto, la venerata Immagine di Maria Santissima Addolorata. E' una lettera che incarna lo spirito e allo stesso tempo l'esito del lavoro dei restauratori, Valerio Iaccarino e Giuseppe Zingaro, tanto controverso nei giorni seguenti all'esposizione, quanto difeso a spada tratta dal Priore e anche da chi, evidentemente, quelle statue le conosce sin dall'origine. Quindi, più attendibile. Ci si poteva essere affezionati alle famose “lacrime rosse” della Pietà, in realtà effetto dello sporco, e soprattutto non in linea con la concezione originaria dell'artista molfettese, afferma in sostanza il Priore Francesco Stanzione quando lo incontriamo. Ci regala anche qualche aneddoto relativo allo studio alla base delle statue: “pochi hanno avuto l'occasione di visionare i bozzetti di Giulio Cozzoli, con lo studio anatomico di ogni opera. Sono disegni quasi leonardeschi. Per San Pietro, ad esempio, esiste un vero e proprio studio delle proiezioni ortogonali. Cozzoli aveva un'attenzione minuziosa per il corpo umano, fino a studiare le posture dei corpi nei momenti prima, durante e dopo la morte. Gesù Cristo spirò alle tre del pomeriggio, e la sua salma fu prelevata tre ore dopo: bene, Cozzoli fece studi precisi sugli effetti del rigor mortis, visionando dei cadaveri con le stesse caratteristiche”. Ma l'argomento principale che il Priore deve affrontare è, inevitabilmente, quello legato alle reazioni, non unanimi, di fronte al restauro. Reazioni che egli stesso aveva previsto, nel suo discorso di presentazione alla cerimonia: “Sono sicuro, essendo nella logica delle cose, che non tutti apprezzeranno il lavoro che è stato fatto e qualcuno dirà anche che il Priore ha fatto cambiare il colore alle statue. Li voglio rassicurare: Giulio Cozzoli le ha fatte davvero con quei colori, così come le vedrete”. Sono le stesse cose che Stanzione precisa a Quindici, entrando però nello specifico e regalando anche qualche curiosità: “il restauratore ha il compito di riportare un'opera a come l'ha concepita l'artista. Nessuno ha sconvolto la concezione del Cozzoli, bensì, molto semplicemente, pochi hanno visto, o ricordano, come le statue fossero in origine. E chi l'ha vista, ha affermato che adesso finalmente sono come erano nate. Ne ho sentite tante: quella delle lacrime rosse, ad esempio, non era la fisionomia data dal Cozzoli, ma semplicemente sporcizia. Qualcuno invece ha detto che erano più belle lucide, come se fossero sudate: ma era dovuto al restauro scorso, quando, dopo la pioggia del '71, si decise di passarvi sopra del lucido per proteggerle”. “Maurangelo Cozzoli, il nipote dello scultore - prosegue Stanzione - una volta che le vide lucide, per trent'anni non le volle vedere più. Pochi giorni fa, invece, mi ha detto: così le ha fatte mio zio”. Proprio i risultati dello scorso restauro hanno reso necessario quello di questi mesi: “i materiali usati nell'ultimo restauro, alla prova del tempo, si sono rivelati inadeguati. Le vernici col passare del tempo si sono ossidate: eccole qui le lacrime rosse. E' normale che i molfettesi da 45 anni di età in giù si fossero in un certo senso abituati a quella fisionomia, è una questione di imprinting: la prima cosa che uno vede la prende per buona, per migliore. Ma tutto quello che i molfettesi più giovani hanno sempre visto non era lavoro di Cozzoli, ma una fisionomia data, o comunque provocata, dal restauro degli anni '70. Quello che vedete adesso è quello che è stato concepito originariamente”. Ciò che vediamo oggi, è quello che Quindici vi propone nelle immagini di questa pagina. Impressiona soprattutto la resa, la risposta della cartapesta alla luce e all'ombra. Ancora viene il sospetto che da un momento all'altro salti fuori qualcuno e dica che avevamo ragione, si è trattato di uno scherzo per tutto questo tempo, quella non può essere cartapesta. Ma al di là di questo c'è dell'altro: l'altro è ancora il volto distrutto dal dolore di Maria Salomè, il rimorso negli occhi di San Pietro, quasi la dolorosa nostalgia in quelli della Maddalena, lo shock sul volto della Veronica, pallida quasi quanto il lenzuolo che tiene tra le mani. Tutto questo, l'anima delle statue, è a prova di qualsiasi errore di restauro passato o futuro. Il valore, il sentimento che la gente di Molfetta ha cercato, trovato, interpretato in queste statue, restituite all'aspetto con cui il loro creatore le aveva volute, l'amore che la città ha per le sue statue, è quello il loro vero volto.
Autore: Vincenzo Azzollini
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