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Le elezioni a Molfetta del 1913: il ricorso di Salvemini e le Frammenti di storia
15 ottobre 2004

di Pasquale Minervini (Centro Studi Molfettesi) Nell'aprile 1914, in attesa della discussione alla Camera della elezione di Molfetta del 26 ottobre precedente, da lui contestata e dopo la vittoria del suo avversario Pietro Pansini, Gaetano Salvemini fu a Molfetta, ospite come sempre dell'avv. Francesco Picca (nella foto), per raccogliere alcune altre testimonianze sulle illegalità commesse in quelle votazioni. “Quando vengo a Molfetta, fra una decina di giorni - egli scriveva verso la fine di marzo al Presidente della Cooperativa Marinai -, ti raccomando caldamente di farmi trovare la nota di tutti quei marinai elettori che erano a Molfetta il 26 ottobre, e non poterono votare: a) per non avere avuto il certificato; b) perché violentati (G. Salvemini, 'Cor rispondenze pugliesi"). Anche la popolazione in città era “in uno stato di sovreccitazione inaudita, in attesa della discussione del 15 maggio" - scriveva Salvemini - a Tommaso Gallarati Scotti il 29 aprile, ricordando la sua “recente gita a Molfetta", dove “mentre i teppisti continua(va)no nelle prepotenze, i miei - dice Salvemini - comincia(va)no già a reagire” (G.Salvemini, “Carteggio 1912-1914”). Ancora il 14 maggio, mentre la stampa nazionale annunciava la discussione, per il giorno dopo, della elezione di Molfetta dinanzi alla Giunta della Camera, Francesco Picca scriveva a Salvemini: "qui stanno in una tensione febbrile in attesa di notizie per l'elezione; non io, che con tutta calma ho fatto il prognostico, mi auguro sbagliato: la Giunta parlamentare darà la maggioranza all'annullamento e la minoranza alla convalida: la votazione del Parlamento capovolgerà le sorti. Può darsi che questa previsione sia effetto di pessimismo nero che traverso specialmente per la insensibilità supina dei nostri concittadini” (la lettera, inedita, è in Archivio Salvemini, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze). Nella discussione della Giunta fu proposto di “limitare il campo d'inchiesta a soli due punti: distribuzione dei certificati e fatti accaduti nel solo giorno dell'elezione” a Molfetta. Dopo lungo dibattito poi, la Giunta “a maggioranza respinse l'inchiesta completa, mentre fu approvata alla unanimità l'inchiesta ridotta, temendosi il peggio, giacché già tre voti aveva avuto sin da principio una proposta di convalidazione immediata”. La deliberazione ultima presa dalla Giunta fu per Salvemini “una vittoria inaudita e la debbo tutta - egli scrive il 17 maggio alla moglie di Ugo Ojetti all'articolo di Ojetti (La elezione di Molfetta, Ricordi di una domenica di passione”, pubblicato nel “Corriere della Sera” del 6 novembre 1913. Non hanno osato convalidare dinanzi a quella testimonianza. Ora ho ancora sei mesi di lavoro”. *** Per questo egli chiese subito a Francesco Picca di riferirgli i fatti capitati a lui e all'amico comune dott. Graziano Poli nel giorno delle elezioni, e il 10 giugno 1914 (nella lettera inedita, nello stesso Archivio Salvemini) il Picca gli scrisse: “Carissimo Gaetano, i fatti precisi occorsi a me e a Graziano il 26 ottobre sono due: 1° verso le 13 ho un biglietto da un contadino, che m'invitava ad andare alle due sezioni dei sordomuti, 10 e 11 (dov'era la vecchia sede dell'Istituto “Apicella” pei sordomuti, all'incrocio di via Giovene con via G. Mameli) per incoraggiare quella massa di contadini, scacciati ed atterriti a colpi di pietre e di revolver dai pansiniani. “Andiamo io e Graziano e ci avviciniamo (seguiti da un nucleo di una decina quasi tutti vecchi, mentre gli altri timidi si tenevano a distanza) al gruppo compatto di 3 a 400 pansiniani, quasi tutti proprietari, che occupavano il larghetto dinanzi alle due sezioni e circondavano un mucchio di breccia, impedendo ad altri di entrare; ci guardano prima con aria minacciosa e appena siamo a 2 passi di distanza da quel muro di gente, uno di loro, certo Pietro Domenico Minervini fu Saverio, si mette a gridare: fuori, fuori i contadini; mi avvicino a lui e gli dico: oggi il voto del contadino vale quanto il tuo e il mio di proprietario, quale dritto hai d'impedire a quelli di votare? Non mi guarda in faccia, non risponde, mi volta le spalle e più forsennato e mettendo la mano alla cintola quasi per cacciare qualche arma, continua a gridare: fuori, ho detto, fuori i contadini. "Restiamo lì fermi per alcuni minuti ed intanto osservo un certo movimento minaccioso fra i pansiniani, mi guardo indietro ed anche quella decina di vecchi era scomparsa, era rimasto il solo mio vecchio massaro. Nel rifare la strada troviamo i contadini rifugiati nei portoni, nei vicoli adiacenti, ma terrorizzati, insensibili ai nostri incitamenti. "2° Andiamo io e Graziano alla nostra sezione, la 5ª una sala angusta, esposta al sole, un vero forno; a me fu facile sbrigarmi presto sotto la protezione del Dr. Pasquale Pansini, pansiniano ma galantuomo; uscii subito e in lontananza, a ridosso della ringhiera del giardinetto ero seduto ad aspettare che Graziano avesse potuto votare. Dopo una mezz'ora arriva una carrozza carica di gentaglia e seguita da una quantità di ciclisti; come mi veggono cominciano a schiamazzare: fuori Ciccillo Picca; io resto impassibile, e loro a ripetere con maggior accanimento; vengono altri loro seguaci ed in coro a fare lo stesso ritornello. Allora mi alzo e prendo la sedia per la spalliera pronto a difendermi alla men peggio. Gridano un altro po' e dopo se ne vanno, mi si riferisce non per paura del mio contegno, ma perché redarguiti da un tenente o graduato di fanteria. Finalmente Graziano si sbriga e ce ne andiamo a casa. Siamo tra le 2 e le 3; Graziano torna ad uscire solo per accertarsi ancora di più se fosse vero che alle sezioni di via Manzoni era impossibile avvicinarsi per votare; va, entra in un corridoio dell'edificio, trova un suo amico col quale si mette a parlare pacificamente, anzi facendo delle barzellette come è suo solito ed ecco si avvicina un ragazzaccio, che poi si è saputo nipote di Brudaglio, e gli dice: tu stai corrompendo gli elettori, e poi si mette a gridare: mi ha insultato, correte; e si volge alla solita teppa, di guardie, picciotti e delegati, che accorrono e cacciano fuori a spinte il povero Graziano, che rimane stordito, accasciato sotto il peso di tanta avventatezza, di tanta indefinibile mostruosità. Si ritirò a casa sua, si mise a letto, non mangiò per due giorni per la rabbia dell'ingiusta onta, ed oggi ancora bisogna vederlo come soffre a ricordare quello ed altri fatti”. *** Questi e altri fatti raccolti da Salvemini gli servirono poco, perché nella seduta del 4 luglio 1914 la Giunta convalidò l'elezione del Pansini. A tal riguardo, il 13 successivo, nel dare la notizia a Umberto Zanotti Bianco, che era stato testimone con altri amici di quelle elezioni, Salvemini scrive: "Il Comitato inquirente fece l'inchiesta per burla: non interrogò né gli ufficiali, né voi, né altri testi autorevoli. L'inchiesta consistè nell'interrogare pochi testimoni di Molfetta, facendoli andare a Trani. Dei contadini bastonati, neanche uno! Dopo di che Pacetti ha proposto la convalidazione; Montemartini (che è il principale responsabile della commedia) mancò alla riunione, e propose per lettera, ma senza motivazioni, l' annullamento; Meda dichiarò insufficienti le prove raccolte. E la Giunta convalidò”. L'ulteriore e definitiva convalida alla elezione di Molfetta fu data dalla Camera dei Deputati nella discussione del 5 marzo 1915, dopo la quale Edoardo Giretti riferiva il 6 a Salvemini che l'on. Mario Migliano, della Giunta delle elezioni, "non potè mettersi contro il Pansini perché gli doveva riconoscenza personale per essere stato difeso da lui anni prima per processi di stampa”.
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