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Lavoro, politiche economiche e sociali per il lavoro
15 dicembre 2015

In seguito all’interessante dibattito tra il sindaco Paola Natalicchio e il professore di filosofia Ermanno Bencivenga dello scorso mese riguardante il tema del lavoro e della progettazione del futuro, Comitando ha deciso di approfondire il tema chiamando in causa diversi altri punti di vista, dal sindacato al settore amministrativo, in collaborazione con i partiti Sel e Dep. Così, ha riunito in un incontro, presso la Sala Finocchiaro della Fabbrica San Domenico, l’attivista sociale e sindacale, presidente dell’Associazione Etica & Lavoro “Pasquale Tavano” di Torino Marco Craviolatti, il segretario generale della CGIL Bari Pino Gesmundo, l’amministratore unico dell’Acquedotto Pugliese, docente di Ingegneria economico-gestionale e già Rettore dell’università di Bari dal 2009 al 2013 Nicola Costantini, l’ingegnere, professore di Sostenibilità ambientale e funzionario del Comune di Bari, questa volta in funzione di moderatore Aniello De Padova. De Padova, appunto, ha aperto il dibattito raccontando di una sua indagine sul mondo del lavoro; la domanda posta chiedeva a persone che avevano un lavoro fisso e mediamente pagato se fossero stati disposti a rinunciare al 20% del loro stipendio per poter guadagnare una settimana libera all’anno e quindi avere più tempo per le cose che non riguardano la sfera lavorativa. In molti, spiega l’ingegnere, hanno risposto positivamente a questa domanda, con diverse spiegazioni. E’ un tema questo che tocca tutti noi da vicino e secondo De Padova bisognerebbe parlarne cambiando il tono del dibattito perché in moltissimi si stanno disinnamorando del mondo del sindacato e questo non è un bene. Amaro il mea culpa di Costantino quando ha affermato che la scienza economica, presa di sorpresa dalla situazione vigente, ha smesso di svilupparsi, anzi ha cominciato ad agire sempre peggio al contrario delle scienza in generale. La crisi strutturale quindi è destinata ad incrementarsi sempre di più se non si trova una soluzione. Due, secondo Costantino, sono gli errori più grandi: il primo è il modo in cui viene modellato l’individuo che viene costretto a massimizzare in ogni momento il suo profitto; l’egoismo quindi diventa la molla del mercato ma per fortuna, ha affermato il professore, non è sempre così perché l’uomo è di più. Il secondo sta proprio nella definizione di economia che alcuni, senza biasimo, chiamano “scienza triste”. Tre, poi, i fattori oggi molto in crisi: la terra intesa come produzione di cibo; il mondo è capace di sfamare l’intera popolazione ma il cibo viene distribuito non equamente. Il capitale inteso come ricchezza; non c’è mai stata tanta ricchezza come in questi anni ma è nelle mani di pochi e quindi si spende di meno . Il lavoro che sta diminuendo per molti motivi ma soprattutto per l’automazione di alcuni settori conseguenza dello sviluppo delle tecnologie (2/3 delle figure di lavoro oggi presenti sono destinate ad estinguersi tra non molti anni). L’economista britannico Keynes nel 1928 aveva affermato che da lì ad un secolo si sarebbe potuto lavorare 15 ore soltanto alla settimana senza compromettere la produttività. Il numero delle ore di lavoro si è in effetti abbassato, senza arrivare alle 15 teorizzate da Keynes, ma lo sviluppo economico è andato comunque avanti, grazie soprattutto all’informatica. Siamo davanti ad un bivio, ha affermato Costantini, e sta a noi scegliere che strada intraprendere. Craviolatti è entrato nello specifico della questione aiutandosi con delle proiezioni riferite all’anno 2014. Tre sono le considerazioni che emergono dai grafici: la prima è che nei paesi più ricchi non si lavora tanto ma in tanti; l’Italia infatti ha un orario medio più elevato ed ancora più elevato è quello della Grecia che lavora il 50% in più della Germania. Donne e giovani sono le categorie che più vengono messe da parte, infatti, è emerso che dal 2007 in Italia sono stati oltre 2 milioni i posti di lavoro in meno per i giovani e di contro 1 milione in più quelli per gli over 50, questo porta ovviamente ad un impoverimento del Paese. Di conseguenza le aziende non sono più incentivate ad innovare la produzione, interessate più al costo che alla qualità dell’offerta. La seconda è che il tasso di occupazione dell’Italia si stanzia sul 53-4% quindi è molto più basso di quello di Paesi come Francia e Germania. Basta solo ridurre le ore di lavoro degli individui così da creare nuovi posti di lavoro? Certo che no. Bisognerebbe eliminare il lavoro inutile. La terza è che la diminuzione delle ore di lavoro c’è già (precariato, part time) e non è una scelta ma un dato di fatto. Continua ad allargarsi la forbice tra chi lavoro sempre meno e chi lavora sempre di più e continua a diminuire il benessere perché da un lato chi non lavora non può spendere quindi non può godersi la vita, chi lavora troppo non ha tempo per fare altro al di fuori del lavoro. Inoltre c’è poca consapevolezza del fatto che molte persone lavorano sempre di più, a parità o quasi di stipendio, perché così fa comodo alle aziende, è un ricatto. I contratti nazionali permettevano di mantenere in Italia la stabilità di reddito, fino a pochi anni fa. Ora i contratti nazionali sono sott’accusa e si vuole diminuire ancora di più il costo del lavoro. Il sindacato, ha concluso Craviolatti non deve più firmare per l’aumento delle ore di lavoro. Bisogna, al contrario, lottare per ottenere diminuzione dell’orario per chi, per diversi motivi, ha bisogno di tempo da passare al di fuori del mondo del lavoro ed invece è costretto ad occupare l’intera giornata così. Gesmundo è partito da una domanda, perché non si reagisce? E l’analisi che ha fatto è davvero amara. Ha infatti affermato che prima di portare la discussione sul mondo del lavoro a questi livelli, bisognerebbe guardare la situazione proprio vicina a noi; al sud infatti. ancora nel 2015 si parla di caporalato (un lavoro massacrante che permette all’individuo di portare a casa davvero il minimo indispensabile per vivere), sinonimo moderno della parola schiavitù. Si sta provando faticosamente a porre degli argini, ma c’è un vuoto enorme di governo democratico, non di sindacato. Una volta c’erano i partiti, la partecipazione, continua Gesmundo, oggi mancano i luoghi di confronto, il lavoro (per chi ce l’ha) occupa talmente tanto i pensieri dell’individuo che questi non ha voglia di occuparsi delle politiche future, oggi l’importante è il bisogno immediato. La gente sta sempre peggio ma non si attiva per diventare strumento del cambiamento perché non si sente soggetto del cambiamento. Difficile sarebbe da proporre a quelle persone che vanno avanti con uno stipendio medio che oscilla dai 700 ai 1000 € di rinunciare al 20% del loro stipendio per avere più tempo libero, è una proposta che Gesmundo vede troppo di nicchia. Bisognerebbe ricostruire un equilibrio, ricostruire le solitudini che affliggono questa società prima di tutto, bisognerebbe guardare alle necessità di tutti e non solo a quelle della solita porzione di popolazione privilegiata che ha un lavoro ed un certo benessere. Solo così si potrebbe provare a venir fuori da questa crisi, da questa situazione paradossale perché non è una crisi di povertà ma è di sovrabbondanza di ricchezza che sta nelle mani di pochi.

Autore: Daniela Bufo
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