La strana avventura
È proprio una “strana”, e aggiungeremmo divertente, “avventura” quella che Maria Addamiano offre ai giovanissimi lettori nel volume recentemente edito da Wip Edizioni. La fiaba, introdotta da una bella presentazione di Marta Pisani, è corredata dalle illustrazioni della molfettese Giulia Bufi, in un grazioso dialogo tra parole e immagini. La strana avventura è quella vissuta da un famigliola che abita in un piccolo borgo “sul pendio della collina di Sant’Eufemia”, in cui il dolce, a volte sonnolento, fluire dell’esistere è accompagnato, quasi accarezzato, dal mormorio delle acque del Bradano. Qui il contadino Agostino, infrangendo un divieto di caccia, porta con sé a casa per mostrarlo alla sua bambina (e per ricavare dall’animale un saporito ragù) uno spaurito riccio, che cerca di difendersi dalla situazione inusitata facendo bella mostra dei suoi aculei. Sì, perché nella dimora dell’incauto Agostino si scatena un pandemonio, tra le scenate della moglie, la saggia Caterina, lo sfoggio di cognizioni biologiche della gentile figliola Eliana e le acrobazie del gatto dal puramente casuale nome di Micio Macio. Il dialogo brillante sottolinea i movimenti di una vicenda che ha cadenze da commedia e vive tutta della straordinaria inventiva di Agostino. Quest’ultimo, infatti, ha il pinocchiesco dono della menzogna e, in ossequio alla tradizionale arte del ben arrangiarsi, inanella menzogne con convinzione e levità, suscitando il sorriso – a tratti piccato, soprattutto per Caterina – delle donne di casa e quello, benevolo, del lettore. Gli sviluppi narrativi ci conducono poi nelle aule scolastiche e nella proprietà di un vicino, la cui erba (così vuole l’adagio), dovrebbe essere sempre più verde, in questo caso soprattutto per la succulenta presenza del riccio che dovrebbe esservi stato ‘adagiato’ dalle graziose mani di Eliana. In ogni modo, non vogliamo anticipare ciò che accadrà nel finale, surreale e curioso. Al di là del fine di intrattenimento, La strana avventura di Maria Addamiano, come bene evidenzia Marta Pisani, vuole trasmetterci chiari valori. Il rispetto per l’altro passa attraverso l’immedesimazione, lo spossessarsi di sé e dei propri egoistici interessi per indossare i panni del prossimo e ‘appropriarsene’, in senso positivo, ovviamente. È quello che l’Addamiano rappresenta nelle volute della sua storia. Sradicare l’altro – sia un riccio o sia la bambina protagonista dei Racconti di Mirka, uno dei precedenti romanzi dell’autrice – dal suo habitat e assoggettarlo a quello che i nostri desideri richiederebbero è un atto di pura violenza. E poi l’autrice ci ricorda che in fin dei conti gli animali ci assomigliano: il riccio si difende con gli aculei “Come facciamo noi”, che “ci proteggiamo con le braccia o le mani, assumendo la posizione fetale, se dobbiamo ripararci da aggressività nei nostri confronti”. Come noi, anche un riccio può avere i suoi affetti, la cui sopravvivenza dipende magari proprio da lui (si pensi ai pascoliani rondinini del X agosto). E poi, in fin dei conti, chi garantisce all’uomo di non poter rinascere riccio o di non potersi magicamente metamorfosare, magari, in una di queste creature? Resta sempre viva, nell’Addamiano, l’idea di una benevola regia cosmica; è proprio mentre l’autrice focalizza la narrazione sui pensieri di Rick (così viene chiamato l’animaletto) che la fiducia in una superiore “presenza” emerge: “Guidami, Luce! Sei la mia unica speranza, la mia stella di bianco vestita, la mia fata. (…) Voglio insegnare ai miei piccoli che non bisogna mai perdere la speranza. (…) Quando tutto sembra perso, una Luce si accende sempre”. Nel Buio che accompagna anche l’inizio di questo nuovo anno, con i bollettini dei morti e dei contagi che non accennano a diminuire, è un messaggio che il cuore accoglie e a cui desidera accordare fiducia.