La rendita e la speculazione causa del degrado della città
Individuare con i cittadini una visione di città condivisa per una riqualifi cazione urbana che passi attraverso la ricostruzione della civitas. La pianifi cazione strategica possibile strumento per realizzarla
Il nostro viaggio “intorno” alla città si conclude su questo numero. Siamo andati per le strade dei quartieri periferici a far domande per conoscere il reale stato dei luoghi e la loro vivibilità. Alla fi ne del percorso sono sorte in noi delle domande, di fronte al quadro a tratti desolante che i cittadini ci hanno tratteggiato. Questi interrogativi, allora, abbiamo provato a girarli a un urbanista, uno studioso della trasformazione e del funzionamento dei centri urbani. Arnaldo Cecchini, ha recentemente concluso un'esperienza didattica, il cui titolo è proprio «Al centro le periferie», alla Facoltà di Architettura di Alghero, in cui è Presidente del Corso di Studi in Pianifi cazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale. Da questo studio è emerso un dato nel quale ritroviamo in pieno la nostra città: «oltre alla cattiva architettura, alla cattiva urbanistica, alla cattiva politica, rovina della città è in primo luogo la cattiva economia, ovvero il dominio pieno e incontrollato della rendita e della speculazione ». Ma partiamo dalla cattiva architettura, che è il primo dato che salta all'occhio attraversando un quartiere periferico, come si spiegano tante brutture? «Con l'assenza di regole del secondo dopoguerra. In Italia, le necessità di ricostruzione legate anche ai fenomeni bellici, ma soprattutto legati all'inurbamento ne sono state fronteggiate in un contesto di assenza di regole. Questo è successo per venti, trent'anni. Non si è costruito per dare una risposta alle esigenze abitative sulla base di un'esigenza reale. L'equivoco è che esisteva un problema reale, ma la risposta che è stata data a questo problema, è stata basata sugli interessi della speculazione e della rendita. Tanto è vero che in altri paesi non han fatto così e il problema non è stato meno forte, in Germania, per esempio, non c'è stata questa totale assenza di regole. E' questo che rende orribili, non brutte, le città degli anni '50 – '60 - '70. Poi le regole ci sono state, ma ormai il disegno era stato dato da quell'epoca e non c'è stata la volontà di contrastarlo in modo signifi cativo». Le brutture di oggi allora sono ingiustifi cate? «Sì, e non a caso in qualche modo vengono arrestate, laddove una qualche forma di resistenza al potere pieno e incontrollato della rendita c'è. Se chi disegna la forma della città è la rendita, non ci sarà dubbio che sarà brutta e ineffi ciente. Le buone città sono state il frutto di un ragionevole compromesso tra chi dava le regole e la spinta delle esigenze reali, ma non sono state determinate da quello che veniva chiamato blocco edilizio, cioè l'insieme degli interessi congiunti dei proprietari terrieri e dei costruttori che spesso erano la stessa persona». Oggi più che assistere a un «progetto di città», assistiamo alla riqualifi - cazione attraverso una «città per progetti», tanti micro progetti in cui si procede anche con impegno di risorse per fare interventi che non hanno una visione d'insieme. Quale sarebbe il modo corretto di procedere? «Non credo che sia sbagliato di per sé pensare a dei progetti e anche a dei progetti particolari. E' sbagliato se non si ha un obiettivo generale, se non si inquadrano questi progetti all'interno di un modo di pensare di una strategia generale. Anzitutto bisogna evitare che la città sia fatta di centro e di periferia. La città può avere zone diverse, non diventerà mai uguale dappertutto, ma non deve essere concepita in questo modo. Bisogna ripensare la città in modo che i “centri”, cioè le funzioni importanti non siano localizzate al centro ma distribuiti sul territorio». Questa visione passa dalla riqualifi cazione delle periferie? «Certo, le periferie vanno recuperate e riqualifi cate. La riqualifi cazione non è solo un problema architettonico, urbanistico, sociale, economico, culturale. E' l'insieme di questi problemi, e non si riqualifi cano le periferie se non c'è un disegno complessivo di sviluppo della città. Dopo, abbiamo detto, serve una visione globale, non è detto che si debba fare tutto e subito, possono essere interessanti dei progetti che partano dalla capacità di innescare dei processi. Questo diventa interessante: fare in modo che i processi generino risorse». La trasformazione dei profi li urbanistici comporta anche il rimodellamento dei panorami culturali e sociali? «Ripensare la città nel suo insieme signifi ca pensare a un piano di ricostruzione della città, che sia la ricostruzione della parte fi sica della città, quella che viene chiamata urbs, e della parte relazionale, sociale che viene chiamata civitas. Quando funzionava l'urbanistica era modellata sull'individuo maschio e lavoratore, oggi nella progettazione si deve tenere conto degli anziani, dei bambini, degli immigrati, dei nuovi contesti di lavoro, per pianifi care occorre avere una visione condivisa». Oggi l'urbanistica parla di Piani strategici, e non più solo di Piani regolatori generali. Tale pianifi cazione mette insieme Amministrazione e cittadini, in un patto che contribuisca a dare una identità e funzionalità alla città. Può essere questa la via giusta per ricostruire? «Ci vuole un'enorme volontà politica, quella di dire: la città va ricostruita, come urbs sia come civitas. Poi per rifarla bisogna pianifi carla, capire quali servizi, quale mobilità. Questa questione del piano strategico è molto interessante a condizione che sia in grado di rispondere a una visione che colga gli interessi della città nel suo insieme, soprattutto di quelle parti di città che non hanno avuto voce nelle politiche e nelle scelte. Il piano strategico deve incardinale le visione, che esprime gli interessi della comunità, il che cosa voglio ottenere deve essere fermo, il come arrivarci può essere fl essibile. Se il piano viene concepito come atto dovuto non serve. L'idea è di individuare le visioni condivise del futuro della città attraverso una lunga discussione con tutti i cittadini. Per questo nella ricostruzione dei quartieri diventa importante il ruolo degli abitanti, solo se gli abitanti sentono propri quei luoghi, solo se una piazza viene ridisegnata sulla base dei desideri e delle intenzioni degli abitanti diventerà funzionale, a renderla viva a tutte le ore della giornata. Se negli spazi pubblici non ci sono relazioni, possiamo avere dei quartieri periferici degradati e dei quartieri centrali non degradati ma senza relazioni».
Autore: Michele de Sanctis jr