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La Procura: arrestate Azzollini. Sì del Senato. Così la Divina Provvidenza diventò il suo feudo: leggi ad hoc, assunzioni clientelari, bancarotta fraudolenta, falsificazioni di bilancio
15 luglio 2015

Un’accusa lunga cinquecentosessantotto pagine, un vero e proprio “romanzo criminale” che racconta di un mondo sotterraneo e delinquenziale fatto di appropriazioni indebite, sperperi, dissipazioni varie, assunzioni clientelari. Un mondo costretto a girare attorno a un politico potente, a un senatore della Repubblica, spregiudicato e pronto a tutto pur di consolidare il suo sistema di consensi amicale e clientelare. Sono durissime le accuse mosse dal tribunale di Trani che nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria “Oro pro nobis”, ha chiesto al Senato di autorizzare gli arresti domiciliari nei confronti dell’ex sindaco di Molfetta, già presidente della Commissione Bilancio del senato, il senatore Antonio Azzollini. L’inchiesta della Procura, è scattata lo scorso 10 giugno, e chiude delle indagine iniziate nell’aprile 2012 quando l’Ente Religioso Divina Provvidenza ha dichiarato il fallimento. L’inchiesta, condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Bari della Guardia di Finanza, avrebbe scoperchiato un sistema capillare di sprechi e corruzione che avrebbe generato complessivamente un crac che sommato ai debiti accumulati già dall’Ente in passato, ammonterebbe ad oltre 500 milioni di euro, di cui più di 350 rappresentati da debiti nei confronti dello Stato. Al momento 9 gli arrestati: Dario Rizzi, 64 anni di Lucera, ex direttore generale della Divina Provvidenza, Antonio Battiante, 43 anni di Foggia, ex direttore generale e amministratore di fatto dal 2010 e Rocco Di Terlizzi 45 anni di Bisceglie, anche lui amministratore di fatto ma dal luglio 2009. Tra gli indagati anche Giuseppe de Bari, direttore generale dell’ente, già dirigente dell’Economato del Comune di Molfetta, fedelissimo di Antonio Azzollini, accusato di aver aggravato il dissesto della Congregazione, si legge dall’accusa mossa dal tribunale di Trani e consegnata al Senato, “sia astenendosi dal richiedere le dichiarazioni di fallimento della Congregazione, sia perché per colpa grave, non ponevano in essere alcuna seria iniziativa tesa a evitare l’aggravamento del dissesto”. Sono stati messi ai domiciliari suor Marcella (all’anagrafe Rita Cesa, 74 anni), rappresentante legale pro tempore, suor Consolata (Assunta Puzzello, 72 anni), economa della Congregazione, Angelo Belsito, 68 anni, anche lui amministratore di fatto dal luglio 2009, Antonio Damascelli, 67 anni, consulente fiscale, Adriana Vasiljevic, 29 anni, e Augusto Toscani, 69 anni, collaboratori dell’ente ecclesiastico. Tra gli indagati figurano anche Raffaele Di Gioia, parlamentare del Psi-gruppo misto, 64 anni di San Marco La Catola, sua figlia Silvia 32 anni, Lorenzo Lombardi 63 anni, Antonio Albano 72 anni di Lucera, Giuseppe D’Alessandro 64 anni di San Marco in Lamis, Arturo Nicola Pansini 41 anni di Bisceglie, Giuseppe Tammaccaro 54 anni di Andria, Lucrezia Maria Pia dell’Olio (suor Daniela) 73 anni di Bisceglie, Angela Maria Sabia (suor Carla) di 64 anni di Avigliano, Maria Ulderico (suor Stefanina) di 73 anni di Sambiase, Eleonora Bochicchio (suor Gianna) 76 anni di Atella. Ci sarebbero altri 3 indagati eccellenti a piede libero (si parla di due alti prelati) i cui nomi sono stati secretati. Fulcro del sistema, sostiene l’accusa, sarebbe il senatore Azzollini, che dal 2009 fungerebbe da “amministratore di fatto” dell’ente, avendolo salvato da sicuro fallimento grazie a delle leggine ad hoc promosse in qualità di presidente commissione bilancio del Senato, ricevendone in cambio la possibilità di distribuire ghiotte prebende nella forma di incarichi spesso lautamente remunerati ma assolutamente inutili al funzionamento della struttura, riuscendo così ad ampliare il proprio bacino elettorale diconsensi. Ampio l’arco delle accuse mosse ad Azzollini: associazione per delinquere, induzione indebita a dare o promettere utilità, concorsi in fatti di bancarotta fraudolenta, concorso in bancarotta fraudolenta, concorso in fatti di bancarotta semplice, concorso in bancarotta semplice. Azzollini, spiega il tribunale di Trani nella richiesta inviata al Senato, “in qualità di Presidente della Commissione Bilancio del Senato della Repubblica italiana e quindi, di pubblico ufficiale, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, facendo irruzione presso la sede biscegliese della Congregazione, imponendo agli organi di vertice della CdP la presenza di Belsito Angelo e di Terlizzi Rocco deputati ad agire in suo nome e per suo conto quali amministratori di fatto dell’Ente, assumendo nei confronti di Cesa Rita e delle altre suore del consiglio generale un atteggiamento di prevaricazione, compendiato, tra l’altro, nella seguente frase: “Da oggi in poi, comando io, se no, vi piscio in bocca” e tradottosi nell’imposizione di assunzioni di personale e di scelte di fornitori a lui graditi, al fine di ordire la propria egemonia sull’Ente e dunque di assicurarsi un sicuro bacino di consenso politico personale”. L’accusa, insomma, sostiene come suor Rita, legale rappresentante dell’Ente, abbia concesso ad Azzollini la cogestione della struttura attraverso due suoi uomini di assoluta fiducia, Angelo Belsito e Rocco Di Terlizzi, in cambio di un suo provvidenziale (è proprio il caso di dire) intervento politico al fine di evitare il crack finanziario della Divina Provvidenza. In particolare, Azzollini avrebbe assicurato alla Congregazione la “proroga legislativa degli obblighi fiscali e contributivi” (in pratica permettendo all’Ente di non pagare i propri debiti nei confronti dello Stato continuando a spendere soldi pubblici anche quando non avrebbe potuto) prorogando una legge del 2004, grazie alla legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 314, legge n.228, del 24.12.2012; prorogando i pagamenti fino al 31.12.2015) e poi in seguito alla legge di stabilità 2014 (art. 1, comma188, della legge n. 147 del 27.12.2013; prorogando i pagamenti fino al 31.12.2016). In questo modo Azzollini avrebbe garantito alla “Congregazione un’indebita moratoria fiscale finalizzata a ritardare l’emersione dello stato di dissesto e, conseguentemente a neutralizzare la richiesta di fallimento dell’Ente, avanzata dalla Procura della Repubblica di Trani”. Il dominio di Azzollini nella casa di cura, il “colpo di Stato” come lo chiama la Procura inizia nell’estate del 2009. In quel momento la casa di cura è debitrice nei confronti dell’erario, dell’Inps e dell’Inail di una somma superiore ai 300 milioni di euro. Una sera, tra il giugno e il luglio di quell’anno, Azzollini si presenta presso la Divina Provvidenza. A raccontare il drammatico incontro è un funzionario della struttura. “Si presentarono una sera il senatore Azzollini, Angelo Belsito (uomo di assoluta fiducia del senatore, ndr)… il fratello del senatore Azzollini e non so quante altre persone… e misero Ko – questo è il termine esatto – il consiglio generalizio, dicendo che non erano, non si dovevano più permettere di gestire il patrimonio, gli affari della Divina Provvidenza, senza il suo consenso, senza la sua presa visione di tutto quello che si doveva decidere… la Madre generale con le suore, quella sera, uscirono con le lacrime agli occhi per questa, come dire, violenza che avevano subito dal senatore Azzollini”. L’intervento di Azzollini per evitare che la casa chiudesse da un momento all’altro, viene ricompensata con la completa carta bianca nelle assunzioni buone a puntellare il suo sistema di potere. Angelo Belsito diventa il suo uomo di riferimento all’interno della direzione generale (“si sedeva e assisteva, come dire, passivamente a tutti i colloqui, a tutte le riunioni. Successivamente fu anche nominato consigliere di amministrazione dell’istituto Don Uva” ricorda ancora il funzionario) insieme a Enzo Di Terlizzi, secondo l’accusa imposto come consulente contabile della congregazione ma in realtà emissario del senatore. Proprio a Di Terlizzi la Congregazione concede contratti di collaborazione a cifre ritenute esorbitanti. Il primo contratto che lo vede impegnato in qualità di commercialista (secondo le testimonianze Di Terlizzi si recava al lavoro “una volta ogni dieci giorni”), ammonta a 12.000 euro mensili e verrà ritenuto eccessivo dallo stesso management dell’azienda che lo ridimensionerà a soli 6.000 al mese ritenuti però – ancora parole del funzionario – “gratis et amore dei” – e ricondotti a 50.000 euro all’anno. La figura del Di Terlizzi sarebbe secondo la Procura rilevante perché testimonierebbe tra l’altro che mentre la Procura di Trani avanzava richiesta di fallimento (23.04.12) il management della Congregazione continuava a dissipare il patrimonio dell’ente affidando attività di consulenza a fini clientelari e quasi sempre inutili. Gli uomini sistemati a fini politici, piazzavano poi a loro volta persone a loro legate da vincolo sentimentale o di amicizia con la complicità degli organi dirigenti. Amici di vecchia data, sodali di partito, amanti o figlie di amanti. Intanto Di Terlizzi secondo la Procura “metteva in atto una serie di artifici contabili finalizzati alla falsificazione del bilancio 2011 e del bilancio 2012 al fine di rappresentare un passivo di bilancio inferiore a quello reale e, dunque uno stato di decozione meno allarmante di quello effettivamente in essere”. I bilanci del 2011 e del 2012 quindi venivano falsificati. Nel primo caso, è registrata una perdita di 25 milioni invece che di 45 milioni, gettando acqua sul fuoco e permettendo alla Divina Provvidenza di sopravvivere ancora. E mentre la struttura sprofondava nelle viscere di una crisi finanziaria ormai irreversibile, le assunzioni clientelari continuavano a ritmo serrato, spiega la Procura nel documento consegnato al Senato: “i vertici della Congregazione avevano consapevolmente effettuato delle assunzioni di personale assolutamente inidoneo quando non addirittura totalmente incapace, peraltro in una fase in cui la crisi della struttura era ormai conclamata e sarebbero state doverose scelte strategiche di ben altro genere” causando così il suo “definitivo affossamento”. Tra i casi simbolo, quello di una prostituta serba, un’avvenente venticinquenne, amante di un alto dirigente dell’ente, nominata capo dell’ufficio stampa (ritenuto dalla Procura assolutamente inutile) e quello di un dipendente adibito all’ufficio contabilità pur non essendo ragioniere. Gli investigatori gli chiedono: “si occupa di contabilità... però lei ha detto che non ha il titolo neanche di ragioniere, giusto?” “no e non sono l’unico” “e che titolo ha?” “Maturità scientifica”.

Autore: Onofrio Bellifemmine
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