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La fine di un galeone
15 ottobre 2019

Nei primi mesi del 1586 un galeone di Ragusa, l’attuale Dubrovnik, il “San Giovanni Battista dei Gozzi”, comandato da Paulo de Ragusia, naufraga nelle acque di Bari. Il galeone, cito dall’ottimo saggio di Raffaele de Gaetano “Vele di Puglia”, “più acuto della nave, con scafo più filante e basso di bordo, conservava un ottimo slancio a prora con lo sperone che sorreggeva il bompresso. Il castello di prora era piccolo ed arretrato, più basso rispetto alla poppa, quest’ultima quadra, molto rilevata, con due o tre copertini intermedi e la parete più bassa alla bastardella, cioè divisa come due spicchi d’aglio. Armava tre alberi con la stessa velatura della nave: il trinchetto sull’estrema prua, avanti al castello, poco appruato, e la maestra, entrambi alla quadra con ampi trevi e gabbie; una piccola mezzana alla latina e a volte un alberetto sulla gabbia della maestra, detto moschetto. Questa unità, di ottima tenuta al mare, era, nella seconda metà del ‘500, molto diffusa nella flotta ragusea, ove veniva costruita con il legno del Monte nei cantieri di Curzola, di Ragusa e sulle spiagge di Peschici e Barletta con maestranze ragusee”. Ragusa, la cosiddetta “Repubblica di San Biagio”, nominalmente sottomessa all’Impero Ottomano, pagava un annuale tributo alla Porta, e godeva in cambio di una ampia autonomia, a patto di conservare una perfetta neutralità nei continui conflitti che infestavano il Levante. Possedeva nel 1500 una formidabile flotta commerciale che operava in tutto il Mediterraneo, e anche oltre. Il 31 luglio 1586 lo scafo del “San Giovanni” viene venduto dal Regio Governatore di Bari, per ordine del tribunale della Sommaria. Giovanni Lorenzo Dottula, luogotenente in Bari del Mastro Portolano della Provincia consegna il corredo, l’armamento e l’attrezzatura del legno a Muzio Grifo, vice Ammiraglio, che ne compila l’inventario. Il Primo settembre 1586 Antonio Carafa, Grande Ammiraglio del Regno, massima autorità in materia di Marina Militare, avendo qualche mese prima nominato Giovanni Gonnella successore di Muzio Grifo nella carica di Vice Ammiraglio, ordina a quest’ultimo di trasferire al nuovo eletto gli arredi del galeone che aveva preso in consegna. Il Grifo obbedisce, ma per sua cautela pretende sia stipulato un atto notarile nel quale il suo successore dichiara di aver effettivamente avuto da lui i beni del galeone, come da elenco allegato. Sempre il Grifo dichiara di aver consegnato al Gonnella una dettagliata relazione sul naufragio, così come gli era stata richiesta dal Mastro Portolano di Barletta. In base ad essa, si riserverà di pretendere quanto gli spetta per le spese da lui sostenute per il recupero e la custodia dei beni recuperati. L’appartenenza di quanto veniva salvato dai naufragi, era in quel tempo regolata dallo “jus naufragii”, un’antica legge del mare che consentiva alle autorità dello Stato nelle cui acque avveniva il sinistro, di incamerare ogni cosa, a totale detrimento dei proprietari delle imbarcazioni, delle merci e degli equipaggi superstiti. I proprietari del carico potevano tentare il recupero, ma le loro istanze si scontravano contro un muro spesso invalicabile di cavilli burocratici. In realtà, nel corso del tempo la legge subì diverse modifiche che prevedevano forme di risarcimento, o possibilità di restituzione, sia pure gravate da pesanti tassazioni, Inoltre vi furono sempre annosi conflitti su quale Organo centrale avesse reale giurisdizione sui naufragi. Sicché la giurisprudenza e le sentenze della Sommaria attribuirono la competenza ora al Vice Re, ora al Grande Ammiraglio, ora al Fisco. A questo si aggiungevano le pretese dei Maestri Portolani, che avevano competenza civile in materia marittima, e che in genere disponevano di maggior personale per le incombenze di primo intervento. La situazione diventava ancora più complicata quando il sinistro si verificava lungo litorali di terre feudali, dove i locali Signori, con le loro milizie, pretendevano pieni poteri di gestione di merci e persone spiaggiate. Questo atto notarile, tradotto dal latino per maggiore comprensione, riveste al nostro parere una certa importanza perché riporta l’elenco completo della velatura, delle manovre fisse e di quelle correnti, dell’alberatura, delle armi e degli arredi. Notaio Marcoantonio Andrisano. 1586. Bari, 5 settembre 1586. “Nel soprascritto giorno si è costituito in nostra presenza il magnifico Giovanni Prudenzio Gonnella di Grumo, nominato vice ammiraglio della città di Bari dall’illustrissimo signore don Antonio Carafa, marchese di Corato, attuale Grande Ammiraglio del Regno in nome del Re Cattolico. Il quale in nostra presenza ha spontaneamente dichiarato di aver ricevuto dal magnifico Muzio Grifo di Corato, ex vice ammiraglio della stessa città di Bari, suo predecessore nella carica, e di essere entrato in possesso come vice ammiraglio, dei beni naufragati nei mesi passati nelle acque della predetta città di Bari insieme al galeone chiamato San Giovanni Battista dei Gozzi, comandato e di proprietà di Paolo di Ragusa. I quali beni, e cioè armamento, corredo ed altro, erano in possesso del predetto magnifico Muzio, in virtù della carica che ricopriva, ed attualmente sono stati da lui consegnati al magnifico Giovanni Prudenzio, per ordine scritto spedito dal predetto illustrissimo signore Grande Ammiraglio; ordine che ci è stato consegnato e mostrato e che di seguito rendiamo pubblico a chi di competenza: (segue in originale notarile) Magnifico Muzio Grifo nosto ex ammiraglio nella città di Bari. Perché più mesi sono che per Noi si è provisto il detto officio di vice almirante de questa città di Bari, in persona del magnifico Giovanni Gonnella de Grumo, il quale ne ha fatto intendere che in potere vostro vi siano robbe naufragate, giontamente con li acti sopra di ciò facti et volendono Noi provedere como se conviene, ve dicimo et ordinamo che debiate subito mediante publico inventario, consignare in potere de dicto magnifico Giovamnni Prudenzio tucte le robbe naufragate, insieme con li acti, retenendone in potere vostro le spese che legittimamente havete facto in la recuperatione et conservazione di dicte robbe. Et così potrete exeguire non fando il contrario, sotto pena di cento onze. Corato, primo settembre 1586. Il Marchese di Corato”. Conseguentemente il detto Magnifico Giovanni Prudenzio, su pubblica e legittima richiesta del predetto ex vice ammiraglio Muzio Grifo ha dichiarato essergli stati consegnati i seguenti beni naufragati: 3 ancore grosse e 2 piccole, 2 gumine usate et un’altra gumina di mezza vita, un’altra guminacza grossa a modo di terzizza, 1 penulo grande della maistra, 1 penulo del trinchetto, il penulo de la mezana, il trinchetto di chebba, una mezza gumina vecchia, il timone con 6 ferri novi, 2 pezzi a rota con tre cochiare, diece petrere di bronzo, 2 petrere di ferro, 25 mascoli, septanta palle di ferro, 5 arcabusi, 5 lancie da nettare et caricare li pezzi, 1serra grande, 1tamburo, 1 bandiera con sancto biase, 1 figura, 1 lanterna, uno legname dell’albore grande, un altro legname dell’arbore del trinchetto, uno legname de la mezzana, un altro legname del trinchetto, uno manto de la mezana, la ghinda resa de la mezana, una funde de la mezana, dui contri de la maiestra grande, una guarina di trinchetto di prora, tre funde de trinchetto de prora, due mantichi de trinchetto di prora, una scotta di cheba, dui manali longhi de tunifarse, tre cupiani curti, il gancio de l’ancora con suo capo, uno manale longo del frascone, la gumina di cheba, due scottine, due scove de la rivadera, due mantichi della maiestra grande, uno manale del frascone, due scove del trinchetto, dui fundi de maiestra, dui barili et mezzo pieni di pece, dieci rotoli di stoppa, una caldara grande et un’altra piccola, una chizza di ferro, un campaniello di bronzo, il trinchetti di proda, la maiestra grande, una vela de la rivadera, una benecta grande, una benecta straczzata de trinchetto, dieci sacchi vecchi et vacui, una cascia di noce usata, septi sacchetti pieni di polvere, tre ferri de fare le balle, cinque stropponi, vinti tambagni di bronzo, due mezz’hore , due bussole , due lanci con li ferri de la tromba, quattro marcigliuni di ferro, quindici remi, la barca grande de la nave con li suiu pagliuli, il suo arganello, li schiffo picclo, quattro spontoni di ferro, cinque alabarde, uno ferro de la bumba, due scontine di prora, dui manti del trinchetto di prora, dui bregocti de li penuli grandi, due contri del trinchetto, il sragio del trinchetto, le sarcie del trinchetto, la sarcina de bunecta, l’archinella del tinchetto, due piccaressi, li gardoghi de la maistra, unmansicchio di cheba, due bragocti di cheba, la palomba et la barbara, dui cordoni de l’ancora, due buzze de li penuli, uno capo de coronella, lo inanto del frascone, lo scandaglio senza piombo, un mulo necto, due gripie de l’ancora, octo barrili de tenere acqua, una mola de amolare, una vela del sciffo, vintiquattro raglie, tre pale, un capo piano che si cala il trinchetto, una rifa da assalpare l’ancora alias andrinello, una sega, quattro lucerne di ferro, una frisola, una caldarola, uno tabulone, dodeci tavoe de lettiere, dui trepeti, un catinazzo, tre bagliuli de le bombarde, l’argantina del timone. Lo scafo del galeone non è compreso nel detto inventario, in quanto fu venduto dall’illustrissimo Signor Regio Governatore della città di Bari, in obbedienza alle disposizioni emanate dalla Regia Camera della Sommaria il 31 luglio 1586. Inoltre il detto signor Muzio consegnò al predetto signor Giovanni Prudenzio una dettagliata relazione intorno al naufragio del Galeone, così come gli era stata fornita dal signor Regio Secreto. In base a detta relazione, il predetto Muzio si riserva di pretendere per se su questi beni naufragati quanto legittimamente gli spetta per le spese sostenute per il recupero e la custodia dei detti beni, e per quant’altro gli si possa legalmente essere dovuto”. © Riproduzione riservata

Autore: Ignazio Pansini
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