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La città che vorrei: aperto il cantiere del centrosinistra a Molfetta
29 novembre 2010

MOLFETTA - Quello di costruire un cantiere del centrosinistra è il tentativo, secondo Giovanni Abbattista (PD), di cominciare a discutere di idee, di evitare di fondare un progetto politico su un calcolo elettoralistico, per far partire una nuova riscossa civile.
E’ stata un’introduzione molto breve quella di Abbattista e di Beppe Zanna (Rifondazione comunista), venerdì sera alla sala Beniamino Finocchiaro, perché l’obiettivo della serata, come ha affermato Zanna, è quello di innescare “un dialogo circolare, consapevole dei problemi”. Per trarre dagli spunti dei cittadini dei progetti che ripensino la bellezza di Molfetta, che considerino la manodopera intellettuale come una risorsa, che colgano l’importanza di una seria politica culturale.
Ma c’è un rischio, come ha messo in evidenza Onofrio Romano, intervenuto nel corso della serata, ricordando la situazione del ’94, a Molfetta. Una situazione in cui si venne a configurare una logica di liberazione dal potere non genuino, finalizzata alla creazione di un’arena neutra, “uno spazio vuoto per fare il proprio gioco”. Ma è proprio a questo punto che i cittadini diventano deboli e si lasciano proteggere dal potente di turno. “I liberi cittadini sono preda dei pescecani. Per questo dobbiamo ripensare il potere, dobbiamo prenderci la responsabilità di governare i processi”.
E forse è mancata proprio una linea di lettura dei processi, da parte di chi si è proposto di raccogliere i bisogni della gente per sistematizzarli in un progetto politico nuovo. I bisogni, restando frammentari, rischiano di disorientare la gente rispetto a una lettura unitaria della situazione cittadina, che non è attanagliata solo dalle macchine che invadono la zona del Duomo o dai centri commerciali.

La società, come ha messo in evidenza Vito Copertino, è animata da conflitti, che riguardano il mondo del lavoro, l’urbanistica, i beni comuni, la cultura. E’ da quei conflitti che bisogna partire, altrimenti i problemi restano sconnessi e inosservate le condizioni a partire dalle quali nascono certi disagi.
Non sono mancati comunque gli spunti interessanti, che hanno messo in evidenza la voglia di ricominciare ad interrogarsi, a confrontarsi, a ripensare una Molfetta a misura di sinistra.
Gli interventi, numerosi, hanno messo in campo punti di vista spesso distanti, ma mossi da quella che per ciascuno rappresenta l’essenza della città, perdendo di vista la quale le politiche resterebbero vuote, si allontanerebbero dall’idea di un progresso autentico, quello che investe le nostre vite, la nostra storia, e che per Enzo Massari non può essere ridotto ai parcheggi o alle politiche culturali.
Guglielmo Minervini (PD), assessore regionale ai Trasporti,  ribadisce che la gestione dei beni culturali non rappresenta solo un fatto estetico, ma investe anche la visione economica che abbiamo di Molfetta. “La sfida vera è costituita da quello che vogliamo fare di Molfetta”.
E questa visione della città si allarga nelle parole di Tommaso Minervini (Sel), che afferma che a fondamento di ogni progetto deve esserci il “riconoscimento etico dell’altro”, grazie a cui soltanto è possibile sconfiggere il sistema valoriale di Berlusconi.
I bisogni della gente sono al centro degli interventi di Beppe Filannino, di Mauro Brattoli, di Vito Mongelli e degli altri intervenuti, fra i quali Pietro Capurso denuncia alla sinistra di essersi adagiata sugli allori, allontanandosi dalle persone in carne e ossa.
Resta da mettere insieme i pezzi di questo nuovo progetto politico, senza il quale le domande di uno studente, Domenico Vilardi, riguardanti la sostanza di questo nuovo “cantiere” politico, non possono avere risposta.
© Riproduzione riservata
 
Autore: Giacomo Pisani
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1° Parte. - Nella misura in cui il mondo del lavoro è concepito come una macchina e meccanizzato di conseguenza, esso diventa la base potenziale di una nuova libertà per l'uomo. La civiltà industriale contemporanea mostra di aver raggiunto lo stadio in cui “la libera società” non può più essere definita adeguatamente nei termini tradizionali delle libertà economiche, politiche e intellettuali; non perché queste libertà siano divenute insignificanti, ma perché hanno un significato troppo ricco per confinarlo entro le forze tradizionali. Occorrono nuovi metodi di realizzazione, tali da corrispondere alle nuove capacità della società. Codesti nuovi modi possono venire indicati solo in termini negativi poiché equivarrebbero alla negazione dei modi che ora prevalgono. In tal senso, la libertà economica significherebbe libertà dalla economia, libertà dal controllo di forze e relazioni economiche; libertà dalla lotta quotidiana per l'esistenza, dal problema di guadagnarsi la vita. Libertà politica significherebbe liberazione degli individui da una politica su cui essi non hanno nessun controllo effettivo. Del pari la libertà intellettuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall'indottrinamento di massa, ed equivarrebbe pure all'abolizione dell'”opinione pubblica”, assieme con i suoi produttori. La forma più efficace e durevole di lotta contro la liberazione è la coltivazione di bisogni materiali e intellettuali che perpetuano forme obsolete di lotta per l'esistenza. (continua)
2° Parte - . E' possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi. I bisogni falsi sono quelli che vengono sovrimposti all'individuo da parte di interessi sociali particolari cui preme la sua repressione; sono i bisogni che perpetuano la fatica, l'aggressività, la miseria e l'ingiustizia. Può essere che l'individuo trovi estremo piacere nel soddisfarli, ma questa felicità non è una condizione che debba essere conservata e protetta se serve ad arrestare lo sviluppo della capacità (sua e di altri) di riconoscere la malattia dell'insieme e afferrare le possibilità che si offrono per curarla. Il risultato è pertanto un'euforia nel mezzo dell'infelicità. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare e odiare ciò che altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni. Il prevalere di bisogni repressivi è un fatto compiuto, accettato nel mezzo dell'ignoranza e della sconfitta, ma è un fatto che deve essere rimosso sia nell'interesse dell'individuo felice sia di tutti coloro la cui miseria è il prezzo della sua soddisfazione. I solo bisogni che hanno un diritto illimitato ad essere soddisfatti sono quelli vitali: il cibo, il vestire, un'abitazione adeguata al livello di cultura che è possibile raggiungere. La soddisfazione di questi bisogni è un requisito necessario per poter soddisfare tutti gli altri bisogni, sia quelli non sublimati sia quelli sublimati. (Tratto da: L'uomo a una dimensione - Herbert Marcuse ) (fine)



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