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La cicoria tra cucina agricoltura e tradizioni a Molfetta
15 giugno 2015

Il tema principale dell’EXPO 2015 di Milano è il cibo e l’approvvigionamento agroalimentare mondiale in genere. Nello spazio espositivo la Puglia, come regione di prim’ordine nella produzione agroalimentare, sarà presente all’Expo 2015 e dal mese di agosto Molfetta presenterà ai visitatori, tra le sue primizie l’ottimo olio extravergine d’oliva un suo prodotto agricolo: una verdura di largo consumo, la cicoria detta la Puntarella di Molfetta. Si tratta di un ortaggio molto diffuso in Italia e nei Paesi Mediterranei per cui rimandiamo il lettore a consultare la voce cicoria in Internet per saperne molto di più circa la varietà, la qualità e i valori nutritivi. In questa sede ci soffermeremo per conoscere l’utilizzo di quest’ortaggio in ambito locale. Risale alla metà del XVI sec. la prima citazione di un’erba spontanea commestibile conosciuta come cicoria selvaggia. Allo stesso periodo risale l’uso del soprannome cicorie amare affibbiato a un proprietario terriero molfettese1. Nel nostro pur esiguo agro rurale, sin dall’inizio del XVII sec., i contadini designavano, nell’ambito della vasta contrada Isola, una porzione di essa denominata col toponimo rurale macchia delle cicorelle o macchia cicorielle situata verso levante limitrofa alla Ferrovia e quasi ai confini di Giovinazzo. Il topononimo nasce sicuramente dalla diffusione in quel luogo della pianta di cicoria allo stato selvatico. La macchia delle cicorielle di 11 vigne nella metà del XVII sec. era di proprietà della famiglia Passari; nel 1679 fu venduta alla signora Maria Antonia Oliviero, vedova di Giuseppe Panunzio2. Le diverse varietà di cicoria coltivate e poi consumate da noi erano, oltre alla cicoria selvatica, la cicoria bianca, la cicoria rossa o romana e la cicoria con capelli3. Una minestra, i cui ingredienti erano la pasta e le cicorie, era data abitualmente come pasto ai soldati di passaggio, quando facevano tappa nella nostra città nei XVI e XVII sec. Le cicorie erano servite anche lesse. Nel 1702 don Pompilio Francone, cappellano dell’Ospedale della Confraternita della Pietà, curava l’acquisto dei viveri destinati agli ammalati; nella lista figurava l’acquisto delle cicorie4. L’uso della cicoria in medicina è noto sin da tempi remoti; anche da noi si usavano molte erbe a scopo medicinale e all’uopo abbiamo una dichiarazione spontanea resa davanti ad un notaio nel mese di ottobre del 1755 quando tale Donato dello Russo affermò che soffriva di dolore al petto e chiese al dottor fisico Giovanni Battista De Bonis, medico condotto di Molfetta, un rimedio per alleviare il dolore; il dottore gli prescrisse espressioni di semenza di melone et acqua di cicorie la mattina, egli così fece e guarì5. I contadini locali per la mancanza di acque superficiali sfruttavano le terre vicino al mare dove riuscivano a pochi metri di profondità a captare le falde di acqua sotterranea che con macchine rudimentali, come le norie, la tiravano su e irrigavano gli orti. Nel corso della costruzione dell’impianto fognario nel 1929 circa, a monte della S.S. 16 dopo il Santuario della Madonna dei Martiri, furono eseguite delle espropriazioni di terra per la posa della condotta fognaria; qui erano piantate diverse colture di verdure tra cui la cicoria. Nel costo dell’espropriazione venne calcolato anche il costo del mancato raccolto relativo a 1640 piantine di cicorie e si valutò a 17 centesimi ogni piantina. Il prezzo fu equo in quanto allora sul mercato il loro prezzo di vendita oscillava da 0,10 a 0,20 centesimi secondo la qualità6. Queste esigue noterelle di microstoria locale hanno lo scopo di estendere la conoscenza della nostra storia, il modo di vivere e di alimentarsi dei nostri avi.

Autore: Corrado Pappagallo
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