L'organetto e la morte bella
Il racconto
Una delle tradizioni più tenaci a scomparire a Sant'Ilario, un paesino di un pugno di anime in provincia di Potenza, è il suonare l'organetto. Vi sono campioni nazionali e internazionali di questo strumento che provengono di lì, e ogni anno durante la non lunga calura estiva, si organizza un concorso per suonatori di organetto. Vi partecipano diverse categoria di suonatori, dai principianti, ragazzini che riescono appena a stare in piedi e vecchietti arzilli per nulla domi, ai maestri, spesso ragazzi anche giovanissimi in grado di effettuare acrobazie e virtuosismi inenarrabili con questo strumento all'apparenza semplice.
Ho seguito personalmente alcunti festival, e, lo confesso, se prima guardavo a questo genere di manifestazioni con sufficienza e divertimento ora, dopo aver ascoltato suonatori incredibilmente bravi, ho tramutato tutto ciò in profondo e pentito rispetto.
La prima volta sono stato invitato alla manifestazione da un conoscente, un abitante di Sant'Ilario di nome Vito, che fa l'infermiere nell'ospedale di Potenza. Così, tanto per parlare, gli ho chiesto come mai l'organetto fosse così importante per quel paese. Lui mi ha risposto che non lo sapeva, ma che suo nonno raccontava spesso una storiella. E, vedendo il mio interessamento, l'ha raccontata a me. Non so se sia tradizione del posto, o una favoletta inventata da qualcuno. Ve la ripropongo più o meno come mi è stata narrata. (D.A.)
Rocco era un vecchio di Sant'Ilario piuttosto anziano, - un tempo chi raggiungeva i sessant'anni era già molto anziano, il lavoro dei campi faceva invecchiare rapidamente - che aveva una sola passione coltivata per tutta la sua vita: l'organetto. Aveva imparato a suonare quello strumento da suo padre, che l'aveva imparato a sua volta da suo padre, e così via.
Rocco non aveva mai conosciuto nella sua vita un giorno di festa, a parte quando si era sposato. Faceva il pecoraio e persino quando erano nati i suoi tre figli lui stava accudendo le greggi, unico patrimonio dal quale ricavava il magro sostentamento per sé e per tutta la sua famiglia.
Passava il suo tempo con le pecore suonando l'organetto, il suo personale prezioso organetto, finemente cesellato e dipinto con colori caldi. Eseguiva non soltanto quelle canzonette tipiche di quello strumento, ma ne componeva lui stesso, seguendo l'ispirazione della natura allora davvero incontaminata. In qualche rara occasione, durante particolari ricorrenze e soltanto dopo che tutte le sue bestie erano state accudite e richiuse nella stalla, partecipava a feste paesane suonando il suo strumento. Era molto apprezzato, tranne…
Beh!, Rocco aveva composto una dolcissima e triste melodia. Quando suonava le allegre canzonette popolari, era acclamato e applaudito a lungo, facendo la gioia dei danzatori, ma quando suonava la sua nenia tutti scuotevano il capo e si allontanavano. Durante una festa la tristezza quotidiana doveva giustamente essere bandita.
Questo lo mortificava profondamente. Era felice quando apprezzavano il modo in cui suonava l'organetto, ma restava desolatamente solo quando iniziava a suonare la sua composizione e a capo chino se ne tornava mogio mogio a casa. Eppure era certo che la sua musica fosse bellissima.
I giorni passavano uguali, e l'inverno della sua vita si avvicinava. Rocco non aveva paura di morire, del resto ha paura di morire chi vive una vita felice e piena di soddisfazioni, mentre lui poteva contare sulla punta delle dita di una mano i giorni in cui era stato 'quasi' felice. Almeno così credeva.
E un giorno giunse la morte. A reclamarlo.
Lui, come tutti del resto, fu colto alla sprovvista.
Quando vide la morte sotto le sembianze di una bellissima fanciulla avvicinarsi e dirgli che era finita, le chiese: “Posso portare qualcosa con me?”
La morte scosse il capo: “Non puoi portare null'altro che la tua anima che dovrà essere giudicata.”
“Non ho paura di questo, né ho paura di lasciare in terra tutto il frutto del mio lavoro. Ne godranno i miei figli, ammesso che vogliano continuare questo genere di vita senza futuro.”
“E allora? Cosa vorresti portare con te nell'altra vita?”
“L'organetto.”
La morte, giovane fanciulla, rise divertita per quella davvero insolita richiesta. Era davvero bella, non come la si raccontava.
“Moltissimi vogliono portare il denaro o altri oggetti preziosi con sé, altri persino le persone care. Sei il primo che mi fa una richiesta del genere. Ma mi dispiace, non è proprio possibile.”
“Allora concedimi un ultimo desiderio.”
“Io non posso concedere nulla, io sono soltanto una messaggera. Ma…”
“Ma…?” incalzò Rocco speranzoso.
“Ma posso intercedere nei confronti del Giudice. Se l'hai meritato ci può essere qualche possibilità. Dimmi, qual è questo tuo desiderio?”
“Vorrei suonare per l'ultima volta l'organetto. Solo suonarlo.”
La morte sollevò gli occhi al cielo e restò qualche secondo in assoluto silenzio, come in ascolto, poi riportò lo sguardo sul vecchio e con un ampio sorriso disse: “Il Giudice ha controllato la tua vita e ti concede quest'ultimo desiderio.” E gli fece comparire tra le mani un bellissimo organetto argentato.
Rocco scosse energicamente e disse: “Io voglio suonare il MIO organetto.” Mise delicatamente da parte quello comparso nelle sua mani e, sollevato il coperchio di una vecchia cassapanca tirò fuori il suo organetto, logoro, bisunto, ma… suo.
E iniziò a suonare.
La sua dolcissima e triste nenia.
Lo fece in maniera struggente, mettendoci il cuore di sempre e, quella volta, anche l'anima. Fu un 'pezzo' meraviglioso.
Quando finì fece per alzarsi e seguire la fanciulla. Che però, con le lacrime agli occhi, scosse il capo: “Resta, io… posso tornare un'altra volta.” E come fiato in freddo inverno si trasformò in nube e scomparve all'istante.
Il mio amico mi assicura che qualcuno racconta ancor oggi d'aver visto non molti anni addietro una giovane e bella fanciulla far visita di tanto in tanto a Rocco, e di aver udito il vecchio suonare ogni volta la sua melodia all'organetto.
Qualcuno giura di non aver visto mai uscire dall'umile casa la fanciulla.
Rocco, il nonno del narratore, è morto all'incredibile età di cento e due anni.
Lo stesso giorno in cui gli si ruppe tra le mani, il suo prezioso organetto.
Donato Altomare