Recupero Password
L'inquinamento bellico delle acque molfettesi: proposte e prospettive
04 aprile 2011

MOLFETTA - Finalmente qualcuno riprova a porre il problema dell’iprite nelle acque molfettesi, che “Quindici” continua a sollevare da lungo tempo, ma che le istituzioni non smettono di ignorare.

Questa volta a confrontarsi con i pescatori ci sarà l’assessore regionale alle infrastrutture Guglielmo Minervini, che già in occasione del confronto fra i candidati molfettesi alla regione, organizzato da “Terre libere”, fu sorpreso dalla testimonianza di Vitantonio Tedesco, pescatore molfettese, fra i primi a denunciare gli effetti devastanti delle sostanze chimiche presenti nel nostro mare sulla salute dei pescatori.
Anche Tedesco sarà fra i relatori, sabato 9 aprile, alla Fabbrica San Domenico, e ci sarà anche Guglielmo Facchini, il medico che diagnosticò a un giovane pescatore molfettese un’infiammazione dovuta molto probabilmente al contatto con sostanze chimiche, di cui “Quindici” si occupò approfonditamente.
Si preannuncia un convegno di studi interessante, quello organizzato dall’Accademia Europea di Formazione per la Tutela dell’Ambiente, la Sicurezza e la Protezione Civile “Karol Wojtyla”, che porta il titolo “Proposte e Prospettive per l’Emergenza Ambientale da Inquinamento Residui Bellici della Costa Adriatica”.
Il programma prevede l’apertura dei lavori alle 9 del mattino, per voce di Giuseppe Tulipani, Presidente dell’Accademia “K. Wojtyla”. A moderare ci sarà Michele Marolla, Capo Redattore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
La prima sessione, intitolata “Le Cause, le indagini e le testimonianze”, riguarderà l’inquinamento e l’avvelenamento della flora e della fauna marittima da parte di ordigni e di residuati bellici a caricamento speciale nei mari di Molfetta. Si parlerà anche della distruzione della vita nei fondali interessati, della perdita, fino alla completa scomparsa, del pescato; dei danni genetici, della malattie degenerative, neoplasie e della morte delle specie viventi, compresa la specie homo sapiens sapiens.
Alle 9.30, dopo la proiezione del filmato N.A.T.O. sull’iprite a Molfetta, in cui la nostra città compare fra le sei più gravi emergenze ambientali del pianeta, introdurrà la sessione Guglielmo Facchini, medico e ricercatore. Alle 9.45 interverrà Antonio Savasta, magistrato della Procura della Repubblica di Trani.
Dalle 10 alle 11 sarà possibile ascoltare le testimonianze di Vitantonio Tedesco, Presidente della Cooperativa Piccola Pesca di Molfetta, che già “Quindici”ha più volte intervistato e Gianni Lannes, giornalista, autore d’inchieste sull’argomento.
Nella seconda sessione, intitolata “Lo stato dell’arte, rimedi e interrogativi”, si discuterà degli aspetti istituzionali della vicenda legata all’inquinamento bellico del nostro mare, e in particolare dei fondi per la bonifica, delle interrogazioni parlamentari, dei fondi per il ripristino del Parco Nazionale della Posidonia Oceanica, dell’oasi protetta di Torre Calderina e dei percorsi e dello status giuridico delle lame che attraversano il territorio e sfociano nel Parco nazionale della Posidonia Oceanica.
Concluderà Guglielmo Minervini, Assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Giacomo Pisani
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quale sia l'origine del mondo dove ci troviamo a vivere è una questione fondamentale che ha appassionato gli uomini fin dai tempi più antichi. Miti sulle origini sono comuni nelle tradizioni di molte popolazioni primitive vissute nelle regioni più disparate della Terra. Dalle idee laiche di filosofi come Aristotele o Apollonio di Rodi, che pensavano che il mondo non avesse inizio o fine alle credenze sia precristiane che giudeo-cristiane secondo cui il mondo è stato creato dal nulla, anche se in tempi e processi diversi. La tradizione biblica ha influenzato fortemente le idee dell'Occidente sulle origini del mondo. La visione della Bibbia, con la concezione di un universo fatto per l'uomo, ha portato all'idea che la Terra sia stata creata poco prima della comparsa dell'uomo. Di conseguenza , l'età della Terra veniva stimata a non più di poche migliaia di anni, sulla base di calcoli sul numero di generazioni trascorse da Adamo a Cristo. La stima più nota, proposta nel 1650, fu quella dell'arcivescovo Ussher, primate della Chiesa anglicana irlandese, secondo cui la Terra fu creata nel 4004 avanti Cristo. Le rivoluzioni copernicana e galileiana e gli studi della Terra da parte di numerosi naturalisti spostarono le stime dell'età della Terra sempre più indietro nel tempo. Uno dei grandi pionieri della geologia, James Hutton, a conclusione del suo libro “A Theory of the Earth” affermava nel 1788 di non riscontrare nella natura “tracce di un inizio o indizi di una fine”. I geologi avevano ragione! Infatti, c'è oggi un consenso ampio tra gli studiosi, nel porre l'età della Terra a oltre 4 miliardi e mezzo di anni, molto prima dell'avvenuta dell'uomo.
T.G. si e ci chiede: l' UOMO sopravviverà a se stesso? Bella domanda, classica da un milione di dollari! Ci sono varie ipotesi, scelgo quella più a lungo termine, per dare lunga vita alle future generazioni. (Enciclopedia della Scienza) – Il Sole consente la vita sulla Terra fornendo l'energia necessaria ad attivare i principali meccanismi che ne stanno alla base; inoltre l'insolazione della superficie terrestre regola il clima e la maggior parte dei fenomeni meteorologici. Ci si può quindi chiedere cosa succederà al Sole fra 4 o 5 miliardi di anni, quando esso avrà esaurito l'idrogeno e dovrà trovare un nuovo equilibrio. Calcoli basati sulle leggi della fisica mostrano che il Sole subirà allora un raffreddamento e, in circa un miliardo di anni, si porterà a una temperatura più bassa di quella attuale (in superficie circa 3700 gradi invece che 6000). Il Sole cambierà allora colore, diventando rosso invece che rimanere giallo, e si gonfierà fino a essere centinaia di volte più grande rispetto alle dimensioni attuali. I nostri lontani discendenti vedranno in cielo una gigantesca palla rossiccia e, a un certo punto, la Terra verrà riassorbita dal Sole. Quanto previsto per l'avvenire del Sole e di stelle simili trova riscontro nelle osservazioni. Esistono infatti in cielo molte stelle, rosse e grandissime, che si trovano in questa fase della loro vita. Per esempio, Betelgeuse, nella costellazione di Orione, potrebbe contenere al suo interno più di un milione di soli……. Il nucleo del Solke è destinato a diventare una nana bianca. Le nane bianche non hanno più combustibile da bruciare e si raffreddano lentamente, diventando sempre più scure, fino a essere praticamente invisibili (nane nere). Se prima di tutto questo non accada che..............

Il modo per risolvere il problema della pesca marina è una conduzione basata sugli ecosistemi, volta a mantenere o, dove necessario, ristabilire la struttura e la funzione degli ecosistemi entro i quali si trovano le zone di pesca. A questo scopo occorrerebbe considerare le esigenze alimentari delle specie chiave degli ecosistemi (in particolari i mammiferi marini), abolendo le tecniche di pesca che distruggono i fondali marini e istituendo riserve marine o zone di divieto per controbilanciare gli effetti della pesca nelle aree consentite. Queste strategie sono compatibili con il sistema di riforme proposto da anni da ittiologi ed economisti: ridurre drasticamente le potenzialità di pesca delle flotte in tutto il mondo; abolire le sovvenzioni governative che sostengono flotte di pesca in passivo; e far rispettare con rigore le restrizioni sulle tecniche di pesca che danneggiano gli habitat o che coinvolgono specie prive di interesse alimentare. La creazione di aree di rispetto sarà fondamentale per salvaguardare le zone di pesca di tutto il globo. Alcune zone di rifugio dovranno essere vicine alla riva per proteggere le specie costiere, mentre altre dovranno estendersi al largo per tutelare i pesci oceanici. Oggi esistono zone protette, ma si tratta di aree piccole e disperse. Lle riserve sono viste dai pescatori – e anche dai governi – come concessioni ai gruppi ambientalisti, ma in futuro dovranno essere considerate e gestite come strumenti per la protezione della pesca. Uno degli scopi prioritari è anche proteggere le specie che vivono a grandi profondità e a distanza dalla costa. Si tratta di specie che erano rimaste al riparo dallo sfruttamento prima che l'industria ittica sviluppasse tecniche atte a raggiungerle. Una pesca di questo tipo significa sfruttare una risorsa non rinnovabile, perché i pesci delle fredde e buie profondità hanno un tasso di riproduzione molto basso. Le misure proposte permetterebbero alle aree di pesca di diventare sostenibili.
Da decenni l'industria della pesca sta sfruttando eccessivamente le risorse del mare, tanto da ridurre in modo drammatico le popolazioni di molte specie ittiche. Le popolazioni delle specie di interesse commerciali vanno diminuendo e le dimensioni dei singoli esemplari pescati sono sempre più piccole perché moltissimi pesci vengono catturati prima che raggiungano la maturità. Il fenomeno non riguarda solo l'Atlantico settentrionale ma interessa tutti i mari. Molti pensano, erroneamente, che il responsabile del declino delle specie sia l'inquinamento; altri non si rendono conto della riduzione in atto, perché nei mercati trovano ancora casse di spigole e tranci di tonno. Per quale ragione si tende a credere che la pesca commerciale non abbia quasi alcun effetto sulle specie catturate? Questa convinzione è un'eredità di epoche passate, quando la pesca costituiva un'attività vitale il cui ricavato era strappato a fatica a un mare ostile con piccole imbarcazioni ed equipaggiamenti rudimentali. Recenti studi dimostrano che non possiamo più continuare a pensare al mare come una fonte inesauribile, depositaria, di risorse senza fine. I pescatori devono spingersi sempre più al largo e in acque sempre più profonde per riuscire a mantenere i livelli di pesca del passato e per far fronte alla domanda alimentare di pesce che continua a essere in crescita. Lo sfruttamento eccessivo e la pesca in mare aperto sono le pratiche insostenibili, che determinano il depauperamento delle specie ittiche importanti. La prova più convincente del fatto che la pesca stia devastando gli ecosistemi marini è il processo chiamato “pesca alivelli sempre più bassi della rete alimentare”: cioè il ricorso alla pesca delle specie più piccole, che di solito costituiscono le prede dei pesci più grossi come tonni e pesci spada, quando questi ultimi, posti alla sommità della catena alimentare, si fanno sempre più rari a causa dell'ipersfruttamento. Necessitiamo di leggi protettive.

Con realtà, lealtà, coraggio e naturalezza. – Nel corso della sua storia la Terra ha assistito a cinque estinzioni di massa, dovute a cambiamenti climatici o a eventi catastrofici (come nel caso della scomparsa dei dinosauri, forse causata da un meteorite precipitato sulla Terra). In ogni caso l'estinzione, come la speciazione, fa parte del naturale processo evolutivo dei viventi. Da quando la vita è esplosa sulla terraferma, i paleontologi sono stati in grado di individuare cinque grandi fenomeni di estinzione, definiti “estinzione di massa” per il gran numero di specie che hanno coinvolto, e che si sono verificati rispettivamente alla fine dell'Ordoviciano, 440 milioni di anni fa, alla fine del Devoniano, 365 milioni di anni fa, alla fine del Permiano, 250 milioni di anni fa, alla fine del Triassico, 205 milioni di anni fa, e alla fine del Cretaceo (quest'ultima è probabilmente l'estinzione di massa più nota al grande pubblico perché, 66 milioni di anni fa, coinvolse la gran parte della specie di dinosauri che allora abitavano il nostro pianeta). In tutti questi fenomeni di estinzioni di massa si calcola che si siano perse dal 75% al 95% (punta toccata con l'estinzione di massa della fine del Permiano) delle specie viventi. Normalmente la durata media della vita di una specie, rispetto ai dati fin qui raccolti, va da 1 milione sino a 11 milioni di anni. La comunità scientifica internazionale che studia i sistemi naturali e la biodiversità è oggi concorde nel ritenere che l'intervento umano stia provocando una sesta estinzione di massa. Si tratta di un'estinzione di massa molto particolare perché per la prima volta viene causata, direttamente, da una specie che condivide con le altre il nostro pianeta: l' U O M O.

“Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione per il recupero dell'adulto analfabeta” – Programma televisivo condotto dal maestro Manzi, dal 15 novembre 1960 al 1968 anno in cui potè essere sospesa per la frequenza della scuola d'obbligo. Potrebbe invece “essere troppo tardi” il recupero ecologico dell'ambiente terrestre e dei suoi ecosistemi che ha permesso la nascita e crescita dell'essere umano. Per quanto drammatico e doloroso possa sembrare, troppo tempo abbiamo perso per molteplici vicissitudini politiche, sociali e economiche (elencarne non serve). – “Anche gli insetti e i rettili più insignificanti hanno un'importanza e un'influenza nell'economia della natura maggiori di quanto si creda; nonostante le piccole dimensioni che non li rendono degni di nota essi producono notevoli effetti per il loro numero e la loro fecondità. Se i vermi, che apparentemente rappresentano un anello piccolo e insignificante della catena zoologica, venissero a mancare, si creerebbe una grave lacuna” (Gilbert White, The Natural History of Selborne). L'uomo ha gestito male il suo rapporto con la natura, devastando e distruggendo (ancora lo fa) l'ambiente vitale alla sua stessa esistenza e delle future generazioni. Nessun altro essere vivente ha mai avuto la capacità di alterare in modo tanto drastico la biosfera quanto l'uomo. Lo sviluppo tecnologico si è accompagnato a un incontrollato sfruttamento delle risorse naturali e alla distruzione di interi ecosistemi. Per “deviazioni culturali”, l'uomo si è escluso dall'ambiente naturale ritenendosi essere superiore non inerente all'ambiente, cioè a tutto quello che gli sta intorno; mentre il mondo e la natura includono anche l'uomo in quanto organismo o essere naturale. Come disse bene un filosofo del primo Novecento, Ortega y Gasset: “Yo soy yo y mi circunstancia”: io sono io e ciò che mi sta attorno. Noi cosa siamo?

Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet