L'esordio di Paola Natalicchio a Quindici
Ci piace ripubblicare la lettera-articolo con cui Paola Natalicchio esordì come giornalista sul nostro giornale, all’epoca quindicinale “Quindici giorni” in uno dei primissimi numeri. Dopo questa lettera il direttore Felice de Sanctis la chiamò a collaborare con il giornale come redattrice (poi, trasferitasi a Roma per studio e lavoro, è rimasta legata alla testata come collaboratrice). Paola si occupò dei problemi dei giovani, rappresentò la loro voce all’interno delCaro direttore, Sono una ragazza di sedici anni, che vive a Molfetta, città dei pescatori, dei commercianti, degli impiegati di banca; città di chi vive in silenzio, calato nel proprio comodo quieto vivere “Don Abbondiano”, di chi si accontenta della mediocrità, di chi ha imparato a vivere bene senza né sogni né pretese; ma certamente città stretta, scomoda, quasi squallida per chi ha la lecita presunzione di chiedere di più. E in qualità di giovane molfettese mi riservo inevitabilmente il diritto di esternare, con l’impertinenza ma anche con la trasparenza dei miei anni, i disagi che mi portano, come tanti altri adolescenti miei concittadini, a progettare, un giorno di andare via, lontano… Non c’è vita a Molfetta, per chi chiede vita, nel senso più letterale della parola, tanto che la cittadinanza, stanca di richieste vane, non se ne preoccupa, ormai, più di tanto, e tira avanti col capo chino e con vigliacca ma giustificabile rassegnazione. Ma non si speri che tale stato d’animo riesca ad incunearsi anche nello spirito di noi giovani della città, una città che sembra ignorarci, che sembra non averci calcolato, ma che vogliamo anche nostra. Piovono accuse continue su di noi. Passiamo per una folla di teste vuote che popolano Corso Umberto la sera, per una massa di ragazzini immaturi che non sanno quello che vogliono, persi nella superficialità più acuta e nella passività più totale. Sinceramente le ritengo generalizzazioni banalizzanti e fin troppo comode: cosa abbiamo noi di alternativo allo “struscio” serale a Corso Umberto? Abbiamo forse qualche tanto richiesto centro sociale? O qualche più volte promesso centro culturale? Da quanto tempo è che a Molfetta non si vede un concerto di musica leggera? E non ci si venga a dire che mancano le strutture, perché lo stadio «Paolo Poli» non ha nulla da invidiare ai vari stadi di Bisceglie o Trani, dove periodicamente approdano rispettabilissimi nomi della musica leggera italiana. Siamo arrivati ad un livello tale che non possiamo nemmeno usufruire del piacere di vedere un film al cinema da qualche mese, in seguito agli interminabili restauri del cinema “Odeon”, rimasto vergognosamente l’unico cinema della nostra popolosa città. E sarà anche vero che siamo passivi, ma in una città che lo è prima di noi ed in cui non essere tali è impresa ardua, poiché non ve ne sono gli strumenti concreti, non ci si sarebbe potuto aspettare altrimenti. Siamo stanchi, stanchi di essere dimenticati e di non poter godere di realtà che ci spetterebbero di diritto, stanchi di «vivere nei sogni per non morire nella realtà», stanchi di aspettare da sempre che cambi qualcosa senza mai lo straccio di un risultato. E per coloro i quali pensano che sia ingiusto sognare, un giorno, di andare via, lontano, io rispondo che anche per me è molto triste. Ma non me ne si voglia troppo: è davvero tutto ciò che mi rimane!Paola Natalicchio nostro periodico. Perdonateci questo orgoglio di testata, ma vogliamo riproporre alla stessa Paola questo articolo per ricordarle la Molfetta di allora e i disagi giovanili che ritroviamo aumentati anche oggi. Dopo l’oscurantismo azzolliniano, ci auguriamo, che ora che è sindaco, possa e voglia dare risposte a questo disagio. Ecco l’articolo di Paola Natalicchio: