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L’equilibrio imperfetto
15 ottobre 2016

Il viaggio come occasione principe di conoscenza di sé e l’impossibilità di addivenire a un equilibrio perfetto, in cui ogni pulsione vitale sia sottoposta al controllo di una superistanza individuale, sono alcuni tra i nodi concettuali alla base del bel romanzo di Lucia Sallustio, L’equilibrio imperfetto, recentemente edito da Intermedia Edizioni. Non nuova a valide prove nel dominio della narrativa (rammenteremo quella Fidanzata di Joe cui sembrano occhieggiare, in autocitazione, i frequenti riferimenti alla figura di nonna Teresa), la Sallustio opta per un plot focalizzato sull’irrequieto personaggio di Rossella, traduttrice e interprete di professione. Sullo sfondo, non mancano riferimenti al precariato del lavoro intellettuale e alla “proletarizzazione del ceto medio e del settore dei servizi” che ha alimentato gli scritti di autori da Bajani a Murgia, per citare solo alcuni casi. La sostanza, tuttavia, sembra risiedere nell’incapacità della protagonista di decrittare la realtà. La Oddi, infatti (questo è il suo cognome), ha fondato la propria esistenza sull’amore per la parola e sullo studio delle lingue straniere. Il lavoro di traduttrice, occasionalmente di interprete, la induce a lasciarsi pervadere dalla parola per restituirne l’essenza e non tradirla, obiettivo proprio di ciascun valido professionista in tale settore. Eppure, la conoscenza delle lingue, la competenza nella traduzione simultanea restano strumenti di superficiale interazione col mondo, che non determinano empatia. La protagonista, pur nella sua apparente indipendenza di donna in carriera della società globalizzata, finisce con il rivelarsi inetta, perché tendente ad alimentare una tendenza alla fantasticheria che talora falsa la corretta interpretazione della realtà. Un’interprete dei segni, insomma, ma poco delle complesse sfumature dell’animo umano (si veda, a tal proposito, il controverso rapporto con l’amica insegnante Ilde, che di fatto finisce con il fungere per lei da mentore). Questo difetto di presa sulla realtà si concretizza nel disastroso avvio della relazione con Max, che nel cognome stesso - pur nell’accento fuorviante - reca l’impronta del desèo. Irrompe come la legge dell’Eros nella scombinata vita della donna, forse ammiccando all’aristocratico e irrisolto Maximilien de Winter della Du Maurier. Un altro interessante aspetto del romanzo della Sallustio è legato alla registrazione degli effetti della globalizzazione nelle vite del precariato intellettuale del Duemila. I personaggi vivono in un melting pot di culture, di cui l’emblema è il tanto frequentemente citato tatami della discordia. Questo, se da un lato conferisce loro un’aura e un fascino cosmopolita, dall’altro li rende tristemente apolidi. Non a caso si potrebbe registrare la mancanza di colore locale molfettese nella sezione del ritorno di Rossella a casa: i tratti identitari della propria terra fluttuano nella molteplice esperienza della donna, che da Ginevra la conduce a Madrid e poi a Malahide, con l’effetto squisitamente oraziano che il mutar di cielo non paia determinare significativi cambiamenti in uno spirito a tratti disforico. Così il Liceo frequentato dalla ragazza le appare inizialmente quasi una “scatola insipiente”, salvo poi ricolorarsi di emozioni, che preludono a un bel passo di riflessione sugli effetti dell’interpunzione in relazione alla musicalità e alla semantica di un’iscrizione murale. Il percorso di viaggio, che diviene anche valico delle frontiere mutamente tracciate al confine con l’altro, finisce con il suggerire la soluzione di un equilibrio imperfetto, di cui l’emblema è l’altalena basculante, protesa a stabilizzarsi grazie all’interazione tra due individui in sinergia. È il concetto chiave di questo bel romanzo, dalla scrittura avvolgente e musicale, ricca di odori, di stratificazioni culturali e incline all’eleganza anglicizzante e a note di elegiaca saudade.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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