Esistono gli ecologisti “buoni”?
Sembra, a giudicare da quello che si legge sui giornali o si sente in tv, che gli ecologisti si dividano in due categorie.
Alla prima apparterrebbero persone educate e ammodo, ispirate dai buoni sentimenti che provano tutti coloro che sono conviti che la difesa dell'ambiente sia una questione che riguarda tutti allo stesso modo e che, pertanto non si possa non essere ecologisti.
“Tutti sulla stessa barca” (come ebbe modo di dire qualche anno fa l'avv. Agnelli): persone impegnate in opere di sensibilizzazione sulla necessità di difesa degli ultimi paradisi ambientali e delle specie in via d'estinzione, gioiosi bambini che con guanti e palette ripuliscono le spiagge, simpatici romantici disposti a vivere per mesi in cima ad un albero pur di difenderlo, ma anche automobilisti catalizzati e massaie differenziate. Insomma belle facce in cui potersi riconoscere.
La seconda sarebbe composta, invece, da millantatori e menagrami, divulgatori di falsità e pseudoscienze (vedi per esempio gli interventi mensili di Tullio Regge su “Le Scienze” o quello, recente, su “La Repubblica”) o addirittura da “eco–catastrofisti”, secondo la definizione del ministro della Difesa Martino: nemici della civiltà e dello sviluppo, un vero pericolo per la libertà: “peggio di comunisti e nazisti”.
Il fatto è che da quando cose che abbiamo sempre creduto abbondanti e a disposizione di tutti come l'acqua, l'aria pulita, le spiagge o il paesaggio, hanno cominciato a scarseggiare, sono diventate merci. E grazie ad anni e anni di campagne ecologiche e di impegno militante, ciò che è venduto come “ecologico” trova più facile collocazione sul mercato. “Eco” e “bio” fanno, insomma, tendenza.
Così esiste oggi l'eco–turismo, gli eco–incentivi, i detergenti ecologici per frutta e verdura, l'eco–diesel; mi è capitato di leggere persino di “eco–molecole per la pelle” su di un giornale femminile.
Gli ecologisti, diciamo così, “buoni” servono insomma al sistema delle imprese e del consumo.
Gli ecologisti “cattivi”, invece, pensano che il nucleare non sia una gran bella idea e soprattutto da un punto di vista economico, pretendono di intervenire sui piani regolatori, hanno da ridire sul fatto che in Italia si privilegi il trasporto su gomma piuttosto che quello su rotaia e che si voglia fare il ponte sullo Stretto, pensano che nella gestione dei rifiuti ci metta troppo spesso lo zampino la mafia, chiedono controlli sulla salubrità dei posti di lavoro e misure per contenere il traffico cittadino: insomma una rottura. Tant'è che vengono spesso guardati male anche dalla sinistra e dai sindacati.
Ho l'impressione che questa distinzione fra “ecologismi”, inutile per capire il ricchissimo mondo degli ambientalisti, possa essere molto utile a chi governa un paese o, da amministratore, si trovi a gestisce un territorio.
Poniamo, per esempio, che questo amministratore voglia consentire l'edificazione di un albergo, in deroga a piano regolatore e a leggi di tutela. Non gli farebbe forse comodo dire che le voci di protesta che si levano dalla città provengono solo da ecologisti in malafede pilotati dalle forze politiche di opposizione?
E se trovasse una associazione di “ecologisti buoni” disposta, magari in cambio di un piatto di lenticchie, ad attribuirgli una patente di legittimità ecologia, la cosa non risulterebbe ancora più credibile?
(Non è casuale, naturalmente, il riferimento alla vicenda di Torre Calderina; a proposito della quale vorrei però far notare come a Molfetta l'accordo di programma sia stato avviato dalla passata amministrazione e a Bisceglie, dove c'è un'amministrazione di sinistra, i cittadini che si oppongono alla lottizzazione di Cala Pantano, di quella parte cioè dell'oasi di protezione in territorio biscegliese, siano accusati di essere in combutta con la destra).
Perché un'amministrazione non può non dirsi “ecologista”
Se chiedete ad un qualunque cittadino, anche a uno di quelli abituato ad abbandonare bottiglie di birra vuote sui parapetti in riva al mare e a lasciar cadere le cartacce dai finestrini delle automobili, se ritiene che sia importante fare qualcosa per l'ambiente, questo vi risponderà, immancabilmente di sì. Le amministrazioni, di qualunque colore esse siano, devono presentarsi alla pubblica opinione come attente all'ambiente, perché tutti ormai “devono” pensarsi ecologisti: fa parte della natura umana avere di sé una buona opinione e ritenere di nutrire buoni sentimenti. E quelli ecologisti sono dei buoni sentimenti che, inculcati ormai nei bambini sin dalle scuole materne tutte le persone educate dovrebbero provare.
(Chi organizza le ronde contro gli extracomunitari “non può” pensare di essere un razzista e chi vuole la guerra non può non pensare di sé di essere un grande amante della pace).
Per molte amministrazioni uno degli obiettivi strategicamente più rilevante della propria attività comunicazionali diventa così quello di farsi percepire come attente alle questioni ambientali, qualunque sia la politica del territorio.
Il risultato paradossale è che riferendosi a principi di ispirazione ecologica (spesso le parole si trasformano in feticci) si realizzano opere e intraprendono azioni che non solo non hanno nulla di ecologico ma che, se non fosse per la casualità delle proposte, apparirebbero ispirati a desideri di saccheggio rabbioso del territorio.
Accordi di programma e conferenze di servizi
Oggi la politica di gestione del territorio dell'amministrazione Minervini, appare basata su due pilastri eretti, in verità, dalla passata amministrazione: il ricorso sistematico a accordi di programma e a conferenze di servizi indette dallo Sportello Unico per modificare il PRG e l'utilizzo di Agenda 21 per ottenere finanziamenti europei.
Gli accordi di programma e le conferenze di servizi vorrebbero rispondere alla necessità, in vero reale, di una gestione del territorio più flessibile e rapida rispetto a quella consentita dai PRG. Per la verità appare a molti strano che a Molfetta si ricorra a questi strumenti all'indomani dell'approvazione del Piano; ma a questo viene ribattuto che il piano è nato vecchio e che contiene molte valutazioni sbagliate. Naturalmente sarebbe molto istruttivo andare a rileggere i verbali dei vecchi CC e vedere quali obiezioni venivano allora mosse al piano e da chi e confrontare poi quelle obiezioni e quelle persone con le richieste di varianti che vengono oggi presentate; ma non è questo ciò di cui voglio parlare.
A me interessa far notare come, ricorrendo in maniera sistematica a conferenze di servizi e accordi di programma, si finisca per sottrarre di fatto il controllo del territorio al CC (la cui rappresentatività è peraltro ormai da anni fortemente limitata dalla crisi dei partiti) e all'interesse della collettività, per affidarlo al casuale gioco delle pressioni e degli interessi privati rappresentati da personaggi politici che, non rispondendo ad alcun partito, non rappresentano ormai null'altro se non la propria famiglia e i propri clienti.
Dove sta andando Molfetta?
Poniamo che un privato abbia, in un punto qualunque del territorio cittadino, la disponibilità di un suolo e che lo ritenga idoneo allo svolgimento di una qualche attività imprenditoriale. Può rivolgersi allo Sportello Unico per le Imprese che provvederà a convocare una Conferenza di Servizi.
Se la Conferenza di Servizi esprime parere favorevole la richiesta di variante al PRG passa al Consiglio Comunale per il voto finale.
I tempi sono rapidissimi.
La Conferenza è un organismo tecnico che esprime il proprio parere sulla base di vincoli e norme. All'interno della Conferenza è il solo sindaco a rappresentare l'indirizzo politico che la città si è dato. È il solo sindaco che esprime un giudizio di compatibilità politica della variante rispetto al piano. (D'altra parte c'è chi sostiene che in questa fase anche il sindaco ha un ruolo tecnico, di garanzia, visto che sarà poi il CC ad esprimere il giudizio politico definitivo).
A questo punto la richiesta di variante arriva in CC con un positivo giudizio di fattibilità tecnica, incrostato di aspettative economiche da parte di chi ha presentato il progetto, dei progettisti, delle maestranze e di chi sta a guardare quello che può diventare un utile precedente: al di fuori di qualsiasi logica di piano, come si potrà dire no a Tizio dopo che si è detto di sì a Caio?
Se si può fare eccezione per uno perché non per l'altro? Si può anche capire quanto la cosa diventi interessante per chi deve coltivare clientele e costruirsi un consenso (e questo, lo ripeto, a prescindere dall'orientamento politico, come dimostrano le vicende di Altamura e di Gravina) e si può anche capire quanto peseranno le capacità di coalizzarsi e quindi di esercitare pressioni da parte di correnti e schegge impazzite che potranno chiedere qualunque cosa in cambio del sostegno all'amministrazione. Ma si può supporre che non mancheranno neanche le vendette o le ritorsioni. L'accoglibilità o meno di un progetto dipende ormai da regole che non sono più certe. E non mi si venga a dire che esistono comunque delle leggi di tutela (PUTT e quant'altro) che pongono paletti insuperabili perché così non è, come dimostrano le vicenda di Torre Calderina e Cala Pantano o gli scempi che si stanno commettendo nell'ASI dove, tutti i vincoli ambientali e paesaggistici sono stati rimossi dalle stesse norme tecniche di attuazione del PUTT.
E si può anche capire quanto far valere le ragioni degli interessi collettivi diventi difficile per un sindaco, l'unico, forse, che possa avere un qualche interesse elettorale, oltre che morale, a rappresentarli.
Agenda 21
Molfetta è stata la prima città in Puglia ad aderire ad Agenda 21 nel 1998.
Il principio di fondo di A21 è il cosiddetto “sviluppo sostenibile”: basato sull'idea che l'attività umana non debba pregiudicare le condizioni di esistenza delle future generazioni, A21 sostiene che investire oggi in compatibilità ambientale significa – in tempi medi – acquisire un forte vantaggio competitivo su quei soggetti economici e quelle collettività che non lo avranno fatto. Le risorse non rinnovabili, (petrolio, metalli, territorio) sono destinati ad esaurirsi nel giro di pochi decenni: chi comincia a pensarci da subito non potrà non trovarvi un vantaggio. Ma, siccome il passaggio a modelli di vita non basati sul consumo è contrario a quello che è ormai il senso comune, è indispensabile avviare, attraverso processi ampi di partecipazione, la presa di coscienza da parte della collettività del valore delle risorse ambientali.
Forum, Consulte, Progettazione partecipata. Sono tutti strumenti che un Comune che aderisca ad A21 deve porre in essere. E ci deve credere.
L'UE è molto generosa con chi aderisce ad A 21. Ma il suo è un investimento in democrazia, in partecipazione e nella crescita della consapevolezza delle problematiche legate all'ambiente.
Intrinsecamente incompatibili
Non è difficile vedere come questi due modi di pensare la gestione del territorio siano in forte contrasto fra di loro. E non è neanche difficile capire come, per una città con il bilancio così fortemente condizionato dai vari contenzioni persi sugli espropri edilizi degli anni Settanta, senza la possibilità di spremere più di tanto le tasche dei cittadini, senza una concreta possibilità di venire in possesso dell'impianto di compostaggio che, costruito con soldi pubblici, rende parecchi miliardi di vecchie lire all'anno al suo attuale gestore, la possibilità di ottenere finanziamenti attraverso i POR appaia come ossigeno puro.
Mettiamoci nei panni di un amministratore: capiamolo, compatiamolo persino. Ha bisogno dell'approvazione del Forum di A21 ma, se questo cominciasse a funzionare veramente, potrebbe dargli molte seccature: vallo a spiegare ai partecipanti del Forum (tutti volontari che sottraggono tempo al lavoro e alla famiglia pur di portare avanti punti di vista ambientalisti) che esistono equilibri politici per mantenere i quali bisogna chiudere un occhio sul paesaggio e sull'ambiente.
Rinunciare ai POR? E perché mai? La tentazione di usare in maniera strumentale A21 è forte.
Delibere ecologiste?
È di questi giorni un pacchetto di delibere di giunta che approvano progetti che, a quanto scritto nelle delibere stesse, sarebbero “conformi con gli obiettivi del Forum Agenda XXI”.
Il Forum in realtà non si è ancora tenuto e quella presunta conformità è stata dedotta sulla base di principi generali quanto astratti, espressi in una relazione stilata dal responsabile del Forum, forse come introduzione ai lavori dei gruppi tematici, peraltro ancora in corso.
Il mero elenco di quei progetti è stato in effetti portato a conoscenza dei partecipanti ad un solo dei gruppi tematici, i quali avevano chiesto di saperne di più, esprimendo anche seri dubbi sulle valenze ambientali di alcuni di essi.
Tre scenari
Quello che è successo, forse solo un incidente di percorso, dispiega tre possibili scenari:
1) L'amministrazione fa in modo che il forum non funzioni nella sostanza ma che gli consenta comunque di compiere tutti gli atti formali necessari e ad ottenere finanziamenti.
2) Il Forum di A21 va avanti fra grandi difficoltà e molte incomprensioni con l'amministrazione. L'amministrazione si impegna a far funzionare il Forum facendolo crescere fino a diventare un luogo di alta partecipazione democratica. Si avviano le progettazioni partecipate di alcune opere pubbliche e si ottengono alcuni finanziamenti.
3) Scontro frontale fra il Forum e l'amministrazione. I partecipanti al Forum decidono di ricorrere all'associazione nazionale degli enti aderenti ad A21 per chiedere di invalidare i lavori e bloccare tutti i finanziamenti.
Credo che, a questo punto, Tommaso Minervini debba chiarire ai molfettesi se il suo voler essere "il sindaco di tutti" voglia dire cercare di accontentare il più alto numero possibile di interessi particolari, o, piuttosto, farsi carico degli interessi della collettività nel suo complesso. Che è cosa profondamente diversa, come pensa, ne sia certo, la maggior parte dei suoi elettori.
Antonello Mastantuoni
Legambiente