L’attore che volle interpretare Gesù
Il racconto
Antonio ci aveva provato più volte ad entrare nel cinema. In tanti gli riconoscevano una bellezza fotografica, quasi perfetta. Quasi, appunto. Lui, alto un metro e ottanta, snello, con una carnagione olivastra e due occhi scuri-scuri come la pece. Gli faceva difetto solo un’arcata sdentata ma nel suo progetto di vita quei denti così cedui e anneriti li avrebbe potuti sostituire con una bellissima dentiera nivea. Portava, il bell’Antonio una criniera nerissima, capelli lisci che si aggrumavano al centro del capo raccolti in un prezioso boccolo. Parlava prevalentemente il dialetto, le sue vocali “e” ed “o” erano quasi scientificamente pronunciate con un suono strettissimo o larghissimo laddove urlasse coni suoi amici di strada, magari dopo una buona bevuta. Tante erano state le audizioni alle quali aveva partecipato, sognava di lavorare accanto a Mel Gibson, Quentin Tarantino, Kubrick, ma scendendo di grado in grado nella temperatura della speranza anche con qualche bravo regista italiano per qualche serie tv o web serie, persino nel porno accanto a Siffredi: «nulla contro! », pensava Antonio. Invece niente! L’ultimo provino l’aveva fatto a Matera, per un film dedicato alla Passione di Cristo. Il regista era un artista turco di grande livello. Antonio aveva atteso con trepidazione il responso che alla fine era stato pure positivo. Avrebbe interpretato uno dei discepoli di Cristo. Non potete immaginare la felicità! Antonio, bidello di una scuola media, aveva chiamato amici e colleghi prospettando loro un repentino possibile cambio di carriera avallato dall’incoraggiamento della brigata dei dipendenti statali tutti vicini all’esordiente attore di cinema mondiale. Lo scoramento era arrivato però dopo circa un anno e mezzo dal ciak lucano, quando dopo aver invitato mezza città al cinema per plaudire al suo esordio, si erano intravisti nel grande schermo soltanto un tocco di profilo ed un’oncia di capelli concessi da un montaggio del film troppo avaro, severo e rigoroso. Da allora il Signor Lagoscia era tornato a lavorare sodo tra i banchi e le cattedre, con scope e secchi. Erano passati alcuni anni e la tentazione di ritornare sui set almeno per prender parte alle audizioni non si era mai fatta pressante. Almeno fino a qualche tempo fa quando il nostro collaboratore aveva dovuto con le sue mani affiggere nella sala Professori una coloratissima locandina che recitava pressappoco così: LA PARROCCHIA SANGUE DEL SACRO CUORE Organizza la Sacra rappresentazione della Passione di Cristo Cercasi Gesù! Inizio audizione 03 febbraio c.a. Letta così la chiamata alle arti poteva sembrare quasi blasfema ma il senso Antonio l’aveva subito afferrato. Quella era l’unica possibilità di riscatto che la Provvidenza gli aveva concesso. Se non un film, una Sacra Rappresentazione dinanzi a tutta la città avrebbe potuto metterlo in bellavista e avrebbe messo a tacere le malelingue che insinuavano l’assenza di capacità del nostro attore nel tentativo di sfondare nel mondo dell’arte. Furono giorni agitati durante i quali Lagoscia pensava tormentandosi: “andare o non andare”; “provarci o lasciar perdere”. S’informò naturalmente su chi avrebbe scelto i personaggi della rappresentazione, peraltro lui aveva un curriculum niente male, aveva interpretato il discepolo Bartolomeo nel film del turco e questo certamente a livello cittadino doveva pur contare! Tempo due giorni e Antonio aveva deciso di iscriversi alla selezione che doveva tenersi nel salone delle catechiste della Parrocchia. Di apostoli ce n’erano a bizzeffe, gladiatori in quantità, di Longino una metà della metà, di discepoli una caterva, di Cristi solo in quattro, di cui due subito scartati poiché un candidato era allergico alla juta ed aveva dei grandi problemi di brufoli sulla spalla e l’altro essendosi tatuato tutta la schiena con il disegno di una terribile tigre non avrebbe potuto essere fedele al corpo di Gesù Cristo. Morale della favola, Antonio si trovò a gareggiare con un validissimo competitor, era Michele, il figlio del carrozziere di un quartiere di periferia. Un vero Adone, che sembrava la copia del ritratto di Cristo con i suoi capelli biondi ed occhi azzurri. Una barbetta tendente al rossiccio che accentuava il colore pallido del viso. La scelta sembrava fin troppo ovvia ed Antonio certamente la temeva. Non poteva però lasciarsi sfuggire l’occasione. Forse l’ultima. Non quando il parroco pronunciò: «verrà anche la RAI a fare le riprese, urrà!». Il Sig. Lagoscia poteva finalmente uscire da quel cono d’ombra che l’aveva irretito per troppo tempo. Certo la scelta della commissione di bizzoche e chierici sapientoni poteva cadere con ogni probabilità su quella del suo competitor. Questa paura venne accentuata dai commenti fatti nella barberia di Vituccio: «allora Michele u figgh du carrozzier avà fa u’ Crist!» ipotizzò Dino il nano; «e ci uà ditt! Devono ancora far sapere chi è!» s’intromise Antonio, «e già; devono scegliere tra quello e te» intervenne Vito palpeggiando uno zigomo del suo cliente il quale con gli occhi coperti da un bianco odoroso panno e la schiuma ancora sulla faccia non esitò a chiosare: «Michele carrozza lo danno per tutti vincitore!». Bene il nostro sig. Lagoscia senza salutare fu fuori dal locale in un battibaleno. Sapeva dove trovare il suo rivale. «Quanto vuoi per ritirarti eh, Michè!» questa frase Antonio dovette pronunciarla strozzandola nella gola mentre afferrava per la collottola l’ignaro Michele. Aveva più volte fatto a botte e non aveva paura di buscarle. La strada era stata per Antonio una valida palestra. «Ma ti calmi, Antò, ritirarmi da che?!» provò a chiedere il figlio del carrozziere; «non sto scherzando Michè, dimmi quanto vuoi e lasciami fare Cristo, per una volta, per una santa volta voglio stare io sulla croce. Tu fai Barabba, fai Pilato, fai che cazzo vuoi ma fammi fare Cristo!!». Questo pensiero l’aveva fatto Antonio in più riprese, certo era l’ultima spiaggia, lui non avrebbe mai voluto giungere a quel punto ma ormai c’era dentro dai piedi fino al collo. «Antò e tu per questa cazzata quasi mi fai soffocare! E potevi dirmelo già quando ci siamo trovati che lo volevi fare a tutti i costi Cristo!»; poi aggiunse «mille euro e mi tolgo dalle palle Antò… mille euro». Silenzio. Quasi uno stipendio di un bidello per un giorno di celebrità. «Grazie Michè, grazie» mentre lo abbracciava e gli faceva le cerimonie, «ma altri mille perché nessuno sappia la verità Antò»; «non me ne fotte un cazzo dei soldi Michè, va bene, va bene. Domani ti porto i soldi ma tu che ruolo farai?» «io con i tuoi soldi mi affitto la stanza del Belvedere , l’albergo che dà proprio sulla piazza dove tu andrai a morire e mi godrò lo spettacolo, e mi tolgo dalle palle». Furono le ultime parole dette. Parole tra uomini che bene conoscono l’onore. * * * AMEN! Così si chiuse la preghiera del parroco prima che tutti i figuranti andassero nelle loro postazioni seminandosi in tutti gli angoli della città vecchia. I centurioni correndo tra vie e viuzze si spargevano come l’olio, così i figuranti ebrei, le donne, i militari romani armati e i personaggi più blasonati come Caifa, Pilato, i discepoli e così via. Di Michele nemmeno l’ombra. Era stato di parola. Il nostro Antonio da vero protagonista era ostaggio di una truccatrice che doveva spargere le ultime chiazze di sangue dappertutto. Quando la corona di spine fosse stata messa sul suo capo sarebbero partite delle lacrime di sangue attraverso una marchingegno. «C’è la Rai, c’è la Rai!» un bimbo aveva urlato a squarciagola ed il cuore di Antonio stava quasi per esplodere dall’orgoglio e la felicità. «e mo’ aspettassero» aveva detto in sordina alla truccatrice quasi a voler sminuire l’importanza di quella troupe intrusiva. Gli ultimi ritocchi sul viso di Antonio e si stagliò un redivivo Cristo prossimo al martirio. L’orchestra del paese intonò le prime note, si aprirono le porte della chiesa e il nostro Jesus veniva già strattonato, deriso, sbeffeggiato dai Giudei. Chi gli sputava in faccia, che lo insultava, chi pronunciava al alta voce il suo vero nome, Antonio, e non quello di Cristo. Insomma sembrava che in quella rappresentazione non se la prendessero con il personaggio da interpretare ma con l’attore che c’era sotto le lacere vesti e che per giunta per fedeltà al lavoro recitativo non poteva nemmeno rispondere. «Antò sei tu il Re dei giudei!» dicevano; «sei un pagliaccio Antò, vai a lavare i bagni» altri apostrofavano; «chi t’ha combinato così, quando metterai la testa a posto!»; «vedi che la Madonna se n’è scappata chè non ti vuole più vedere» e giù risa ed improperi. La Rai girava questo terribile sconcerto. Antonio sotto una croce di cartapesta era diventato piccolo piccolo, si sentiva come quando era bambino e doveva giustificarsi per la pipì fatta a letto. Una pioggia torrenziale come se non bastasse aveva cominciato a battere su tutta la città. Sembrava davvero uno scenario apocalittico. I figuranti andavano a ripararsi correndo, ognuno salvandosi dal fortunale. Qualcuno cadeva qua e là, il vento aveva fatto inclinare le tre croci, Gestas e Disma, i due ladroni correvano con gli ombrelli e i cellulari all’orecchio, un parapiglia da fine fiera irriguardoso. In un batter d’occhio tutti furono a casa. La pioggia copiosa cadeva sciogliendo tutte le gocce rosso-sangue sul volto del povero Antonio. A quelle gocce si unirono le lacrime di questo tenero eroe. Della troupe non c’era più nemmeno l’ombra. Antonio continuò da solo il suo percorso. Le ingiurie che aveva sentito lo avevano davvero crocifisso. Giunse zuppo sulla collinetta dove ormai le croci erano state divelte dal vento e dalla grandine. Sullo sfondo un albergo illuminato. Due sagome si stagliavano dietro ad una finestra bene illuminata. Un uomo ed una donna. Si baciavano brindando. Una di queste sagome presto si fece avanti aprendo il finestrone sotto la furia del temporale. «Antò, tranquillo che poi resusciti!!» era Michele che ridendo dopo aver pronunciato la ieratica frase tornò nella sua alcova spegnendo le luci. Antonio guardò il cielo e disse in lacrime: “oh Padre, perché mi hai abbandonato!” . © Riproduzione riservata