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Integrazione e povertà: due emergenze da risolvere
15 novembre 2009

Un bambino italiano, ricoverato in ospedale, si trova casualmente in stanza con una bambina cinese, affetta da una patologia meno grave e, tra l’altro, perfettamente integrata nella società. Ma nonostante questo la madre si mostra furibonda e richiede lo spostamento della bambina. Sono episodi come questi a farci capire quanto quello del razzismo non sia affatto un fenomeno superato, ma è anzi una realtà stabilmente radicata nella nostra società, a volte ulteriormente fomentata dai messaggi che subdolamente ci manda la televisione. Stereotipi, insofferenza che al massimo può evolvere in tolleranza ma diffi cilmente in integrazione, sospetti e pregiudizi sono all’ordine del giorno. “Sono in Italia già da qualche anno - racconta un immigrato albanese messosi completamente a norma - ma quasi sempre chi non mi conosce mi guarda con diffi denza, con sospetto”. Ma non bisogna pensare che questi comportamenti interessino solo il mondo degli adulti, perché purtroppo spesso si sviluppano spontaneamente anche nei ragazzini di 12-13 anni e non solo nei confronti degli stranieri ma anche dei disabili o dei fi gli dei detenuti. E’ questo uno degli argomenti a cui si accenna nel corso dell’incontro, tenutosi nella sala conferenza della Fabbrica di San Domenico, tra le varie istituzioni sociali pubbliche e private. Queste hanno discusso in merito alle iniziative prese dall’amministrazione comunale di Molfetta e Giovinazzo, in ambito di inclusione sociale, povertà e immigrazione. Oltre a un’eventuale sensibilizzazione antirazzismo, soprattutto nei giovani, che potrebbe essere utile ai fi ni dell’integrazione, si parla soprattutto dei corsi offerti agli immigrati: in particolare quello di lingua e cultura italiana (con un’utenza di 23 unità) e quello di formazione sull’intercultura, entrambi organizzati dal Centro per le Famiglie. Un particolare merito va riconosciuto alla mediazione culturale offerta dal corso di alfabetizzazione per bambini albanesi che si tiene da undici anni presso una scuola elementare. Iniziativa, questa, che andrebbe estesa perché sono proprio i più piccoli ad avere maggiormente l’esigenza di integrarsi in un clima di serenità. E’ necessario ricordare però che la nuova normativa ha fatto diminuire repentinamente la presenza di immigrati sui registri (appena 600 unità circa), ma quella registrata è solo la presenza regolarizzata. Esiste invece una grande presenza di immigrati, i quali non hanno la possibilità di rivolgersi al alcun ente, pubblico o privato, che possa garantirgli anche un minimo aiuto, senza rischiare la denuncia. Ma quella degli immigrati non è l’unica realtà d’emergenza. Oltre al problema, su cui si discute nell’incontro, degli ex-detenuti che non riescono a reintegrarsi nella società in quanto non ci sono persone disponibili alla loro assunzione per qualsivoglia lavoro, la Caritas, in separata sede, descrive altre tre problematiche fondamentali. Innanzitutto, tragica è la situazione degli stranieri riconosciuti dallo Stato come rifugiati, nei confronti dei quali è stata sospesa già nel 2002 la normativa che ne regolava il sostentamento dando loro comunque alcune garanzie. Ancora è da prendere in considerazione il caso delle presone agli arresti domiciliari,spesso con una famiglia alle spalle da mantenere, che non ricevono alcuna forma di tutela dallo Stato, né hanno la possibilità di lavorare e provano disperatamente nell’ora libera a procurarsi i viveri, spesso, se ne hanno la possibilità, rivolgendosi alla Caritas. Infi ne non sono da dimenticare i “nuovi poveri”: persone che la crisi e la disoccupazione ha ridotto alla miseria e, spesso per orgoglio, temporeggiano il più possibile prima di chiedere aiuto.

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