Inquinamento, Palbertig sotto accusa
La magistratura prima pone i sigilli, poi riapre la fonderia. Indagini in corso
I fotogrammi si susseguono uno dietro l’altro, zelanti e inequivocabili. Si vedono operai in tuta blu impegnati a scavare nel terreno; altri che depositano in profondità meteriali di scarto; una pala meccanica che ripristina la superficie con della briciolina e infine, come a voler dare un tocco di amara ironia al tutto, alberi piantati proprio su quei rifiuti. Sullo sfondo, testimoni immobili e complici silenti, i grigi capannoni della Fonderia PalBerting S.p.A.. Sono queste le immagini raccontate da quei fotogrammi.
Immagini che immortalano la presunta discarica di rifiuti fai-da-te e riprese da un’abitazione di via Caduti sul lavoro affacciata a poco più di uno sputo dalle canne fumarie della fonderia. Pare le abbia girate e consegnate alla Procura di Trani un cittadino che di mestiere fa il generale dei carabinieri: suo padre un anno fa in quella stessa abitazione non ce l’ha fatta contro un carcinoma polmonare.
Un quartiere contro
Ma quella videocassetta, finita nelle mani del pubblico ministero Francesco Bretone che sta conducendo le indagini, è solo l’avamposto di una battaglia che si trascina avanti da più di dieci anni ormai. E che accoglie, su fronti opposti, da una parte gli abitanti del quartiere Arbusto che - minacciati dai fumi e dalle polveri che quotidianamente sono costretti a respirare - marciano al grido di “via da qui la PalBerting”; dall’altra, la famiglia Palberti genitrice di uno dei maggiori complessi industriali della città: “mi rendo conto che non è opportuna la presenza di un’area industriale all’interno di un centro abitato non fosse altro che per l’impatto visivo. Ma noi siamo qui dal 1960 quando tutt’intorno c’erano solo terre paludose e stalle: non è mica colpa nostra se poi vi hanno costruito palazzi”, si difende Pietro Alberto Palberti, attuale amministratore unico dell’azienda.
In mano agli inquirenti, oltre ai filmati, c’è altro ancora che riguarda la fonderia. Ci sono i sacchetti di plastica riempiti di quella polvere nera che ogni giorno si deposita dappertutto nelle abitazioni vicine; c’è il verbale del Nucleo Operativo Ecologico che un anno fa, a seguito di un’ispezione, accertava lo scarico di aque reflue e l’esercizio di un impianto non autorizzati; ci sono le segnalazioni di quei cittadini alle prese con emicrania o nausea che non ne possono più dell’odore acre che si avverte nell’aria. E c’è la denuncia di una mamma (per la tutela della privacy non possiamo rivelare il nome) che cerca giustizia per un figlio gravemente malato alle vie respiratorie.
La fonderia sotto sequestro... anzi no
Pezzi di un difficile puzzle che hanno convinto il Gip del Tribunale di Trani, Antonio Lovecchio, a disporre il sequestro cautelativo della PalBering. E’ giovedì 27 settembre.
La battaglia di un intero quartiere sembra giunta a una svolta. Ma passano solo pochi giorni (appena il tempo per preparare una memoria difensiva) e il cancello della fonderia lascia di nuovo entrare i suoi trenta operai. I sigilli sono stati rimossi su ordine dello stesso Lovecchio. Nel provvedimento di dissequestro viene rigettata l’ipotesi del reato di inquinamento e si legge della “mancanza di elementi oggettivi” che comproverebbero legami fra la PalBerting e le malattie registrate nel quartiere. L’unico obbligo a carico dall’amministratore dell’azienda è quello di ultimare (entro quarantacinque giorni) la costruzione di un deposito per lo stoccaggio di rifiuti e più genericamente di non disperdere polveri nell’aria. Nel frattempo le indagini continuano. “Per gli altri capi d’imputazione cadiamo nel ridicolo”, chiosa Palberti: “l’impianto di aspirazione il cui esercizio non sarebbe autorizzato è quello lì fuori guardi (e ci indica un gruppo di tubazioni e parti meccaniche completamente smontate, n.d.r.) ed è sempre rimasto così; per quanto riguarda la questione delle acque reflue, nel nostro processo produttivo l’acqua è continuamente riutilizzata e il sistema idrico è a ciclo chiuso: quelle che finiscono nelle condotte fognarie esterne sono acque metereologiche”.
“E’ il solito pasticcio all’italiana” controbatte Saverio Binetti, rappresentante del quartiere nei colloqui con l’amministrazione comunale, “i certificati di conformità ambientale presentati dalla PalBerting sono firmati da tecnici di parte pagati dalla stessa azienda. Io non dico che la fonderia deve chiudere perché non ho elementi per farlo; da cittadino dico solo che dove vivo io l’aria è irrespirabile e dico che d’ufficio bisognerebbe effettuare accertamenti adeguati che mi diano le giuste garanzie per la mia salute”. Dello stesso timbro la posizione di Giovanna Grillo, presidente della sezione locale di Legambiente: “Pensiamo che per il principio della prudenza il dissequestro della PalBerting sarebbe stato più opportuno solo dopo accertamenti dettagliati. Il sindaco, quale massima autorità preposta alla tutela della salute dei cittadini deve farsi carico della situazione e provvedere a un serio monitoraggio ambientale della zona”. Dal comando dei vigili urbani il maresciallo Camporeale, responsabile del settore ambiente, assicura che un impegno in questa direzione è stato già preso dal sindaco. Anche perché pare che in quel quartiere vi sia più di un parente di Tommaso Minervini.
Ecco come andrà a finire
E’ l’ultima mossa da giocare per il sindaco, che al suo entourage continua a dire che la PalBerting andrà via di lì: dimostrare che inquina. Sì, perché all’ombra della fonderia si sta giocando un’altra sottile partita. Su un altro scacchiere. Quello del piano regolatore. Il suolo della fonderia occupa ben il 70% del comparto 17 destinato a edificazione. Anche la famiglia Palberti sa che alla fine la fonderia non rimarrà dove è adesso: e non a caso nel cassetto hanno la domanda all’Asi (già notificata) per l’assegnazione di 20000 mq. La loro strategia è ormai chiara: puntare al rialzo, ottenere il più alto indice di edificabilità per quel suolo e ricavarci di più. Tommaso Minervini ha capito come stanno le cose e per il momento non molla e va al muro contro muro. Ma alla fine, forse, dovrà cedere perché quand’anche si riuscissero a dimostrare le responsabilità ambientali della fonderia, si sa già che i tempi giudiziari non saranno brevi e si rischia lo stallo. Altre vie non sono percorribili. E anche questo si sa già.
Cosimo de Gioia