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INCHIESTA - Le Facoltà universitarie: ammessi, sì, ma con le nostre prove
15 novembre 2006

Chi negli ultimi tre mesi ha avuto modo di leggere giornali o semplicemente di guardare la tv, si sarà di certo reso conto di come all'argomento universitario sia stato giustamente dedicato molto spazio. Ebbene: noi di Quindici giovani che prima di "giornalisti in erba", siamo studenti quasi, se non già alle prese con questo tortuoso e variegato mondo, non potevamo essere da meno. Ecco allora una piccola analisi della situazione, che abbiamo cercato di condurre senza tralasciare alcuna voce. Una piccola - se ci è consentito - inchiesta, partita dalla scala ridotta della realtà molfettese, ma che in fondo interessa l'intero territorio nazionale. Perché sogni, paure, difficoltà di un diciannovenne "matricolando" non cambiano, sia esso pugliese, lombardo o siciliano. Mal di test Sogni di essere professore di educazione fisica, psicologo, oppure è da quando avevi nove anni che sei in grado di misurare la pressione, perciò non desideri altro, se non di diventare medico? I tuoi sono progetti legittimi e, con impegno e buona volontà, assolutamente realizzabili. Unica condizione rimane superare il cosiddetto "test di sbarramento": un questionario di un'ottantina di domande, che - ovviamente a seconda del tipo di facoltà prescelta -, spazia dalla logica alla cultura generale, per arrivare ad argomenti di biologia, fisica e matematica. Era ormai noto che il tanto caro e odiato esame di maturità avesse perso, col tempo, il suo valore (le possibilità di scopiazzare ma, soprattutto, i voti spesso già prestabiliti dai prof, ne sono delle tangibilissime prove). Ciò che meno si conosceva, era invece lo sconvolgente e vertiginoso aumento di queste prove di ammissione negli ultimi cinque anni, da quando - cioè - è stata garantita maggiore autonomia agli atenei. I dati parlano chiaro: dal 2001- anno di introduzione della riforma - a oggi, il numero dei corsi che prevedono un test selettivo prima dell'iscrizione è arrivato a 1016, con un aumento, quindi, del ben 330%. Ma al di là dei numeri, il fatto che questo sistema garantisca una proporzione tra numero degli studenti e effettiva disponibilità di strutture, sembra essere sempre più soltanto una scusa di facciata. E' vero, infatti, che il singolo ragazzo può essere seguito meglio in aule e in laboratori poco affollati - e in questo anche la Comunità Europea è stata molto chiara, con una serie di direttive -, ma l'enorme business economico che è dietro tasse di iscrizione al test (nelle private arrivano addirittura ad 85 euro), pre-corsi, libri di autovaluzione, è oramai sotto gli occhi di tutti. Riportando il solo caso di Molfetta, ogni anno sono circa un centinaio i ragazzi che si recano, per così dire in trasferta, alla ricerca di una facoltà dove il rapporto tra candidati e posti disponibili sia più basso e ci sia, quindi, maggiore possibilità di ammissione. Altra riflessione, non meno importante, dovrebbe essere dedicata all'attendibilità di queste prove:crediamo davvero che un quadratino crocettato in più o in meno e segnato in tutta fretta, possa fare la differenza, e non l'impegno, la costanza, la passione per la materia di studio? Per non parlare degli scandali che puntualmente scoppiano attorno a queste vicende, tra plichi aperti e presunte raccomandazioni. Molti studenti hanno iniziato a mobilitarsi, ricorrendo al Tribunale per rivendicare il proprio diritto allo studio. Il problema, però dovrebbe essere risolto alla radice, interpretando in maniera finalmente corretta il messaggio della Comunità Europea: congruità tra numero di studenti e di strutture, da intendersi nel senso di miglioramento di queste ultime e non di taglio arbitrario dei primi. Perché parole come Democrazia e Professionalità non siano più affidate a un banalissimo test.
Autore: Rossella De Laurentiis
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