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Il sultano Emiliano e i suoi fedeli
15 marzo 2020

Sarebbe troppo facile affrontare il tema delle prossime elezioni regionali partendo dalle candidature ufficiali, e ufficiose, a consigliere regionale avanzate nel nostro territorio. È più utile invece inquadrarle in alcune considerazioni di carattere generale perché non stiamo parlando di elezioni locali ma di elezioni che interessano il governo di una Regione. Partiamo dunque da una triste quanto oggettiva constatazione, seppur apparentemente fuorviante: la Puglia è ormai come la Turchia. Cosa intendiamo? È molto semplice. Nella “democratica” Turchia un partito o una lista che si presentano alle elezioni, che chiedono il voto ai cittadini, per avere i propri rappresentanti eletti devono superare uno sbarramento pari all’8 % dei voti. Se un partito o una lista sono votati dal 7,99 % i voti di quei cittadini sono voti persi. Questo accade nella “democratica” Turchia. Questo accade nella “democratica” Puglia. Se un partito o una lista si presentano al voto, al di fuori delle grandi coalizioni di centrodestra o di centrosinistra, per entrare in Consiglio regionale devono superare l’8 % dei voti. Se prendono il 7,99 % quei voti sono persi, e i seggi sono attribuiti ad altre liste e altri partiti. Anche questa volta si torna al voto dopo 5 anni senza aver riformato in senso pluralista e democratico la legge elettorale. Anche su questo la sinistra che si è alleata cinque anni con Emiliano non ha spuntato nessun risultato. Ma anche questa volta faranno finta di niente. Anche sulla doppia preferenza di genere, altro cavallo di battaglia di “sinistri e democratici” (si fa per dire), il sultano Emiliano ha fatto finta di niente e tirato avanti. Come si sa, la legge elettorale non spiega tutto né offre risposte esaurienti alla crisi del governo regionale e alla sua malagestione ma rivela qualcosa di importante ossia aumenta il grado di chiusura e impermeabilità delle istituzioni regionali alla società. In altre parole, partiti, liste, gruppi civici, assessori e consiglieri già eletti hanno molta più possibilità di perpetuare e riprodurre la loro elezione perché sono già dentro il sistema, la legge elettorale benedice questa chiusura e la favorisce. Ovviamente accade anche eccezionalmente che una forza nuova possa scardinare il blocco in entrata nelle istituzioni regionali ed è successo 5 anni fa con l’ascesa generalizzata del Movimento 5 Stelle ma appunto si tratta di un’eccezione legata a un fenomeno nazionale e generale che già in questa prossima competizione rischia grosso, come attestano alcuni sondaggi. Ovviamente la partita è quasi chiusa per piccole forze politiche o gruppi politici di matrice locale/regionale che volessero cimentarsi con la prova elettorale. È complicato presentarsi alle elezioni chiedendo ai cittadini – abituati a trent’anni di bipolarismo, sistemi maggioritari, premi di maggioranza, soglie di sbarramento – un voto nella speranza lontana di raggiungere e superare l’8 % e per fare una battaglia di opposizione. Al limite si può cedere a questo ricatto elettorale, scendendo a patti con le grosse coalizioni già presenti ovvero con i consiglieri e assessori che da anni vengono rieletti ed entrare così in queste coalizioni in cambio di un vantaggio. Quale vantaggio? All’interno delle coalizioni la soglia di sbarramento per le liste e i partiti si dimezza, cioè scende dall’8 % al 4 %. È ovvio che se un partito o lista raggiungono il 3,99 % i loro voti sono “persi” nel senso che i seggi sono attribuiti ad altri partiti o liste. Questa è ormai la logica del voto utile imperante da più di due decenni nel nostro paese a ogni livello istituzionale ed elettorale che contraddice lo spirito e l’impianto originario della Costituzione. Anziché funzionare il principio “una testa, un voto e un seggio (in proporzione a quanti voti si prendono)” tutto si rovescia in “o ti allei, o perisci”. O ti costringi a stare con chi è diverso e lontano da te, a volte proprio agli antipodi oppure rimani fuori dalle istituzioni della rappresentanza democratica sempre più falsata. La scelta è dunque tra allineamento ad accozzaglie di coalizioni che si formano incentivate dai premi di maggioranza oppure la residualità e il rischio di essere estromessi dalle istituzioni. Questo è l’esito della crisi del sistema di rappresentanza istituzionale in cui i consigli regionali e i parlamenti sono sempre meno lo specchio del paese. E poi ci ritroviamo con “distratti” osservatori politici e prezzolati analisti che riflettono e dibattono sulle distanze sempre più grandi tra rappresentanti e rappresentati, sulla impermeabilità delle istituzioni e delle loro decisioni al sentire della società reale, sulla sovrapponibilità di programmi e progetti delle grandi coalizioni identici nei tratti fondamentali, sulla caduta di passione politica e sulla conseguente astensione dal voto, sulla litigiosità interna delle coalizioni che hanno vinto le elezioni (e per forza, se il meccanismo elettorale è premiante per chi prende un voto più dell’altro, è giocoforza mettere insieme “cani e porci”…). Ma queste riflessioni vanno bene lontano dagli appuntamenti elettorali, perché quando si avvicina il momento del voto scattano i condizionamenti, le promesse, i ricatti, scattano anche il mutismo e la sordità da parte di non pochi elettori e commentatori e si entra nel vortice del marketing elettorale, dei manifesti personali dei candidati, dell’appello al voto utile, del valore della “governabilità”. E dunque ci si dimentica così d’incanto e per magia di fare un bilancio dei cinque anni passati, dei blocchi di sistema alla rappresentanza, della violenza costrittiva delle regole del gioco elettorale. Ovviamente il punto di vista di chi scrive è parziale e riconducibile a una precisa parte politica – quella comunista – ormai fuori dal Consiglio regionale dal 2010 e fuori dal Parlamento nazionale dal 2008 e che pur tuttavia continua a esistere e resistere faticosamente grazie ai circoli diffusi e alla vecchia pratica dell’autofinanziamento che garantisce l’indipendenza politica. Pertanto non vogliamo rinunciare né alla nostra schiena dritta, né intendiamo portare il cervello (e il nostro piccolo consenso elettorale) all’ammasso delle indigeribili grandi coalizioni elettorali che finora hanno governato questa Regione e ai loro candidati locali. A riprova che quanto detto finora sulla distanza tra eletti ed elettori, sulla impermeabilità e insensibilità di chi ci ha governato in questi cinque anni, sulla cattiva gestione del governo regionale, sulla logica “ciambottara” di accozzaglia che tiene insieme la destra, il centro, la sinistra nella coalizione di Emiliano, non è pura teoria, facciamo riferimento ad alcune cose concrete. Il piano di riordino ospedaliero contestato e criticato da più parti e in parecchi territori non è stato possibile bloccarlo o riformarlo. Il presidente Emiliano, che in questi cinque anni è stato anche assessore alla Sanità, ha proceduto senza alcun ascolto delle comunità nella sua politica di dimagrimento della rete ospedaliera senza in compenso eliminare i tempi delle liste di attesa, potenziare la medicina territoriale, intaccare i privilegi della sanità privata. Impermeabile nel suo palazzo presidenziale, il Governatore – come amano farsi chiamare questi presidenti innamorati del proprio ego smisurato – ha potuto fare e disfare, firmare e stracciare le Carte Ruvo senza colpo ferire grazie alla retorica degli utili idioti movimentisti di turno. Il mancato impiego dei fondi Ue per lo sviluppo rurale: persi 142 milioni per scadenza del termine di spesa. Una mazzata pesante a carico degli agricoltori pugliesi che già di loro storicamente e per dimensioni non investono facilmente senza l’impego di risorse pubbliche. La condizione sempre più indecente del trasporto ferroviario regionale per i pendolari oppure la mancata risoluzione delle tante crisi aziendali regionali o anche la risoluzione di alcune crisi a scapito della dignità dei lavoratori e a spese dei contribuenti e a favore dei privati che percepiscono contributi sempre e comunque, in tempi di investimenti e in tempi di crisi come nel caso della vertenza Network Contact. Per non parlare poi della gestione istituzionale dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, in cui il presidente della Regione emana un’Ordinanza che “non ordina” ma “invita” solo per “premere” sul governo nazionale e prova a coartare la funzione centrale del governo, anche a mezzo fb, per anticipare la chiusura delle scuole e dire che lui l’ha propiziata (pensando di strappare qualche consenso a buon mercato in più). E ringrazia pubblicamente il governo per averlo ascoltato quando ancora il governo centrale non ha decretato ufficialmente la chiusura delle scuole. Quando si dice il galateo istituzionale... Ma tutte queste cose rischiano di passare in cavalleria all’avvicinarsi della scadenza elettorale perché in tanti saranno già schifati, già indifferenti oppure già accasati con chi ritengono vincente. Ciononostante non crediamo di dover rinunciare alla critica e alla proposta, pur consapevoli della difficoltà di essere presenti nella contesa elettorale. Certo, sarebbe tutto più facile intruppandosi in una delle tante liste-scialuppa della coalizione di Emiliano ma noi comunisti non siamo parte di quella sinistra rinunciataria che da anni ci ammorba con la riduzione del danno e invece non si rende conto di aumentare così i danni della crisi di fiducia nella politica e nelle istituzioni. Del resto la strada intrapresa già cinque anni fa dalla sinistra alleata di Emiliano non ha certo dimostrato nel quinquennio appena trascorso di aver spostato l’asse del suo operato o di modificare le sorti del governo pugliese. Ecco quindi che arriviamo alle nostre contrade cittadine, alle candidature appena annunciate o in procinto di essere ufficializzate, in cui è evidente il tentativo di astrarre da tutto quanto detto finora, in cui i candidati provano a presentarsi come un prodotto nuovo, del tutto sganciato dal presidente Emiliano e dalla sua gestione di questi anni. Sembra quasi che si presentino per un concorso individuale, senza avere nessun legame l’uno con l’altro. Il navigato politico locale, ex assessore del centrodestra passato al centrosinistra appena ha avvertito la convenienza, che ci avvisa che tra Molfetta e Bari distano solo 25 km, sì, insomma, tanta è la distanza che lo separa dal seggio in consiglio regionale (ma davvero si pagano i pubblicitari per coniare questi slogan-boomerang?). Oppure l’ex sindaco e decana della politica locale – di indubbia esperienza amministrativa – che si ripresenta con lo slogan (tra gli altri) de “Il futuro è giovane” mentre anche nei manifesti i giovani ragazzi sembrano stare per superarla. Oppure il medico-eroe-scrittore che deve consultare il popolo di facebook per sciogliere le riserve sulla candidatura invece di dar conto dell’efficacia della battaglia in favore della Carta di Ruvo sonoramente sbrindellata dalle decisioni deliberate dal presidente Emiliano. E nessuno di costoro che venga interrogato sul bilancio di questi cinque anni né spieghi che cosa hanno in comune l’uno con l’altro se non il legame bilaterale diretto con il sultano della Puglia, un po’ come l’amministrazione comunale di Molfetta in cui la destra postfascista (nemmeno tanto post…) convive con il centro ex democristiano e il Partito democratico all’insegna del cosiddetto “pragmatismo” che a Molfetta conosciamo bene per aver affossato pragmaticamente negli anni passati di debiti e mutui i bilanci comunali e delle aziende partecipate comunali. Insomma, tutti insieme in Regione a sostenere Emiliano – da Simeone Di Cagno Abbrescia, noto “bolscevico”, a Sinistra italiana passando per Massimo Cassano – dopo che per anni hanno levato lamenti contro la sua gestione regionale e contro la dismissione della sanità. L’importante è intrupparsi in una delle tante liste civiche, c’è quella del presidente, quella per i transfughi della destra, quella per i centristi-popolari, quella dei civici e degli amministratori locali, quella immancabile di sinistra-ambientalista per gli allocchi. Tutti quanti insieme appassionatamente, tutti contro tutti, basta che si sta sotto l’ala del Sultano che dispensa candidature, incarichi, consulenze. Noi comunisti non siamo parte di questo teatrino. Irrilevanti? Protestatari? Testimoniali? Probabilmente. Sicuramente a testa alta per testimoniare un altro modo di vivere e intendere l’impegno politico. Gianni Porta

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