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Il sultano contro i turchi
15 gennaio 2019

Questo atto notarile inedito, del 1639, abbastanza singolare, costituisce una testimonianza notevole degli ambienti napoletani legati alla marina da guerra, e ci fornisce inoltre ulteriori notizie su di un protagonista di primo piano della guerra contro il Turco. Guerra combattuta sul campo, certamente, ma anche nelle segrete delle corti e dei castelli, in un groviglio spesso inestricabile di tradimenti, spionaggi, assassinii, e lotte per il potere e per la fede. Cominciamo col dire che lo strumento è rogato in Napoli dal notaio tranese Giacinto De Sario, presso lo studio del suo collega napoletano Andrea Fasano. Ignoriamo il motivo di questa trasferta. Il capitano raguseo Giovanni Dinicich residente nella capitale, sta per partire con la flotta vicereale per la Spagna. Poco prima di salpare, “per disgravio di sua coscienza”, rilascia una pubblica dichiarazione in favore del Capitano albanese Paolo Giuray. Questi è un suddito fedele di sua Maestà, ha combattuto valorosamente contro i turchi, e merita di essere tenuto in grande considerazione. Fin qui tutto chiaro. Senonché capitan Giovanni dichiara di conoscere anche un certo Alessandro, conte di Montenegro, sul quale fornisce diverse notizie, che meritano tuttavia di essere ampliate. Nato probabilmente in Asia Minore intorno al 1585 con il nome Jahja, costui si proclama figlio di Maometto III e di Elena Comneno. Fuggito con la madre da Costantinopoli, si rifugia in un convento macedone, dove è battezzato con il nome di Alessandro. Per tutta la vita coltiva tenacemente l’ambizione di salire sul trono del Sultano, del quale si ritiene legittimo erede offrendo i suoi servigi a diverse potenze cristiane, in un vorticoso giro diplomatico non sempre chiaro, anzi a volte decisamente ambiguo. Asburgo, Savoia, Granducato di Toscana, Venezia, Russia, Viceregno spagnolo di Napoli furono teatro delle sue inesauste peregrinazioni alla ricerca di uomini e mezzi per combattere gli infedeli. Dopo un quarantennio di velleitari e falliti tentativi, il Sultano Jahja, alias Alessandro conte di Montenegro, autentico prototipo di avventuriero barocco, muore a Cattaro nell’autunno del 1648. A Napoli, insieme a due altri filosofi si era occupato anche di alchimia, affannandosi per mesi a cercare, nientedimeno, la pietra filosofale! Non è ben chiaro perché Givanni Dinicich, che davanti al notaio tranese dovrebbe soltanto garantire per il capitano Giuray, inserisce nella sua deposizione alcune gesta di questo poliedrico personaggio. Per giunta, allega anche una lettera del Montenegro, inviatagli da Firenze il 3 giugno 1636, nella quale il sedicente Sultano “Iachia” racconta altre truculente avventure delle quali fu testimone. A Salonicco è stato testimone della decapitazione, con successiva bruciatura, di un frate che spiava i turchi per conto della Spagna, del quale però non è riuscito a sapere il nome. Gli consta che tal cavalier Sinnolchi è stato arrestato, e vorrebbe saperne la causa, e se ha speranza di essere liberato. Comunque il Montenegro sta per partire a caccia di turchi con le galere di Santo Stefano: prega il Raguseo di salutare da parte sua alcuni amici, compreso quel tale Giovan Federico Della Greca, con il quale aveva “fatigato invano” per trovare la formula della pietra filosofale. In effetti, fa un piccolo accenno al capitano Giuray, quando prega Dinicich di riferirgli che sta per imbarcarsi. Forse per questo il Raguseo ha voluto inserire la lettera nell’atto notarile. L’essere conosciuto da un personaggio importante, quale è il Montenegro, costituisce evidentemente un buon titolo a favore del Giuray. Notaio Giacinto De Sario. Napoli. 1639. Napoli 14 settembre 1639. Presso l’ufficio del notaio Andrea Fasano, sito davanti all’antico Palazzo Reale, sotto la casa di Don Berardino de Cordova, si è presentato davanti a me il Capitano Giovanni Dinicich y Dolisti, di Ragusa, attualmente residente in Napoli, la cui identità mi è stata garantita dal predetto notaio Andrea Fasano. Il quale capitano Giovanni, di sua spontanea volontà dichiarò in mia presenza, dopo aver giurato sulle Sacre Scritture, quanto segue: “Come conosce benissimo il Conte Alessandro di Montenegro, alias sultano Iachia, ottomano, per persona affettionata di S.M. Cattolica qual’ha dimorato in Italia cercando soccorso da essa S.M. e da’ Principi cristiani, per far imprese contra Turchi, a’ quali ha inferto molti danni con li galioni di Fiorenza e d’altre nationi, e dal Duca di Alcalà è stato ben trattato e mantenuto, assignandoli per sua stanza il palazzo di Giovan Battista Francucci, dal quale e da tutta la sua famiglia è conosciuto. E perché egli era anco filosofo nell’anno 1631 fatigò qui in Napoli con dui altri artisti della professione, nomine Geronimo Chiaromonte et Giovan Federigo della Greca, per investigare il lapis philosophorum, li quali fatigorno alcuni mesi ma invano, e quasi in tutte le lettere ch’ egli scriveva faceva prima della sua firma una rubrica di carta del modo e forma, com’appare dalla presente lettera, mandata da esso Conte Alessandro ad esso capitano Dinicich, che all’impronto esibisce a me predetto Notaro, acciò la conservasse, que intus incipit: “Signor capitano, è molto tempo”, et sequendo finit: “Alessandro di Montenegro”. Conoscendo parimenti molto bene Capitan Paolo Giuray albanese per persona fedelissima di S.M., per l’esperienza fatta, e delle principali di Albania, della quale S.M. fa gran conto, et i suoi ministri com’appare per diverse scritture a me note, quali si conservano per detto Capitan Paolo, e per l’impresa che detto Capitan Paolo ha trattato e tratta contra Turchi, è degno d’esser fatto gran conto della sua persona, e questo esso Capitan Giovanni lo dice per disgravio di sua coscienza, stante che li conviene partirse per Spagna per ordine di S.M. con li galioni che partono al presente con vettovaglie, e monitioni da guerra per servitio di S.M. Cattolica, e dice ancora che questo fatto lo ponno deponere molti, et in particolare il molto reverendo d. Neofito Rodirco, sacerdote greco, trattenuto dalla dimora in Epiro”. Il predetto Capitano Giovanni ci chiese di rogare un pubblico atto su tutta questa dichiarazione. Sono presenti come testimoni: Andrea Fasano, notaio e giudice per i contratti, Antonio Picciano, Antonio Ferraro, Giacinto Logliz, e il notaio Antonio Rotondo, tutti di Napoli. (inserto) “Signor Capitano, è molto tempo che io non la schritto, si bene il padre Raffaeli mi ha fatto molte volte di V.S. raccomandazioni; io desidero di sapere la causa della prigionia del Cavaglier Sinnolchi e che speranza è della sua liberazione; io non posso fare niente delli miei disegni, stante le urgenti guerre; di gratia domandi al patron che la dica che frate era quello che fu brugiato in Tessalonica conosciuto sembre per spia di Spagna. Et io ero pocho lontano di li hanno passato quando fu decapitatto, però il nome del Frate, cio’ del Calogero non possuto sapere; mi dia anchora qualche nova gresca di levanti, come mi sono accomodato qui già a ottobre, e penso a ire in una impresa questo mese intrante, se però i galioni del Gran duca non saranno impediti; dica di gratia di questo al Capitan Paolo Giuroi, et veda che n’è del ciciliano et signor Federico della greca et vedendoli salutatelli da parte mia, et intanto veda se io son bono in qualche cosa in queste parti et per fine salutandola di nove. Di Fiorenza, 3 di giugno 1636. Di V.S. molto illustre affettionatissimo per servirla Alessandro Conte del Monte Negro. Al Molto Illustre Signor, il signor Capitan Gioan Dinicich et Dolistè. Napoli”. © Riproduzione riservata

Autore: Ignazio Pansini
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