Il Pulo, luogo di poesia nel plenilunio
Un percorso di luci ed ombre che ci spinge all’interno di un ventre naturale. Questo è il Pulo di sera. L’atmosfera suggestiva e la penombra acuita dalla folta vegetazione, custodiscono un ambiente misterioso e affascinante, capace di stuzzicare la curiosità di centinaia di visitatori. Il Pulo ha in sé un aspetto familiare. C’è chi non ci è mai stato eppure conserva dentro di sé il ricordo di un qualcosa che sente appartenergli. Ed è così che tutti partono con un’idea ben precisa delle meraviglie che questa particolare cavità naturale ha celato ai nostri occhi nel corso dei millenni. Il percorso inizia con uno sguardo ad un passato sin troppo remoto. Settemila anni fa gli uomini del Neolitico erano anch’essi attratti da questa calamita naturale, grazie alla riserva d’acqua presente sul fondo. Nessuno si meraviglia, anzi qualche visitatore azzarda con ironia che le diverse grotte, che costellano le pareti, non fossero altro che la “casa al lago” dei preistorici. In realtà i loro nuclei abitativi si snodavano lungo le campagne perimetrali, terreni anch’essi capaci di nascondere sotto di loro innumerevoli ricchezze archeologiche. Pian piano si avverte la consapevolezza che ogni strato di terra, ogni pietra o ramo presente abbia gelosamente trattenuto a sé una parte di vita. Dal Neolitico al Cinquecento, quest’oasi naturale, così illuminata dalla luna, era stata osservata dai monaci Cappuccini che la consideravano, magari con un po’ di fantasia, la bocca di un vecchio vulcano. Un bambino ingenuamente si ricollega a quell’impulso fantastico che ci accomuna, e dice: “Ma è opera di un meteorite?”. La risposte è che a volte davvero la realtà supera la fantasia. Semplicemente la forza dell’acqua, della natura, è stata capace di scavare una ragnatela sotterranea di cunicoli e cavità che dopo crolli hanno portato alla luce tale bellezza. Anche i visitatori più grandi, che dentro di loro associano con tenerezza il ricordo del Pulo alla loro infanzia, non si trattengono dal raccontarci le loro avventure nella dolina, tra quelle grotte così profonde da far immaginare un mondo sotterraneo sorprendente. Qualcuno ci racconta di cavità comunicanti con il mare, altri con il pulo di Altamura. Difficile confermare, ma altrettanto difficile è smentire. Meglio continuare a immaginare, mantenendo così intatto un fascino millenario. Man mano scendendo si svelano alla vista le tre tettoie della vecchia Nitriera Borbonica del Pulo. Anche se parte di un complesso preindustriale, ha perso quell’aspetto freddo di semplice impianto settecentesco, per divenire parte armonica di una natura dall’aspetto incontaminato. E’ così che al vibrare della luce delle fiaccole mosse dal vento profumato di alloro e menta, i visitatori ascoltano, assorti, di quell’attività che solo duecento anni prima aveva reso la dolina una grandiosa produttrice di salnitro, componente principale della polvere da sparo. Quasi nessuno ricorda delle vasche, delle fornaci, coperte da strati di terra, su cui molti avevano giocato, corso, mentre la natura si faceva ancora una volta custode delle storia. Dal fondo, stesi sulle stuoie in molti ammirano la circolarità delle pareti che si apre al cielo stellato. Si ascolta anche la musica provenire dal convento. E’ lo spettacolo che nel mentre si svolge nel chiostro. “Itaca” si chiama, che vede una forte interpretazione di frammenti poetici di Neruda, Whitman ed altri, da parte di Ninnì Vernola, accompagnato dalle musiche di Federico Ancona. Così si riporta la poesia in un luogo che è poesia. Il monastero cinquecentesco dei Cappuccini, che si erge come una torre che domina la dolina, diviene per una sera, ancora una volta, uno spazio in cui il riecheggiare di versi di vita consentiranno a tutti di spogliarsi dal fardello della quotidianità. Musiche, immagini, suoni, nudità, fuoco, vento, profumo insieme uniti a celebrare la bellezza di un posto, che nel silenzio di una sera, sotto la luce della luna, è già poesia.
Autore: Alessandra Lucivero