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Il pozzo di Orfeo Da “I racconti del vento”
15 luglio 2022

Voi non potete capire quante cose si vedano in un pozzo. In Sicilia ad esempio ci sono dei pozzi fantastici, lun- ghissimi ombelichi che affiorano sulla pelle terrestre per collegarsi con la pancia dell’Etna. Una cuccagna di meandri, una rete sotterranea di viuz- ze intrecciate che ospitano una quantità indefinita di esseri vi- venti e fantastici. Ogni pozzo chiuso dunque è un villo della pancia del mondo che viene otturato. Guardare per un umano l’uni- verso nel fondo di un pozzo si- gnifica avventurarsi come Orfeo nell’anti-mondo. Detto questo vi parlerò di un caso assai strano che è capitato ad un mio carissimo amico. Questi viveva in una grande città siciliana, una villa apparta- ta dal nucleo urbano. Una di quelle dimore in cui di notte stendendoti sulla nuda terra puoi ammirare l’univer- so con le miriadi di stelle e puoi sentirti un cretino qualunque messo lì per puro caso a spiare la vita celeste. Le notti d’estate sicule sono palestre per gli insonni. L’afa non fa dormire e a lungo diste- si sulla terra fa restare i più forti. Per sintesi e per destino lo chiamerò Orfeo il mio caro amico, che la sua storia è assai incredibile. Orfeo difatti era intento a scrutare le stelle nell’inter- mittenza sonora dei grilli e le civette. Dinanzi ai suoi occhi una luna grandissima si specchia- va nel nero cielo trapuntato di stelle. Una notte iniziò a sentire un lamento, prima dimesso, poi più denso fino a diventare un vero canto. Orfeo si figurò d’essere Odesso rapito dal canto delle sirene ma in verità nulla vedeva e certo non soffriva di acufene. Si alzò in fretta e con la squallida luce della torcia del suo telefonino iniziò a perlustrare la campagna che attorniava la sua villa. Il canto diventava sempre più pressante e sembrava qualcuno stesse facendo il suo nome. Gira e rigira ecco Orfeo si tro- va dinanzi ad un pozzo coperto con sole due tavole di legno. Era servito anni addietro ad irriga- re i campi, era un pozzo artesia- no profondissimo, ci voleva un lavoro di braccia energico per portar su l’acqua. Ad un tratto un colpo potente sferrato da di dentro l’aveva fat- to scoperchiare ed ecco dinanzi a se una figura scarna, un’om- bra, uno spettro chissà, il mio povero amico non poteva de- scriverla meglio di un poeta di- cendo che se vivessero le lamie quella ne era una rappresenta- zione vivente. Questa prese a parlare e disse: «Orfeo, non avere paura di me. È tempo e tu lo sai. Io sono la tua parca, il tuo destino. Non darmi le spalle ragazzo, io sono tua complice e amica. Qui tut- to è ordine e bellezza. Ti darò la mano e ti condurrò negli avel- li segreti dell’universo. Vedrai la luce nel pozzo. Tutto il nostro destino si compirà nel Bene e nel Bello!». Orfeo amico, inorridito, spa- ventato, iniziò ad urlare come un ossesso e a respingerla giac- ché quella presenza lo molestava con fare pressante. Chi l’aves- se visto dall’esterno probabil- mente l’avrebbe scambiato per un pazzo, per un ubriaco. Tutta- via sappiamo, queste due, essere le condizioni adatte a cogliere le più nobili Verità. Giocarono a rimpiattino, lui si nascondeva, si armava con zappe e bastoni e lei lo segui- va, gli si insinuava con il can- to e con la voce nella testa, lo placava e l’invitava in quel poz- zo oscuro. Arrivò il crepuscolo e le prime linee di luce che cancellavano sulla lavagna del cielo, le stelle, fecero desistere lo spettro che tornò velocemente nel pozzo non prima d’avergli detto le ultime parole: «tornerò Orfeo. Io sono solo un tramite della notte. Il mio nome è Moira». Questa in un attimo fu den- tro il pozzo e mostrò di se l’ultima imago, due occhi sfa- villanti come di lucciole accese che si chiusero sotto le due ta- vole di legno. Orfeo rimasto solo finalmen- te iniziò a ridere a crepapelle, come un invasato. Come Amleto non sape- va dire se avesse sognato, o se avesse vissuto un’esperienza paranormale. Però i segni lividi sulle sue braccia li vedeva, eccome se li vedeva! Non raccontò a nessuno dei suoi, dei nostri amici, se non a me. Abbiamo sempre avu- to una predilezione per i rap- porti epistolari, fatti ancora di carta, penne e francobolli. Fat- ti di musiche e cantanti con- divisi. Confidenze magiche ed esoteriche. Il mio amico Orfeo per diverse notti andò a dormire a casa dei parenti della sua fidanzata che abitava a pochi chilometri da quella villa che gli sembrava infestata. Tuttavia il richiamo della villa era fortissimo ed Orfeo pensò di metterci letteralmente una pietra sopra quella vicenda assurda. Con i giorni che passavano tutto gli diceva d’esserselo sognato quello spettro, quella parca di nome Moira. Chiamò per questo un operaio e gli chiese di cementare quel pozzo. Nessuno più avrebbe potuto disturbare la sua quiete. Detto fatto! Duecento euro possono far tornare la serenità. E per festeggiare il suo compleanno, ed anche per non passare la prima notte del ritorno alla villa, il mio amico caro chiama tutti gli amici a far festa nella villa. «Portate chi volete!», è stato l’invito più gradito fatto ai suoi amici siciliani. Più di cento persone si sono presentate alla Villa di Orfeo. Orfeo si è del tutto dimenticato del monito spettrale. Ha conosciuto gente nuova e tra tante persone non è rimasto indifferente ad una donna stupenda, Euphoria. L’ha tampinato per tutta la sera, bevendo con lui, parlandogli all’orecchio, seducendolo con i suoi seni le sue sinuosità, raccontandogli le sue maledette storie. Un’Euridice al contrario. E quando la musica ha iniziato a gonfiarsi nel volume lei come un serpente ha iniziato a stringergli il collo soffocando ogni istinto di lotta al destino. E gli ha chiesto di ballare nel punto più alto della villa, quella bocca di quel pozzo stagliato nello spa- zio in cui tutti ballavano. «Ed allora andiamo, balliamo, lasciamoci andare per una vol- ta alla seduzione di una donna così bella!». Questo ha pensato Orfeo pri- ma che si sgretolasse come pasta frolla sotto i suoi piedi quel co- perchio di cemento e sprofon- dasse nell’esofago della terra. C’è chi dice che non un urlo hanno sentito ma un riso bef- fardo di donna. Io sono venuto qui. Vedo una luna riflessa in un pozzo senza fondo. Ma non può essere così, perché lungo più di venti metri. Forse è una luce squallida di una torcia di telefonino. E mentre prego e medito ricevo una telefonata, rispondo e qualcuno dice: «Ciao sono Moira!»

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