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Il Pd che serve per ricominciare
15 giugno 2021

Esercizio zen di analisi politica. Serissimo, ma in forma di gioco. In ore in cui non c’è niente da ridere e quasi niente da fare - i carboni ardono ancora e ci si può solo bruciare. Tema: descrivere il Pd di Molfetta, senza fare nomi. Capire se senza il Pd esiste un futuro centrosinistra possibile. Capire se con questo Pd esiste un futuro centrosinistra possibile. Capire se esiste un futuro Pd di Molfetta possibile. Si dirà che l’autrice dell’articolo non è autorizzata all’analisi: ex sindaca, mai iscritta al Pd, che accusò il Pd di essere responsabile della sua caduta. Si risponderà che il Pd non esiste, esistono i Pd. Molto diversi fra loro. Gangs of New York. Ne sopravviverà solo uno, però. Anche a Molfetta. E dal Pd che sopravviverà, solo da lì, potranno nascere fiori o finirà per seccare definitivamente l’erba. C’era una volta, a Molfetta, un certo Pd. Aveva sbagliato tanto, aveva usato un tono di voce gentile in tempi di urla violente e nessuno lo sentiva. Fu, comunque, anche quel Pd (non da solo) a decidere che bisognava osare una mossa fuori da sé per uscire dal pantano. Fu quel Pd, anche quel Pd, a inventarsi il 2013 di Molfetta. Aprire, allargare, contaminare, mettersi in gioco. La foto di quel Pd, come quella di ogni partito grande, era confusa. C’erano i giovani, con la bandiera arancione; c’era il gruppo dell’assessore regionale, che faceva da motore a energia pulita; c’erano altri gruppi, molto insidiosi, che contavano le tessere come se fosse il poker, che stavano abbastanza in pace e stavano a vedere dove portava il motore, che tanto sempre meglio uscire dall’angolo che restare a pestare fango nella palude. Quel Pd dialogava, litigava, pulsava. Nel dicembre 2012, fu quel Pd a chiamarmi da Roma, anche se io nemmeno lo votavo e preferivo il partito abitato per anni dall’attuale sindaco, lo stesso dell’ex presidente di Regione. Una mossa di luminoso azzardo, una scommessa a perdere che non inguaiava nessuno: giovane, donna, senza tessera e senza pretese. Potevamo perdere bene senza che nessuno si arrabbiasse troppo e si facesse veramente male. Vincemmo a sorpresa. E un minuto dopo i Pd di quel Pd cominciarono a disegnarsi. Il fiume si fece correnti, le correnti crearono vortici e mulinelli. Qualche cascata, qualche onda anomala. Poi una tempesta perfetta che buttò via tutto e soprattutto buttò tutto a mare. Stanca ripetere questa storia. Non solo ascoltarla, dirla anche: sfinisce, talvolta dispera. E intanto la storia pre-2013 si ripete. È un attimo. Il nuovo presidente della Regione del Pd si organizza col il nuovo Pd, cambiando il motore. Il gruppo dell’ex assessore regionale esce. Il gruppo vicino all’ex presidente di Regione entra nel Pd per essere più vicino al nuovo presidente di Regione. L’attuale sindaco, pur di diventare attuale sindaco, abbraccia la grande ideologia del nuovo presidente di Regione: per sconfiggere la destra bisogna importarla. Non combatterla, ma accoglierla. Nasce la coalizione smart: transgenetica politica, laboratorio Frankenstein con il nuovo Pd a fare da perno e tutto il centrodestra protagonista degli anni d’oro del sindaco berlusconiano di prima-prima (tranne lui medesimo) a giocare al carnevale delle finte liste civiche senza colore, ideologia, né macchia, né peccato. Il presidente della Regione a fare da grande padre, l’attuale sindaco vestito da grande esperto. Il nuovo Pd a giocare al “grande partito” (con la metà dei consiglieri del 2013 in aula e un ruolo in giunta comunale completamente ridimensionato). Nuove correnti – sempre quattro: quella del presidente del Consiglio, quella dell’amico del presidente della Regione, quella degli eterni sfusi che non vogliono lasciare il campo, quella dei giovani che non vogliono lasciare la bandiera – e nuova visione. Altro giro, altra corsa. Assenso pieno alle politiche liberiste e anti ecologiste del sindaco nuovo: cemento selvaggio, proliferazione impazzita di grandi opere pubbliche, incarichificio sempre attivo. Bende, prebende. Il programma del 2013 finalmente nel cestino. Poi scoppia Appaltopoli. Ancora una “presunta Appaltopoli”, all’inizio. Tangenti presunte, turbative d’asta presunte, emergenza appalti e contratti presunta. Non c’erano i video delle mazzette, non c’erano le 374 pagine dell’ordinanza del Gip di Trani Rossella Volpe. Non c’erano gli arresti, non c’erano le intercettazioni. In un sussulto di imbarazzo (seguito già all’imbarazzo di sindaco e maggioranza a sostegno di Raffaele Fitto alle precedenti elezioni regionali), il Pd chiede una “verifica di maggioranza”. E si pensa: ecco, finalmente, escono da questa truffa. Lasciano Frankenstein e tornano a casa. Si pentono, capiscono, battono il petto. Chiedono scusa, si dissociano, ricominciano daccapo. Invece confermano. La fiducia, il sostegno, la presenza in giunta e alla presidenza del Consiglio comunale. Difendono il cemento selvaggio a Levante, le grandi e magnifiche opere, votano il bilancio, approvano lo spericolato uso dei mutui e dei fondi porto. Commissariati, divisi, svuotati: perseverano. E adesso – insieme a tutta l’Amministrazione comunale – franano. A 12 mesi (o forse meno?) dalla fine della scadenza naturale del mandato. Non li ferma nessuno: il segretario nazionale nuovo con l’anima e il cacciavite, il presidente della Regione tradito dalla coalizione smart che aveva battezzato, il sindaco della città metropolitana, uno straccio di parlamentare. In nome della “democrazia dei territori” nessuno li può giudicare. E però costruire un centrosinistra nuovo senza un Pd sano è una pozione magica che nessuno sa dosare. Non si conoscono i numeri, gli ingredienti, le istruzioni per tornare al Governo senza un Pd che sappia percorrere tutta questa storia al contrario. Buttarsi a mare, al posto che buttare a mare qualcun altro. E poi ritornare alla casella di partenza. Fine della favola, fine della corsa. Cercasi nuovo Pd, disperatamente. Lontano dal luna park indecente della politica degli affari. Capace di azzerarsi e ricominciare. C’è nessuno? © Riproduzione riservata

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