Il mistero del Francesco Padre, continua la ricostruzione della vicenda: errori e omissioni. Parte IV
Nel libro di Gianni Lannes ci sono notizie che vanno osservate e ben pesate come per il caso del “Comunicato stampa n.1” della Capitaneria di Molfetta emesso alle ore 15.00 del 4.11.1994 che dice: “alle 05.25 del mattino l’ Ente è stato informato telefonicamente dalla Centrale Operativa del Comando in Capo del Basso Adriatico ecc.” cioè da MARIDIPART- Taranto che è la massima struttura meridionale della Marina Militare e dunque del Ministero della Difesa. Così scritta e letta, si è portati a credere che la Capitaneria di Molfetta sia un organo periferico della Marina Militare e dunque subordinata alla struttura gerarchica superiore: Maridipart-Taranto. Cosi non è. Maridipart è una della strutture periferiche del Ministero della Difesa, mentre le Capitanerie di Porto e gli altri Uffi ci marittimi, sono strutture periferiche del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In detto Ministero opera un Ispettorato (che è il Comando Generale delle Capitanerie di Porto formato da militari della Marina Militare in comando amministrativo al suddetto Ministero), e le corrispettive Direzioni Generali. Ogni Capo di Circondario Marittimo è l’organo periferico del Sig. Ministro dalle Infrastrutture e dei Trasporti. In defi nitiva, la Capitaneria di Molfetta non è una caserma e non è alle dipendenze del Ministero della Difesa. Perché Maridipart comunica con un uffi - cio periferico di un’altra Amministrazione? Per essere più chiari. Anche se vestono la divisa della Marina Militare, il personale degli Uffi ci di porto non è alle dipendenze della Difesa ma alle dipendenze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Forse ci fu un interesse particolare di Maridipart per informare telefonicamente (e con abbondante ritardo) la Capitaneria di Molfetta? Tra i militari vigono le catene di comando e se diverse, seguono sempre le scale gerarchiche. Dunque, la notizia alla Capitaneria, anzi al comandante del porto di Molfetta, avrebbe dovuto pervenire da una delle strutture gerarchicamente superiore e cioè: dalla Direzione Marittima di Bari oppure direttamente da Roma dal Comando Generale del Corpo della Capitanerie di Porto. Al Comando Generale la notizia avrebbe dovuto pervenire dallo Stato Maggiore della Marina ed a questi, pervenuta dal Maridipart– Taranto. E si può presumere che così sarà stato per rispetto alle rigide regole militari. Se questa non fosse la regola, nulla impediva al Comandante della nave militare spagnola SPS “Baleares” o all’Ammiraglio Capo-Squadre della fl otta che eseguiva l’embargo, l’ immediata e diretta comunicazione del naufragio al comandante del porto di Molfetta; appena dopo il recupero dello zatterino e del salvagente che indicavano trattarsi del M/p “Francesco Padre” n. 990 del Registro di Molfetta. Il Comandante spagnolo invece informò il Comandante della fl otta che a sua volta informò il Centro Radio della NATO di Martina Franca che a sua volta deve aver comunicato la notizia al Comando NATO di Napoli e tramite l’uffi ciale di collegamento, data comunicazione a Maridipart-Taranto. Senza rilevare se, quanto comunicato fosse quello che i radar e l’equipaggio spagnolo videro eff ettivamente quella notte. Stando in plancia col radar acceso, non era diffi cile accorgersi del bidone della spazzatura sfuggito al cuoco e caduto in mare da poppavia o dal giardinetto. Chi ha navigato lo sa. Come mai una nave militare con radar ed attrezzature sofi sticate non vide il pagliolo a cui si era aggrappato il povero Mario? Forse che in quel momento i radar e le attrezzature della “Baleares” erano spenti o non funzionavano? Ritornando al “Comunicato n.1”; non c’è da meravigliarsi se la contraddizione è passata inosservata. I più, se per un verso ignorano la funzione civile degli Uffi ci marittimi, per altro verso tale ignoranza è pilotata per associare gli Uffi ci marittimi alla idea di siti militari; cioè di caserme. Questa idealizzazione poi, è da sempre coltivata con scientifi cità dagli operatori di detti uffi ci tramite l’uso della opportuna terminologia. Si fanno chiamare Comandante della Capitaneria usando spesso la specifi cazione di Comandante in 1ª o di Comandante in 2ª, e tutti, si indicano sem-pre con il grado militare rivestito. Anzi, con i gradi previsti per gli Uffi ciali di Stato Maggiore della Marina Militare. Non più tenente, capitano, maggiore, tenente-colonnello, colonnello ecc… ma sottotenente di vascello, tenente di vascello, comandante di corvetta, comandante di fregata, comandante di vascello, contrammiraglio, ecc.….; dal che, risulta facilitata all’esterno la necessaria soggezione a cui, nella gente, deve seguire il travisamento necessario a confondere o a commissionare in un uffi - cio dell’Amministrazione civile dello Stato, cioè della navigazione marittima, una caserma dell’Amministrazione militare della Difesa e cioè di caserma della Marina Militare. Però, il diritto della navigazione, dettata con preminenza gerarchica (sulle altre leggi) dal Codice della Navigazione, indica soltanto il comandante del porto che poi, in ragione dell’importanza dell’approdo e della giurisdizione territoriale, può ritrovarsi a capo di una Delegazione di Spiaggia, o di un Uffi cio Locale Marittimo, o di un Uffi cio Circondariale Marittimo (acquisendo la qualità di organo periferico), o di un Compartimento Marittimo che potrebbe essere anche sede di Direzione Marittima. In defi nitiva, si tratta sempre del dirigente di un uffi cio della marina mercantile istituito per l’esercizio del servizio conferito al comandante di quel porto. Non è un disquisizione accademica ma la ricerca del nesso tra la tragedia del Francesco Padre e l’attività del Servizio di Soccorso in Mare già operante a quel tempo, sia con le motovedette della “Guardia Costiera” in dotazione ad ogni sede di Compartimento marittimo, sia con alcune navi della Marina Militare già assegnate a detto Servizio: pronte a partire o già in perlustrazione lungo le coste della penisola. Mezzi navali, diretti dalla centrale operativa costituita presso il Comando Generale delle Capitanerie di Porto che, per eff etto dell’ assegnazione di navi della Marina a detto Servizio ancorché con impegno temporaneo, non poteva prescindere dall’esistenza di un collegamento tra lo Stato Maggiore della Marina Militare ed il Comando Generale delle Capitanerie di Porto. Un ulteriore motivo per supporre che Maridipart –Taranto informò immediatamente il proprio Stato Maggiore che immediatamente informò il Centro operativo del Servizio, quantomeno, per indicare il punto del naufragio ed il nome delle navi più vicine. Qualunque fosse stata la causa, si trattava pur sempre di un naufragio per il quale il Servizio, con immediatezza doveva allertare ed inviare i mezzi più vicini e più veloci. Dal libro si apprende che le navi militari, Fenice e Sagittario, che si presume già assegnate al Servizio, erano in mare ed in perlustrazione lungo la costa salentina tra Brindisi, Otranto e S. Maria di Leuca, e rileviamo che la sede di Compartimento marittimo più vicina al luogo del naufragio era quella di Brindisi. Per logica dunque, dal porto di Brindisi avrebbe dovuto partire subito il mezzo più veloce; e cioè, la motovedetta della “Guardia Costiera” del luogo. Ma, per verifi carsi l’invio della motovedetta, era necessario che la richiesta fosse partita dalla Centrale Operativa del Servizio oppure che lo disponeva autonomamente il comandante del porto di Brindisi se la notizia, al medesimo comandante del porto di Brindisi, gli fosse giunta per altre vie. E se il comandante del porto di Brindisi non poteva essere tenuto all’oscuro e si desume che non sia stato tenuto all’oscuro ma anzi che sia stato il luogo dove eff ettivamente arrivò subito la notizia del naufragio; c’è da domandarsi: fu fatta mai partire da Brindisi la motovedetta? Quanto tempo avrebbe impiegato la motovedetta per raggiungere il luogo del sinistro? E dunque: quando, a che ora e da chi fu informato dell’accaduto il comandante del porto di Brindisi? Se poi supponessimo che la comunicazione di Maridipart-Taranto a Molfetta voleva rivestire un pietoso atto umanitario; non par dubbio che tanta buona volontà sarebbe stata valida ed effi cace solo se l’informazione fosse stata comunicata a Brindisi che meglio avrebbe potuto attivarsi per la ricerca ed il soccorso ad eventuali naufraghi. Ma poi. Non c’era alcuno stato di guerra. E se ci fosse stata la guerra e il naufragio o meglio l’aff ondamento, avvenuto per atto bellico ed il mezzo fosse appartenuto al nemico; per convenzione internazionale i naufraghi, pur se nemici, andavano ricercati. salvati ed assistiti. Attività che avrebbe dovuto curare la nave spagnola Baleares appena arrivata sul punto e recuperato il salvagente ed il zatterino. Ci fu qualche ordine per non cercare eventuali superstiti? E’ risaputo che, un corpo annegato riaffi ora cadavere in superfi cie dopo 24 ore. Il cadavere di Mario fu trovato dai suoi colleghi verso le 14.30. Cioè, Mario non era annegato e dunque moribondo, deve aver galleggiato per varie ore tra i relitti che man mano furono recuperati. Come mai non fu visto prima! La Baleares non lo vide? Forse nessuno doveva vederlo moribondo ? E perché il cadavere non risulta mai arrivato nel porto di Brindisi? Sotto certi aspetti, la notte del 4 novembre 1994 sembra la notte del 10 aprile 1991 a Livorno. Tutti a preoccuparsi per l’Agip Abruzzo che non prendesse fuoco ma tutti a tenersi lontani dalla Moby Prince che stava bruciando e creava vittime.