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I pesci nel vernacolo molfettese
15 febbraio 2009

Il mare ha sempre esercitato un fascino particolare sugli abitanti di Molfetta, non solo per le incomparabili aurore e la dolcezza dei tramonti sul porto, per l'odore salmastro che a volte invade la città, ma anche e soprattutto per il prezioso carico che le barche portano con sé dopo una giornata di faticoso lavoro e di pericolo sempre in agguato. Il mestiere di pescatore è infatti duro, soggetto ai capricci del tempo, e soprattutto sempre meno redditizio a causa dell'impoverimento della fauna marina, dovuto all'innalzamento della temperatura del mare e degli oceani, nonchè alla presenza di sostanze tossiche: iprite, mucillagine, alga tossica (ostreopsis ovata), arsenico, mercurio ecc. Si tratta, inoltre di un mestiere non scevro da pericoli. Ultimamente ha fatto eco la notizia (vedi “Quindici” del 15 novembre 2008, pag.17) che nelle reti, che i pescatori salpano, oltre al pesce c'è una sostanza mucosa, che provoca asfissia, ferite, congiuntivite, irritazioni della pelle. E a ragion veduta è stato detto che la principale risorsa della nostra terra sta morendo! Il consumo del pesce, infatti, rientra nelle risorse primarie del vivere quotidiano, al quale non si può rinunciare, tanto è vero che in tempi passati, quando il pesce mancava nelle nostre piazze per le proibitive condizioni del mare, i pizzicagnoli (i più rinomati di un tempo: Giacomo Zanna e Felice Farinola, alias Felesciùdde) venivano incontro ai bisogni alimentari della popolazione con tini di baccalà (merluzzo dei mari nordici seccato e salato) messo in ammollo per renderlo commestibile. Il baccalà era un'alternativa alla classica zuppa di pesce (u cémbótte), fatta di pesce misto appena pescato, con aglio, prezzemolo, pomodori, olio di oliva. La zuppa di pesce misto nasce probabilmente come piatto preparato con quello che i marinai portavano a casa dalla pesca (buzzétte). In qualsiasi modo preparato, non v'è dubbio che il pesce fresco lascia sul palato un inconfondibile sapore di scogliera, come confermato nel “De piscibus” di ignoto autore provenzale del secolo XVI: “Memini me domi edisse frictos in sartagine et saporis esse suavissimi quodque linguam acrimoniaque quadam levi demulceant et gustatum titillent et provocent” (Ricordo di averli mangiati in casa fritti in padella e che erano di un sapore gustosissimo e tale che addolcivano la lingua con una leggera asprezza e stuzzicavano e provocavano il palato). E' il caso di dire con Dante Alighieri: “ 'ntender no la può chi no la prova” (Vita Nova, XXVI). Per una precisa terminologia, va detto che “u varcheceddàre” è il pescatore che usa barchette di piccolo cabotaggio, mentre “u mérnére” è il pescatore che lavora in barche più grandi. Vi è poi “u 'mbarcàte”, che lavora su navi mercantili per conto di compagnie di navigazione. “U varcheceddàre” è altresì il titolo di una marcia funebre scritta nel 1859 dal maestro Vincenzo Valente (1830-1908). La marcia è un omaggio alla vocazione marinara dei molfettesi. Nello svolgersi della melodia, infatti, si può rinvenire l'eco del comando dei barchettai (varcheceddàre): O vira! O vira! quando, con sforzo sincrono, tiravano in secco le loro barchette in vista di tempeste o mareggiate. Nell'intento di fare cosa gradita ai lettori di questo mensile riporto una nomenclatura dei pesci più comuni delle nostre piazze, senza alcuna pretesa di esaurire l'elenco. Accanto al nome in vernacolo molfettese, ho trascritto quello italiano. Per ulteriori approfondimenti sul nostro linguaggio marinaro rinvio il lettore al mio saggio “Lessico e folklore della marineria molfettese”, Editore Mezzina, Molfetta, 1996. Aghestenédde = è il novellame di trigliuzze di agosto Alàisce = alice o acciuga Agùglie = aguglia Èngelétte = gallinella o cappone Calémére = calamaro Cecàle = canocchia o pannocchia o cicala di mare Céfale = cefalo o muggine Cèrnie = cernia o dotto Cedàiene o cazze de 'rre = donzella zigurella Èttere = pagello o fragolino Gattòdde = gattuccio Gòscele = mormora Grùenghele = grongo Gheggióene = ghiozzo Lacìerte = lacerto o suro o sugarello Lecègne = pesce prete o lucerna mediterranea Meròsche o fragàgghie = pesce vario piccolo che si mangia crudo Mìnele = menola Nùzze= nasello o merluzzo argentato che nei grossi esemplari è chiamato”papendùene”. A seconda del modo di conservazione, il merluzzo prende il nome di “baccalà” se è decapitato, aperto e conservato sotto sale; “stoccafisso” se è decapitato ma lasciato intero ad essiccare al sole. Palàte = sogliola Parasàcche = tracina o ragno Pelóese = favollo Pènne = palombo Pezzecatràiesce = rospo o rana pescatrice Pìsce fàieche = cappellano o busbana o pesce fico Pìsce sbène = melù o potassolo Ràsce = razza o raja Salìpece o zembarìedde = gamberetti o salterelli Sàrde = sarda o sardina o sardella Scaldadèscetere (scalda dita) = sono le sardine che si mangiano appena tolte dal fuoco Sàrge = sarago o sargo Scrófene = scorfano Scrùmme = sgombro Sparróene = sparaglione Staffàiele = staffile o nerbo o serpe di mare Tìeste = cappone gorno Trègghie = triglia. A seconda della provenienza, si possono trovare: triglie “di sabbia, o di fango” con muso arrotondato e colore rosato; triglie “di scoglio”, con muso appuntito e colore rosso giallo dorato. Assai pregiata è la triglia di scoglio per la sua carne delicata e saporita, anche se ricca di spine, mentre quella di fango, un po' più grassa, è spesso un'incognita perché il suo sapore è legato al tipo di nutrimento a disposizione sul fondo del mare. Tótre = totano Vóepe = boga Zénghétte = zanchetta o suacia Oggi purtroppo nelle nostre piazze il pesce sta diventando raro per certe specie (sogliole. rombi, astici, scorfani, cefali, rondinelle, cozze penne, menole, aguglie, ecc.) e costa troppo. Hanno un bel gridare i nutrizionisti che lo consigliano almeno due volte la settimana per una dieta equilibrata. Infatti a prescindere dal prezzo di mercato, costoro altro non fanno che mettere in pratica un atavico pensiero dello scrittore latino A.Petronio (Satyricon): “Oportet etiam inter cenandum philologiam nosse” (Anche per desinare bisogna saper far uso dei principi della scienza). Nei centri commerciali possiamo oltre che fresco trovarlo decongelato, surgelato, importato, confezionato, pulito, deliscato, allineato. E' sempre lo stesso pesce o quasi, gli mancano l'amore per le cose buone, la cura della cucina, gli odori forti del nostro mare e i sapori delicati. Insomma il sapore gustoso e la poesia.
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