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I “Paesaggi dell'anima” di Vito Brattoli alla Galleria 54 Arte Contemporanea di Molfetta
26 maggio 2017

MOLFETTA - Interessante l’esposizione I paesaggi dell’anima di Vito Brattoli, allestita presso 54ArteContemporanea (diretta dall’artista Franco Valente) a Molfetta, con introduzione di Gaetano Mongelli, docente di Storia dell’Arte moderna presso l’Università di Bari (curatore anche dei testi della brochure), e con la partecipazione dell’artista Leon Marino, estensore della presentazione del catalogo Finestre sul mio universo, pubblicato nel 1998.

L’artista, molfettese, attualmente titolare della cattedra di Figura e Ornato Modellato del Liceo Artistico “Caravaggio” di Milano, è diplomato in scultura, titolo conseguito presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Ha all’attivo la partecipazione a esposizioni collettive, ma anche la realizzazione di allestimenti personali presso la Galleria Diagramma di Milano (1980, Viaggio precario; 1981, Estreme periferie).

Come ha lucidamente evidenziato Mongelli in relazione alle tabulae pictae dell’artista, i paesaggi di Brattoli “talvolta consentono alla pittura di incrociare le risorse della scrittura, restituendoci il periplo di un territorio schiarito da una luce incapace di coniugarsi con le ombre”. Quanto al suo background coloristico, già Marino aveva evidenziato il suo essere “incline verso l’area pittorica di Nicola De Maria”. Molteplici sono gli elementi che apparentano le due espressioni estetiche: la predilezione per lo scenario cosmico, l’immaginario geometrizzante, il connubio tra pittura e scrittura, alla ricerca di una dimensione alternativa alle comuni forme di elaborazione artistica…

Ancora valida, anche alla luce della poderosa installazione allestita presso 54ArteContemporanea, appare l’idea della pittura come finestra spalancata non tanto sul cosmo, quanto sull’universo psichico dell’autore. In un itinerario che predilige il pigmento naturale, ma in valido equilibrio con la pittura ad olio, Brattoli si affida a un’efficace metafora. La tela squaderna l’io, esprimendone, in forme astratte, la tensione verso la luce e l’immenso. Essa è quinta spalancata su un vero e proprio laboratorio alchemico, che talora potrebbe anche assumere le forme stranianti della catena di montaggio, ma prevalentemente si fa pellegrinaggio “alla ricerca dei mille santuari delle virtù”. Così, segmenti di luce finiscono col tracciare autostrade nell’azzurro. Altra presenza pervasiva sono i globi di fuoco, cui talora si accosta, assumendo connotazioni a essi similari, il motivo del seme, forza generatrice che coesiste, bilanciandola, con l’evocazione della caducità della luce, del suo morire, più simile tuttavia al canto di un cigno che all’annichilimento.

 Molto interessante è anche il concetto di periferia, declinato in misura non casuale, e neppure episodica, dall’artista. Nell’immaginario comune, essa appare sinonimo di grigiore, di cementificazione, mentre le “estreme periferie” di Brattoli brulicano di luci e palpitano di calde effusioni cromatiche. Credo il tutto sia riconducibile sempre alla metafora dell’universo psichico individuale, in cui le periferie rappresentano i recessi intimi. La discesa nel più profondo Sé non è viaggio agli Inferi, ma riappropriazione delle verità del cuore e nuova armonizzazione con il concento della vita. Solo così l’artista può arrivare a percepire lo sguardo e il sorriso dei propri dipinti, finestre sull’anima che sorridono ad altre anime, suggellando nuove empatie.

© Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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