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I nuovi vassalli tra fàmuli e giannizzeri
15 maggio 2017

Oggi siamo assediati dal tirapiedi. C’è una inflazione di palloni gonfiati. Lo stuolo dei gregari si lottizza le aree del padrone. Il potere si frantuma nelle mani di fàmuli e giannizzeri di turno. La cerniera dei proseliti diventa passaggio obbligato per chi voglia accedere, non dico alle zone del privilegi, ma perfino a quella dei più sacrosanti diritti. Finanziamenti, appalti, assunzioni, piani regolatori, tangenti, vengono filtrati dallo svincolo dei sottocaliffi. Gli accoliti, poi si aggregano e si scompagnano secondo spregiudicati calcoli di alchimia politica, tutti tesi a cogliere l’attimo opportuno per salire sul vapore e insediarsi alla sua guida. Di qui, l’anima clientelare che ci portiamo dentro. Di qui, le molteplici sudditanze che, attraverso la lunga catena di vassalli, valvassori e valvassini ci conduce a oscene genuflessioni. Di qui cinismo con cui si spia il momento opportuno per far fuori comanda e prenderne il posto. Di qui, l’arroganza con cui il capo viene ricattato dagli arrampicatori che frequentano le sue segreterie. Di qui, l’impudenza con cui il gerarca supremo è spesso tenuto in ostaggio dai suoi corrotti manutengoli. Perdonami lo sfogo, carissimo Aronne. Ma parlare con una persona dal cuore incontaminato come il tuo mi solleva lo spirito. Mi fa sognare tempi migliori, che certamente verranno. E mi fa fiorire nell’anima la speranza in un mondo più pulito e più giusto. Così come, un giorno, fiorì il tuo bastone. Nel deserto. Davanti alla tenda di Dio. Sempre profetiche le parole dell’indimenticabile servo di Dio don Tonino Bello (che non ci stancheremo mai di citare) nella lettera ad Abramo e alla sua discendenza scritta nel lontano 1992. Sembra una lettura contemporanea di quello che sta avvenendo a Molfetta, dove la prassi diffusa del trasformismo sta togliendo qualità alla politica, se mai ne avesse avuta dopo gli scempi che il centrodestra ne ha fatto. Ora ci si mette anche il centrosinistra o quello che pretende di essere tale, a cominciare dal Pd di Piero de Nicolo, che come quello nazionale di Matteo Renzi, sembra più un partito personale che di massa, come dimostra il crollo di iscritti ed elettori, la fuga di dirigenti e il tracollo complessivo terminato con l’adesione alla coalizione di destracentro di Saverio Tammacco e Tommaso Minervini, mascherata da sinistra emiliana, dopo che l’intero gruppo delle 7 liste civiche e dei resti del Pd, si è consegnato al governatore pugliese, nella speranza di ottenere qualche prebenda. In realtà Saverio Tammacco è ancora in attesa della sua gratificazione politica, dopo aver portato circa 9.000 voti a Michele Emiliano alle elezioni regionali. Si era parlato di un incarico, ma forse lo stesso presidente ha preferito essere più prudente. Ora l’ex colonnello di Antonio Azzollini, già ex An, prima di tradire il senatore (a sua volta “traditore” di Berlusconi per Angelino Alfano), passando in Forza Italia, ha ancora una volta cambiato casacca e con un’operazione da perfetto voltagabbana, si è trasferito armi e bagagli in una presunta sinistra (una destra mascherata) di Emiliano. Il governatore poi predica bene e razzola male: dichiara “voglio un Pd di sinistra” e poi si allea con la destra a Molfetta e imbarca anche tutti i berlusconiani mascherati o voltagabbana che sono con Tommaso Minervini a sinistra e ora ritornato a destra con la speranza di rioccupare quella poltrona. Sinceramente ci riesce difficile comprenderlo. Quello che sorprende, poi, nel residuo Pd, è la scelta di alcuni eredi storici del Pci di schierarsi a destra: anche loro in soccorso del probabile vincitore. In cambio di qualche incarico? Veramente a contare assessorati e incarichi vantati da tanti in giro per la città, siamo già a un numero di rappresentanti che manco l’Onu. Tommaso Minervini nell’intervista che, a differenza dell’altra candidata del centrodestra Isabella de Bari, prestanome di Azzollini, ha concesso a “Quindici” con domande scomode (anche se a molte non ha risposto), è convinto di non essersi comportato da trasformista nei suoi vari passaggi da sinistra a destra, sempre in occasione delle sue candidature a sindaco e di non avere alcun imbarazzo a stare con coloro che stavano dall’altra parte. Appare sicuro di vincere al primo turno e ha dalla sua parte molte liste e molti personaggi tiravoti, che, da buoni italiani, si sono affrettati a salire sul carro del probabile vincitore. Ma i conti sulla carta, come dimostrano anche le recenti elezioni francesi, non si possono più fare: la gente sceglie liberamente e può anche sovvertire tutti i pronostici, come avvenuto nel secondo turno delle amministrative del 2013 quando la Natalicchio vinse con quasi 18mila voti. Perciò appaiono ridicoli calcoli delle preferenze che varie liste e alcuni personaggi politici continuano a fare: Tizio vale 5.000 voti, Caio 3.000, Sempronio 2.000 e quindi insieme fanno 10.000 voti. Non hanno imparato nulla da quello che sta succedendo i giro per il mondo. I parametri del passato non reggono più. Ammesso anche che il “ciambotto” come “Quindici” ha subito etichettato questa armata brancaleone vinca le elezioni. Riuscirà dopo a restare unito pur con culture e tradizioni diverse? Quale sarà il collante che dovrà adoperare il buon Tommaso, che, forse, si illude di poter controllare personaggi da sempre abituati a metodi clientelari e alla caccia a poltrone, incarichi e appalti? Non siamo così ingenui da credere che l’obiettivo di questa coalizione di personaggi che non hanno esitato a tradire una volta e possono farlo ancora, sia il bene comune, l’interesse della città, lo sviluppo, il lavoro e tutte le altre belle cose che si scrivono nei programmi per utili idioti. Anche perché alcuni di essi hanno vissuto e vivono dalla politica e li abbiamo già visti alla prova in passato. L’Italia è il Paese di Depretis e Giolitti, del loro trasformismo destabilizzante e del sistema delle clientele che fu duramente condannato dal nostro Gaetano Salvemini. Lo ricordiamo all’aspirante sindaco Tommaso Minervini che, già nel 2013 aveva mal digerito la scelta di candidare Paola Natalicchio al posto suo. Lui si richiama spesso allo storico antifascista molfettese, ma non basta riferirsi a parole ai suoi insegnamenti, occorre metterli in atto, con quella coerenza che lui ha sempre dimostrato. Tra i temi che contrassegnarono l’azione politica di Salvemini ci furono quelli della lotta al trasformismo, alla corruzione pubblica e alla criminalità organizzata che, allora come ora, trovavano nelle regioni meridionali la propria inesauribile riserva di voti. Ci sono troppi fàmuli in giro. Ecco perché ci mancano tanto proprio Gaetano Salvemini e don Tonino Bello.

Autore: Felice de Sanctis
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