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Guglielmo Minervini: sconfitto il trasformismo, i pugliesi hanno saputo scegliere L'INTERVISTA. L'assessore regionale confermato nel nuovo consiglio
15 giugno 2015

I rapporti con Michele Emiliano, il futuro di Noi a Sinistra per la Puglia, l’eredità del decennio vendoliano e le conseguenze del voto in città dove la sinistra appare sempre più divisa. Le elezioni regionali sono alle spalle solo da una manciata di giorni ma l’agenda politica non dà tregua e Guglielmo Minervini, ex sindaco di Molfetta, 10 anni assessore regionale, riconfermato consigliere regionale per la terza volta con 7.978 preferenze è chiamato subito a rispondere a nuove impegnative sfide. Cosa ci dicono i risultati del voto a Molfetta? «Il dato di Molfetta è stato fortemente inquinato dalla spinta alla trasformazione in una sorta di referendum sull’amministrazione locale. Si è parlato pochissimo di Puglia e tantissimo di Molfetta eppure parlare di regione significa parlare di città, di urbanistica, infrastrutture, di tutti noi. Queste elezioni sono state distortamente interpretate come un secondo tempo del voto del 2013. Il clima rissoso e violento, da assalto alla diligenza, verso l’amministrazione, non vi è dubbio che ha oscurato i temi regionali contribuendo ad allontanare ancora di più l’elettorato dal voto. Un dibattito politico incivile allontana sempre gli elettori». In città la campagna elettorale ha avuto accenti durissimi... «C’è stato un clima linciaggio, di dileggio personale che la mia scelta politica ha innescato. Eppure mi sarebbe piaciuto parlare delle ragioni della mia scelta anche con quelli che legittimamente sono rimasti nel Pd. Ho posto temi politici laceranti, che poi hanno assunto un carattere nazionale, mi sono ritrovato contro un branco a caccia di una preda e non è stata una bella sensazione. Ho le spalle larghe per questo ho scelto di rispondere con il mio stile, la mia pacatezza. Preferendo un sorriso alle peggiori contumelie.» Intanto le polemiche all’interno della sinistra cittadina continuano. In particolare tra lei è Piero de Nicolo. C’è possibilità di una ricomposizione? «In questi anni con Piero de Nicolo abbiamo costruito all’interno del Pd un rapporto vero, profondo, fondato sulla massima lealtà. Eppure, quando ho maturato scelte diverse dal partito democratico, ho giocato a carte scoperte assumendone la responsabilità. Adesso lui, che pure alle spalle si lascia un percorso politico non sempre lineare e scelte ultime non proprio coerenti, è segretario del Pd. Sulla candidatura di Erika Cormio con lui hanno puntato ben sei consiglieri comunali tra cui il capogruppo Giulio Germinario, un presidente di una partecipata Leo Amato, l’ex assessore Serena La Ghezza, Annalisa Altomare, Lillino Di Gioia, i Giovani democratici. Questo folto gruppo sul candidato di circolo prende solo 1.500 preferenze. Il circolo si è esposto su una preferenza. Il risultato del circolo di Molfetta è di 1.500 voti. Dal 2010 a oggi è il risultato più basso nella storia del Partito Democratico di Molfetta. Di gran lunga persino più modesto di quello che raccogliemmo nel 2005 come Margherita, allora piccolo partito all’opposizione. Adesso Piero, come segretario, eserciti la sua funzione mettendo in campo la politica. Questo significa assumere sulle proprie spalle, con spirito di sacrificio, il compito di tenere insieme una coalizione complessa come abbiamo fatto noi in questi anni. Se è un leader, ora è tempo di dimostrarlo. Una cosa è fare il capo corrente di via Manzoni, ben altra il segretario di Corso Margherita. Non ho alcun dubbio che dinanzi a questa sfida, il mio amico Piero de Nicolo saprà rivelarsi all’altezza». Saverio Tammacco è fuori dal consiglio regionale. Ma ha totalizzato ben 9.020 preferenze. E’ la dimostrazione che gli elettori non prestano attenzione alla tenuta ideologica dei candidati? Il trasformismo continua a pagare? «Il risultato di Tammacco dimostra che c’è un insediamento sociale sensibile a una certa modalità di raccolta del consenso. Eppure la sconfitta elettorale dimostra per Tammacco, come per molti altri impresentabili pugliesi, che quel tempo sta finendo e che la Puglia è cresciuta. In questi dieci anni è andata avanti. Lo considero uno dei messaggi più positivi di questa campagna elettorale nata sotto auspici preoccupanti. Gli elettori pugliesi hanno saputo fare la differenza: nessun impresentabile è stato eletto, il trasformismo è stato battuto nelle urne». Dopo le regionali per Renzi è suonato il primo campanello d’allarme? «L’Italia che esce fuori da questo voto è tripartita: al nord il Berlu-leghismo; al centro l’astensione; al Sud un Pd diversamente renziano. Il renzismo da queste elezioni riceve una battuta di arresto esplicita che dovrebbe suscitare un sensibile cambio di rotta non solo nella linea politica ma soprattutto nell’atteggiamento. Si governa con un disegno, senza arroganza e con un atteggiamento di dialogo verso il paese. Altrimenti si va a sbattere». Michele Emiliano è il nuovo governatore ma la coalizione sembra piuttosto eterogenea: riuscirà a tenerla insieme? «La coalizione di Michele Emiliano non è ancora politica. Il suo collante non è la condivisione di un programma di governo. Spero che Michele Emiliano presidente si applichi a questo: a dare omogeneità politica alla coalizione e a definire le priorità delle cose da fare per cambiare la Puglia». Dopo le elezioni quali saranno gli orizzonti di “Noi a Sinistra” per la Puglia? «Il Pd di Renzi come ha sostenuto recentemente Prodi non è figlio dell’Ulivo. E’ un’altra cosa. Il partito unico della Nazione, il cui disegno di cambiamento ha tratti inquietanti come emerso sulla scuola. La domanda di cambiamento del paese può prendere un’altra direzione che ha i caratteri dell’innovazione e della giustizia sociale. Se il Pd di Renzi continuerà a chiudersi in se stesso, emergerà a breve una nuova proposta politica. Penso che in Puglia anche alla luce del laboratorio di governo realizzato in questi anni, possiamo lavorare su questa prospettiva dando un contributo concreto e comunque da protagonista». E adesso? Quale ruolo per Guglielmo Minervini? Sarà ancora assessore? «Ho già detto che nei prossimi anni preferirei lavorare per aprire al dopo: nuove idee, nuovi percorsi e nuove leadership che rispondano alla fame di una politica limpida e pulita. Dopo dieci anni di amministrazione penso di aver contribuito a dimostrare che le politiche pubbliche possono essere una leva creativa di innovazione sociale, economica, culturale. Che si può stare al governo liberando il potere delle persone».  

Autore: Onofrio Bellifemine
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