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Gli emoji, la lingua del futuro
15 ottobre 2017

Fa riflettere il fatto che nell’era della comunicazione globale ad oltranza, dell’eterna connessione a dispositivi digitali di ogni tipo e in continua evoluzione, il valore della parola si sia, come dire, ristretto a tal punto che tutti noi sentiamo il bisogno in chat, e-mail e sms di sottolinearne e chiarirne il significato, se non addirittura  sostituirlo, con faccine, disegnini e simboli, messi lì a mimare un sorriso, un consenso, un’alzata di spalle o un movimento della mano.

E’ come se ci sentissimo tutti più insicuri e avessimo di fatto smesso di scrivere e parlare, di usare la grammatica e la nostra voce per dire, chiamare, spiegare, preferendo a frasi compiute e ben strutturate, una forma espressiva limitata, basica, fatta di segni e piccole immagini a cui affidare sentimenti, idee e pareri, il racconto stilizzato e schematico di ciò che pensiamo, delle attività che stiamo svolgendo, del posto dove siamo o andremo. Gli emoji parlano di noi e per noi, sono un silenzioso, mobile e colorato chiacchiericcio che intercorre tra gruppi e singole persone su smartphone e computer, un gioco di non-parole a cui ci riesce difficile sottrarci.  

Per molti si tratta di un finto parlare, di un illusorio conversare con amici, parenti e persino colleghi di lavoro senza dirsi poi molto, quasi uno stentato tracciare segni sui muri come facevano i nostri antenati delle caverne, per altri di una modalità di contatto e di una trasmissione di informazioni e pensieri più semplice e immediata, disimpegnata e meno complessa, a passo con i ritmi concitati di un vivere e lavorare quotidiani alquanto superficiali.

Come sempre la verità sta nel mezzo, nell’uso accorto ed appropriato degli strumenti che la scienza e la creatività di certe menti ci mettono a disposizione, con l’intento, come in questo caso, di facilitarci i rapporti interpersonali.

In realtà gli emogji (attualmente se ne contano 2.000 suddivisi in 9 macrocategorie, a loro volta composte da emoticon e persone, animali e natura, cibi e bevande, attività, viaggi e luoghi, oggetti, simboli e bandiere), pittogrammi di origine giapponese, a metà tra immagine e scrittura, in circolazione già dal lontano 1990, si stanno imponendo come linguaggio universale sulla rete e, pur assumendo significati diversi a seconda del Paese, della situazione e dei  social in cui vengono usati, hanno colmato i vuoti della comunicazione virtuale e digitale semplificandole, superando limiti fisici e geografici. Essi sono destinati a diventare una para-lingua e, secondo  gli esperti, potrebbero arrivare a sostituire del tutto le parole oltre che arricchirle di sfumature e adornarle esteticamente come già succede, prova ne è la scelta fatta due anni fa dall’Oxford Dictionary che premiò come “word of the year” l’emoji che piange lacrime di gioia.

Addio vocabolario? Forse sì, anche se molti avevano già smesso di usarlo da tempo.

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