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Giulio Cozzoli: un uomo che ha inseguito un sogno
15 marzo 2018

Si sono concluse nelle scorse settimane le iniziative promosse in occasione del sessantesimo anniversario della morte di Giulio Cozzoli (avvenuta improvvisamente nella notte del 15 febbraio 1957) dalla Cooperativa FeArT, su iniziativa del Museo Diocesano, in collaborazione con il Teatro dei Cipis e con la supervisione del prof. Gaetano Mongelli, il massimo studioso dello scultore molfettese. Avviate lo scorso anno con la performance “Con gli occhi di Giulio Cozzoli” e l’allestimento dell’esposizione “Giulio Cozzoli 1957 – 2017” con oltre venti bozzetti inediti e l’installazione del gruppo della Deposizione all’ingresso del Museo Diocesano, sono proseguite con tre interessanti e coinvolgenti appuntamenti. Il primo di questi incontri, tenutosi proprio lo scorso 15 febbraio, ha segnato i sessantuno anni dalla scomparsa del Maestro con una conversazione sul tema “Sessant’anni dopo. Giulio Cozzoli in mostra”. A discutere dell’amatissimo artista il prof. Gaetano Mongelli, che ha brevemente rievocato le diverse iniziative realizzate dalla Città di Molfetta e da diverse istituzioni culturali per celebrare il genio creativo dell’artista. Nel 1997, a quarant’anni dalla sua morte, venne realizzata una mostra e un catalogo e, grazie alla determinazione e all’impegno di Maurangelo Cozzoli, nipote dell’artista, si giunse alla fusione del gruppo della Deposizione. Dieci anni dopo, nel 2007, venne istituita una Gipsoteca civica (oggi non più esistente), che custodiva alcuni bozzetti ora confluiti al Museo Diocesano (anche se nella mostra “Giulio Cozzoli 1957 - 2017” sono stati inseriti solo un bozzetto del Monumento ai Caduti di Terlizzi, un bozzetto e una prova di fusione in bronzo della Deposizione), e venne presentata al pubblico, per la prima volta dopo l’esposizione del 1950 nei locali di Palazzo Cappelluti, la statua della Maddalena, definita “scandalosa” per la sua avvenenza ed espressività che la Curia vescovile considerò «inadatta ad una processione mistica». Il nucleo centrale della conversazione sono stati, ovviamente, i bozzetti che hanno tracciato il percorso, tra analisi stilistica e aneddoti legati alla biografia del Maestro, a partire dall’inequivocabile ispirazione michelangiolesca e berniniana, ma soprattutto la volontà, come ha sottolineato Mongelli, di «scandagliare la facies inedita a livello documentario e filologico che restituisce l’archivio Cozzoli». Un archivio che, oltre a un immenso epistolario, custodisce anche frammenti della grandezza di francobolli, con disegni di San Pietro, San Giovanni, della Pietà che dimostrano una velocità e una pienezza creativa tale da far affermare a Mongelli: «quando Cozzoli pensa in grande, disegna in piccolo». Bozzetti vergati in fretta ovunque balenasse un’idea creativa nella mente dell’artista (persino nel salone del barbiere) e cristallizzati su qualunque supporto (frammenti del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, ad esempio). Nel corso della conversazione, Mongelli ha mostrato due inedite pergamene. Si è trattato delle attestazioni della vittoria nei concorsi indetti dalla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, con l’opera “San Pietro che rinnega Cristo nel Pretorio di Pilato”, e dell’Insigne Accademia Romana di San Luca, con la scultura “Vestire gli ignudi”. Mongelli si è, dunque, soffermato sulla levatura degli artisti e degli studiosi che hanno conferito tali riconoscimenti a Giulio Cozzoli. Partendo, ad esempio, dal presidente e vicepresidente dell’Accademia, rispettivamente Giulio Tadolini e Giuseppe Tommassetti, ha rapidamente tracciato un quadro del panorama artistico della Capitale a cavallo tra XIX e XX secolo. Bozzetti e documenti hanno richiamato momenti di successo e di apprezzamento per l’opera di Cozzoli, ma non sono mancati i riferimenti a cocenti delusioni, come quelli per opere che non hanno superato selezioni e competizioni, delusioni che hanno portato Giulio Cozzoli a preferire l’essere «primo in provincia, piuttosto che secondo non raccomandato nella capitale». Due gli esempi sui quali si è soffermato Mongelli: il bozzetto per una Nike (vittoria alata) da realizzare in bronzo, destinata al ponte Vittorio Emanuele II di Roma (furono preferite le sculture di Elmo Palazzi, Luigi Casadio, Amleto Cataldi e Francesco Pifferetti), e quello, in legno e gesso, per il monumento a Umberto Giordano a Foggia, di cui Mongelli ha illustrato l’articolato programma iconografico. Le tematiche approfondite da Mongelli durante la conversazione sono state riprese nel corso di due serate dedicate alle visite guidate alla mostra, a cura della dott.ssa Paola De Pinto della Coop. FeArT e animante dagli interventi dell’attore Corrado la Grasta che ha “dato voce” allo scultore. Il percorso ha preso il via dai bozzetti preparatori delle statue processionali dal Sabato Santo per concludersi dinanzi al gruppo della Deposizione, senza trascurare i bozzetti soggetti religiosi e monumenti. La serata conclusiva si è tenuta nella chiesa di Santa Maria Consolatrice degli Afflitti (Purgatorio) con la manifestazione “Le Statue del Sabato Santo” promossa da Arciconfraternita della Morte dal Sacco Nero, sempre in collaborazione con la società cooperativa Fe- ArT e il Teatro dei Cipis e la supervisione del prof. Mongelli. Tra le sette statue processionali si è tenuto un reading teatrale che, ancora una volta, ha visto Corrado la Grasta vestire i panni di Giulio Cozzoli per narrare la genesi delle opere nonché le immancabili polemiche che hanno accompagnato la loro presentazione alla città, spesso troppo affezionata all’iconografia di alcune statue precedenti. La narrazione ha preso il via da alcuni pensieri di Giulio Cozzoli: «Il concetto di “bello” nell’Arte ha poco di soggettivo ma richiama il concetto di “pulchritudo”», seguita da un’affermazione lapidaria che ha ben reso la figura dell’uomo e dell’artista: «Non sono mai sceso a compromessi. Neanche per le Statue del Sabato Santo». Il racconto è stato scandito dalle sette statue, collocate tra aula e presbiterio secondo l’ordine processionale, illuminate di volta in volta. Il primo protagonista è stato, ovviamente, il simulacro di San Pietro, plasmato con la carta dell’Osservatore Romano. Un San Pietro in atteggiamento di sorpresa che si coniuga con il pentimento, proprio nell’attimo di udire il canto del gallo. A seguire la Veronica, ispirata a un’omonima statua che Cozzoli aveva ammirato nella chiesa di San Pietro, Maria di Cleofa e Maria di Salome. Poi la Maddalena, di cui Molfetta conserva ben cinque versioni: la prima, settecentesca, venne sostituita con una statua lignea scolpita a Ortisei. La sua postura (era in ginocchio), però, rompeva l’ideale linea compositiva della processione, elemento particolarmente avversato dal Cozzoli. Venne sostituita con un’altra in postura eretta che, però, non incontrò il favore dei fedeli. L’artista molfettese, allora, ricevette l’incarico di realizzare una nuova statua ma la stupenda scultura, come abbiamo già detto venne giudicata “inadatta”. Cozzoli preferì tenerla per sé e realizzò la statua attualmente portata in processione. Anche il simulacro di San Giovanni ha avuto una storia particolare: il Maestro, impegnato nella realizzazione del Monumento ai Caduti, invitò l’Arciconfraternita a rivolgersi a un suo collega barese che, però, sparì. Giulio Cozzoli, allora, riorganizzò il suo lavoro e, coadiuvato da Giuseppe (un suo compagno di scuola) portò avanti entrambe le opere. Diverse le modifiche che interessarono la Pietà. Giulio Cozzoli sostituì il simulacro del Cristo con una scultura dai chiari riferimenti michelangioleschi e pose la Vergine su un masso nel quale era infissa la Croce. A sottolineare i passaggi salienti del racconto le familiari note delle marce funebri, che hanno reso ancora più palpabile il pathos suscitato dalla performance che ha meritato scroscianti applausi. Una serata di grande emozione che, come ha sottolineato il priore dell’Arciconfraternita Onofrio Sgherza, ha voluto essere «un contributo all’arte sacra del Maestro ma anche alla figura di Maurangelo Cozzoli, nipote dello scultore, che tanto ha contribuito a conservare viva la memoria dello zio per cui aveva anche lavorato alle nostre statue e ancor più alla Deposizione». «Abbiamo fortemente voluto questa serata – ha proseguito Onofrio Sgherza – per non dimenticare chi ha contribuito a rendere più belli i nostri riti». Ma come custodire nella memoria individuale e collettiva una figura come quella di Giulio Cozzoli? A rispondere sono le stesse parole lasciateci dall’artista: «Ricordatevi di me come di un uomo che amato la sua terra, i suoi riti, le sue tradizione, un uomo che ha inseguito un sogno e non sempre è stato in grado di raggiungerlo...». ©Riproduzione riservata

Autore: Isabella de Pinto
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