Giornata della Memoria: le leggi razziali, parlarne per non dimenticare
Scriveva Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Questo stesso spirito ha animato le commemorazioni molfettesi per la Giornata della Memoria, grazie all'impegno congiunto dell'Arci Cavallo di Troia, della Casa dei Popoli e di Amnesty International. Il 27 gennaio, data dell'entrata delle truppe sovietiche nel campo di sterminio di Auschwitz, è stato proclamato Giornata della Memoria perché della Shoah, il genocidio del popolo ebreo ad opera della Germania nazista, non si deve perdere nessun particolare, nessun ricordo, nessuna testimonianza deve rimanere inascoltata. Primo di tre serate l'incontro con il prof. Vito Antonio Leuzzi, professore e studioso dell'Istituto Pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea, e Enrico Modigliani, fondatore del Progetto Memoria – Centro di Cultura Ebraica di Roma, personalità importante del CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, istituto storico culturale indipendente attivo dal 1955) di cui è consigliere. Il tema è quello delle leggi razziali del 1938 in Italia e in Puglia, lo stesso affrontato dalla mostra “1938 – 1945 La persecuzione degli ebrei in Italia”, a cura della CDEC e allestita all'interno della Fabbrica di San Domenico. “Le nostre scuole, le nostre università furono terreno fertile per la propaganda antisemita, a partire dalla figura di Nicola Pende, docente dell'Università di Bari in quel periodo, che fu firmatario del Manifesto della razza”, questo il punto di partenza della riflessione del prof. Leuzzi, che ha dedicato il suo intervento al ricordo di Tommaso Fiore, fin da subito grande oppositore delle leggi razziali e del regime fascista, e la cui numerosa famiglia fu sostenuta da molte famiglie molfettesi nel periodo della sua incarcerazione e del suo durissimo confino. Ma Molfetta ha segnato anche altre pagine importanti della storia: negli anni '35 e '36 il prof. Carlo Buscetta, del nostro Liceo Classico, fu vittima di una violenza inaudita solo per aver manifestato dissenso per le disposizioni razziste contro i neri. Erano gli anni della guerra d'Etiopia, e il culmine della dittatura fascista stava per essere raggiunto; le scuole diventavano sempre più militarizzate: il culto della guerra era la priorità educativa. La Puglia è stata terra di campi di internamento come quelli di Manfredonia, delle Tremiti (dove fu imprigionato anche Sandro Pertini) per ebrei, antifascisti, valdesi, pentecostali, zingari e omosessuali, per poi diventare territorio di campi profughi nel 1948. “Dopo 70 anni dobbiamo continuare a chiedere perdono” incalza il Leuzzi, “abbiamo il dovere di chiedere perdono e di ricordare”. Esempio tangibile di questo ricordo è il lungo racconto di Enrico Modigliani, testimone bambino delle leggi razziali in Italia, erede di una famiglia ebrea stanziatasi a Roma sin dal 1500 e da sempre impegnato nella narrazione di quegli anni, strumento fondamentale per la creazione di una coscienza comune sugli errori del passato. Modigliani è un uomo di spirito, ma ammette che il cuore gli batte ancora quando racconta la storia della sua famiglia, una straordinaria riflessione sui tempi passati, ma anche sui nostri di tempi, perché i genocidi ancora ci sono, nel ventunesimo secolo, e continuiamo ad ignorarli. Le parole di Enrico Modigliani corrono senza sosta, accompagnano le foto e i documenti originali dell'epoca, e dipingono immagini ancora vivide: il 20 dicembre 1938 in cui ha accompagnato il padre per la dichiarazione di appartenenza alla “razza” ebrea, il giugno del 1940 e l'inizio della guerra, l'umiliante consegna obbligata della radio, unica finestra sulla guerra, tenuta provvisoriamente al commissariato dicevano, ma Modigliani adesso può, ironicamente sottolineare: “Ho dimenticato di andare a riprenderla”. Gli anni della guerra si concludono con l'armistizio dell'8 settembre 1943, ma la persecuzione degli ebrei continua con i tedeschi che invadono Roma e che si macchiano col sangue dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. La famiglia Modigliani trova la salvezza in una falsa identità, fino al 4 giugno del 1944 quando lunghe file scomposte di tedeschi lasciarono Roma lasciando posto ai carri armati americani. Enrico Modigliani regala a tal proposito una immagine: “Immaginate questi carri armati lucenti con le loro stelle bianche brillanti al sole, e i soldati che ci lanciavano cioccolatini e chewing gum, la prima volta che li toccavamo con mano”. Molti furono gli italiani che rischiarono la vita pur di salvare le famiglie di amici e vicini ebrei, ma altrettanti furono i vigliacchi che per 5.000 lire denunciarono uomini ebrei fino ad allora sfuggiti: questa altra faccia della medaglia non deve essere mai dimenticata. Alla domanda di Quindici su come poi gli ebrei italiani abbiamo metabolizzato le leggi razziali e siano ritornata a sentirsi italiani, Modigliani riflette velocemente e risponde con fermezza: “La voglia di dimenticare velocemente l'orrore, questo è stato il motore di tutto. Ma ora più che mai bisogna dar spazio al ricordo, a 70 anni di distanza bisogna riprendere la storia in mano e imparare dagli errori del passato”. A concludere la serata il grande talento del Carro dei Comici con “Shemà”, una rilettura di due testi fondamentali della storia della Shoah, Il diario di Anna Frank e Se questo è un uomo di Primo Levi, accompagnati dalla musica Yiddish, che sa raccontare la storia ebraica più di mille parole. Francesco Tammacco dà voce ad un tormentato Primo Levi, Rosa Tarantino ad una ingenua e pura Anna Frank e il tutto viene confezionato dalla voce chiara e ferma di Matilde Bonaccia, che racconta la poesia, le liriche che nascono anche sui terreni brulli e macchiati di sangue, da Pantaleo Annese alla chitarra, battito incessante e voce intensa delle musiche curate dai maestri Vincenzo Mastropierro al flauto traverso, Giuseppe Volpe alla fisarmonica e Gianluigi Caldarola al clarinetto