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Germogli di poesia seminati nelle nostre coscienze
15 settembre 2015

Tornando a Molfetta per passare il ferragosto con le nostre famiglie, io e mia moglie notiamo un crocicchio di persone intente a leggere un manifesto funebre sotto il sole cocente di una torrida estate del sud. Avvicinandoci intravedo il nome della mia cara professoressa divenuta poi carissima amica Gianna Sallustio. Ho pensato che non era un caso che tu, devota della Madonna dei Martiri, fossi andata via nella notte dell’Assunzione in cielo della Vergine Maria, quando la città si riempie di lumini votivi a rischiarare il buio. Il giorno dopo, 16 agosto, ci rechiamo alla chiesa del Purgatorio, vi entriamo e, dopo il segno di croce, ci ritroviamo insieme a tanti amici, a tanti tuoi studenti, a quella parte della città che anima la vita culturale e che era stata, per un appuntamento a sorpresa del destino, in quella data di ferragosto, invitata a questo tuo commosso saluto, a questo tuo intimo commiato di partenza. Nel silenzio della chiesa, di colpo entra il tuo feretro e noi tutti ci alziamo in piedi, in segno di rispetto e di affetto. E alla mia mente sovvengono le immagini di quando entravi in classe e noi scattavamo in piedi, non per pura forma ma perché ti riconoscevamo stima, autorevolezza, intelligenza, rispettosa e devota amicizia. Le tue lezioni erano lezioni di vita. Ci insegnavi a leggere la letteratura e la storia gustando l’anima e non solo il corpo degli scritti. Il nostro stesso orientamento politico ci spingeva a condividere idee e giudizi. Tu ci insegnavi a formarci idee autonome dalla cultura di massa, ad analizzare gli errori della storia recente. Ci iniettavi gli antidoti ad ogni forma di totalitarismo, di violenza, di antisemitismo, di ingiustizia e repressione sociale. Eri dalla parte dei cafoni e dei briganti del sud, di tutti i sud del mondo. Passato io agli studi universitari, tu mi volesti come amico chiamandomi “Girolamo” e non più “Panunzio”, con il cognome, come facevi rispettosamente con tutti i tuoi alunni. A volte ci incontravamo in un bar per il caffè o a casa tua, con i tuoi amati figli Susanna e Saverio e con mia moglie Chiara. Mi parlavi della tua vita difficile ma domata con fermezza e caparbietà, mi mostravi i segni del tuo “cristianesimo vissuto” con cui dialogavi ogni giorno: il Crocifisso, una foto di don Tonino Vescovo, ed un volto del Cristo che ti era stato donato dal tuo amico, padre Tiziano, missionario salesiano che avevi seguito parecchie volte in Africa. A volte mi interpellavi perché leggessi alcuni brani dei tuoi libri nelle varie presentazioni cittadine. Nella sala dei Templari, alla Fidapa, all’Università della terza età, al centro culturale San Domenico… E fu proprio in una di queste occasioni che mi chiedesti di leggere un brano tratto dal tuo libro “La ciarda sul Danubio. I racconti di un poeta” dal titolo: una notte di plenilunio. In quel racconto tu scrivevi di una donna che aveva conservato il saio della confraternita di Santo Stefano appartenuto prima allo zio e poi al di lei padre, oramai scomparso. La donna, ogni anno, nel tempo che precedeva la Pasqua e che a Molfetta è costellato di processioni e riti, aprendo l’armadio e ammirando quel saio confraternale sognava di indossarlo, accarezzava ardentemente il desiderio di entrare nella chiesa della confraternita dove solo gli “uomini” possono indossare il camice di sacco con la mezza luna rossa e portare la statua del Cristo morto, che rappresenta e riscatta gli ultimi della terra. La sua natura di “donna” testardamente controcorrente, con la complicità del buio della notte, con i capelli raccolti e il cappuccio calzato per nascondere il volto femminile, le fa realizzare, questa sua voglia di emancipazione per le vie notturne della città vecchia, fra i suoni delle marce funebri e le litanie del vexilla, sotto una luna piena. E mentre in chiesa ero immerso in questi pensieri mi accorgo che la tua bara, poggiata nel presbiterio, di fronte all’altare, ha ai due lati, schierate nella loro bellezza, le statue della processione pasquale del sabato Santo che attonite volgono il loro sguardo sul tuo feretro. San Pietro lo indica, San Giovanni lo guarda commosso, la Veronica ti porge il Mandilion, Santa Maria Cleofe, Santa Maria Salomè e Santa Maria Maddalena fissano tua bara piena di fiori. Ora erano loro a seguire te, ad indicarti a noi come “esempio” nel silenzio assordante della chiesa. Un riconoscimento alla tua coerenza di vita, un premio alla tua composta sofferenza nella malattia, un preludio di Paradiso dove incontrerai anche gli ultimi ed i diseredati che tanto amavi. Ciao Gianna, grazie per i germogli di poesia che hai seminato a piene mani nelle nostre coscienze. Ci mancherai. Buon viaggio.

Autore: Girolamo Panunzio
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