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Francesco Padre nuova ricognizione sul relitto
15 giugno 2011

Finalmente la verità. Annunciata già lo scorso ottobre 2010 dalla Procura di Trani, la nuova ricognizione del relitto del Francesco Padre a 254 mt di profondità è oggi una realtà. Consentirà di accertare le vere ragioni di quella tragica esplosine nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 1994 in acque internazionali. Di risarcire le 5 vittime (il comandante Giovanni Pansini, il motorista Luigi De Giglio, il pescatore Saverio Gadaleta, il capopesca Francesco Zaza, il marinaio Mario De Nicolo), i famigliari, la città e la marineria di Molfetta di quell’onore e quella dignità intaccate dalle precedenti indagini. LA NUOVA RICOGNIZIONE Le operazioni saranno eseguite da «Nave Anteo» tra settembre e ottobre 2011, per una durata di circa 15 giorni, dipendente anche dalle condizioni atmosferiche e dalle relativi difficoltà operative. Sarà usato un minisommergibile filoguidato con due operatori a bordo, un r.o.v. (remotely operated vehicle), un operatore subacqueo con a.d.s. (atmospheric diving suite) e gli operatori subacquei in saturazione del nucleo Sdai (Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi) di Taranto, per compiere attività di ispezione, videoripresa e recupero reperti. «La nave sarà posizionata sulla verticale del relitto - ha spiegato il capitano di fregata, Giambattista Acquatico, comandante del Nucleo Sdai, nella conferenza stampa sulla presentazione delle operazioni di ricognizione al porto di Bari - si procederà con l’ispezione veicolare, che potrà essere anche reiterata nel tempo, fino a quando la magistratura lo riterrà opportuno, per investigare i punti notevoli su cui focalizzare l’attenzione». Se questa non dovesse bastare, alcuni operatori, nonostante la forte pressione atmosferica, esamineranno di persona i punti di maggiore interesse. Decisivi i 600mila euro messi a disposizione dal Comune di Molfetta (una metà nel Bilancio 2010, l’altra nel Bilancio di previsione 2011 con una delibera approvata lo scorso 3 giugno), i 100mila euro della Regione Puglia e l’impegno finanziario del Governo tramite il Ministero della Difesa e la Marina Militare che effettuerà le operazioni. Sarà possibile far luce sulla tragedia per ottenere quella verità che giace da quasi 17 anni in fondo al mare? Le nuove riprese e i reperti aggiuntivi saranno sufficienti per svelare il “mistero” del Francesco Padre? Indagini nel 2010 e nuove ipotesi. Scenari inediti con la riapertura delle indagini sull’affondamento dopo il 15 febbraio 2010: nuove consulenze e nuova documentazione con la declassificazione del segreto di stato e l’acquisizione delle registrazioni. Prima ipotesi, la ritorsione montenegrina dopo la denuncia pubblica del comandante Pansini, quando a Telemontecarlo rivelava il trasbordo illegale del pescato da navi montenegrine e serbe su pescherecci molfettesi (30 ottobre 1994). Indagini allargate, come ha spiegato il dott. Giuseppe Maralfa, sostituto procuratore della Repubblica, anche al sequestro di persona nel settembre 1994 (fino al 12 novembre) di un marinaio laziale partito da Molfetta verso il Montenegro (un’organizzazione criminale montenegrina pretendeva dai pescatori italiani il pagamento di una tangente sul pescato pari alla metà del suo valore). E al mitragliamento del peschereccio di Manfredonia «Antonio e Sipontina» il 2 giugno 1993 da parte di una motovedetta serbomontenegrina (morto il molfettese Antonio Gigante). Ulteriore ipotesi, quella militare, come suppone il giornalista Gianni Lannes nel libro «Nato: colpito e affondato. La tragedia insabbiata del Francesco Padre». Secondo Lannes, che ha contribuito alla riapertura del caso, gettate le reti a circa 20 miglia dalla costa montenegrina in direzione nord-est, il Francesco Padre sarebbe stato accerchiato da una dozzina di unità aeronavali da guerra Nato, poi bombardato perché scambiato per un motopesca che in quell’area silurava i sommergibili occidentali. LE INDAGINI ARCHIVIATE NEL 1997 Ottenere precise indicazioni sulla dinamica e sull’esplosivo, l’obiettivo della nuova ricognizione. Le indagini compiute sui 458 reperti trovati in mare dopo l’affondamento (archiviazione nel 1997), hanno lasciato dubbi e incertezze, «gettato fango sull’onesta attività del Pansini e del suo equipaggio», ha sottolineato il dott. Carlo Maria Capristo, procuratore capo della Procura di Trani, nella conferenza stampa di presentazione della ricognizione. Nel 1999, il sindaco Antonio Azzollini presentava un’interrogazione parlamentare con cui chiedeva il recupero del relitto (allora, sarebbe bastato un miliardo di lire), operazione eseguita nello stesso anno per un’imbarcazione di profughi albanesi affondata nell’Adriatico. Recupero impossibile, la risposta del sottosegretario alla Difesa, Massimo Brutti. «La città di Molfetta e la sua marineria hanno subito l’onta dell’infamia», il commento del dott. Capristo: «le indagini precedenti, quando vigeva il segreto di stato, hanno ipotizzato, in modo azzardato e senza elementi certi, che l’esplosione fosse avvenuta all’interno del motopeschereccio per la presenza a bordo di materiale esplondete». Congettura del prof. Giulio Russo Krauss, docente all’università di Napoli e all’Accademia navale di Livorno e consulente della Nato, per il quale esistevano chiare tracce di una dinamica di esplosione che ha agito dall’interno verso l’esterno. Tesi contestata dall’ing. Guglielmo Mele, perito incaricato dalla compagnia assicuratrice dell’imbarcazione: la struttura non si era frantumata e, se gli unici reperti erano della poppa sinistra, era da escludere un eventuale trasporto di armi. Anche il dott. Domenico D’Ottavio, responsabile chimico in un’azienda che si occupa della demilitarizzazione di armamenti bellici, aveva associato le sostanze esplosive trovate quelle utilizzate nei razzi e missili per uso bellico: la nitrogligerina, l’etilenglicoledinitrato e il dinitrotoluene sono presenti nelle miscele di grani propellenti, il trinitrotoluene e la pentrite nelle cariche di scoppio che formano la testa di razzi o missili.

Autore: Marcello la Forgia
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