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Fli ricorda Girolamo Minervini, giudice di Molfetta assassinato dalle Br
10 maggio 2011

MOLFETTA - Il Circolo Territoriale "Giorgio Almirante" Molfetta nel Giorno della Memoria, dei caduti per mano dei terroristi vuole ricordare in particolar modo un nostro conterraneo, il Giudice Girolamo Minervini, barbaramente ucciso dalle BR, il il 18 Marzo 1980.
Girolamo Minervini, nato nel 1919, entrato in Magistratura nel 1943, era un uomo schivo, modesto e nello stesso tempo consapevole delle proprie capacità, incapace di  arrogarsi  privilegi  e predicare, nel contempo, libertà ed uguaglianza, il suo senso dello Stato e del dovere nei confronti della Comunità erano  profondissimi; l'impegno, quale ricerca del bene della polis,? bene culturale irrinunciabile.
Uomo di sinistra e progressista vero, stretto collaboratore del  Togliatti Guardasigilli,  si era pian piano allontanato dal PCI, rimanendo nei fatti  svincolato da qualsiasi partito, non nascondendo però una profonda ammirazione intellettuale per Giorgio Almirante; con grande scandalo dei  manichei, alla cui schiera l'onestà intellettuale gli ha sempre impedito di appartenere.
Ammalato di "molfettesità ", abbiamo chiesto una testimonianza a riguardo al nostro coordinatore Rino Lanza, "quando Pupo, così lo chiamavamo in famiglia, veniva a Molfetta con il suo maggiolino un po' sgangherato, senza sfarzi ed ostentazioni, "imbarcava" in macchina mio padre, suo omonimo  cugino, per scorazzare nelle nostre campagne alla ricerca dei vecchi amici contadini per "torchiarli" a dovere sullo stato dei raccolti, oppure nelle serate a parlar del più e del meno, pretendeva che, nonostante la comodità delle stufe e dei radiatori, allora ancora a gasolio,  ci radunassimo attorno ad una "frascera" ( I molfettesi di una certa età, sanno bene cos'è), divertendosi  a gettare nei carboni ardenti le bucce di mandarino, così come dettava la tradizione, ricordo che a tante di queste serate partecipava con la sua solita verve, un giovane Antonio Azzollini.
Una settimana prima che fosse ucciso, era venuto a Molfetta per sbrigare delle faccende, e mio padre così come tante volte aveva fatto gli chiese : Pupo e la scorta ? Egli rispose che non voleva accomunare il suo destino ad altre persone, la sua vita al servizio dello Stato,  l'aveva scelta lui ed era consapevole dei rischi a cui andava incontro.
 Il giorno che andammo a Roma, qualche anno fa insieme  al allora sindaco Tommaso Minervini, a Mauro Magarelli ed al Senatore Antonio Azzollini, per inaugurare "Largo Girolamo Minervini ",
venni colpito  dalla commozione di Giuliano Vassalli nel mentre veniva scoperta la lapide, in privato ci disse che Girolamo Minervini, era l'esempio del Servitore dello Stato per eccellenza".
Abbiamo rinnovato telefonicamente, dopo il discorso del Presidente Napolitano, al figlio Mauro la vicinanza della Città di Molfetta, alla sua famiglia, e gli abbiamo chiesto una testimonianza sul Papà, ed egli  cortesemente così ha dichiarato : "mio Padre, credo, che abbia affrontato la vita, pubblica e privata, con la linearità che tutti gli riconoscevano, nella certezza che non vi fossero altri modi di farlo, per lo meno che non vi fossero altri modi compatibili con la propria dignità , con il ruolo ed i compiti che un uomo si assume quando entra a far parte dell'Ordine Giudiziario; nell'assoluta convinzione, inoltre,  che ogni potere sia un peso che tanto meglio si sopporta quanto meglio se ne fà uso nell'interesse della comunità che, alla fine, dovrebbe esserne il vero detentore. Raramente esplicitava questi concetti con le parole, forse lo ha fatto qualche volta con noi figli nel timore che il suo esempio fosse insufficiente".
Futuro e Libertà, ribadisce la stima e il rispetto per la Magistratura,  caposaldo della democrazia italiana,respinge al mittente le ignobili accuse che ad esse vengono mosse, l'Italia sa chi sono i Falcone, i Borsellino, gli Occorsio, i Tartaglione, i Minervini.
E' in onore di questi uomini, che faremo sentire la nostra voce contro chiunque provi a delegittimarli ed ad infangarli, così come ha detto il Presidente Napolitano, prima di qualsiasi riforma, bisogna onorare la Magistratura.
 

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La giustizia nel nostro paese è da tempo in stato di grave crisi. Le piaghe maggiori possono riassumersi in questi tre termini: inefficienza, politicizzazione e irresponsabilità. I numeri relativi alle “cause pendenti” (cioè non ancora definite) sono impressionanti. L'arretrato è tale che da molte parti si è parlato ormai di “bancarotta della giustizia”. Nel 1984, si è stimato che ogni anno giunga a conclusione il 32,33% dei procedimenti civili proposti nell'anno. Ciò significa che il restante 68,67% va a ingrossare l'arretrato. L'arretrato è sinonimo di ingiustizia. Una sentenza che riconosce il buon diritto di chi si è rivolto al giudice ma giunge dopo anni è in realtà spesso poco più che una beffa. Si comprende allora come spesso si rinunci a chiedere al giudice ciò di cui si avrebbe pur diritto e si preferisca subire un torto piuttosto che addentrarsi in un “tunnel” di cui non si intravvede facilmente l'uscita. I magistrati, come chiunque, hanno le proprie posizioni ideali e politiche e nulla vieta che le possano manifestare. Il pericolo inizia quando tali correnti si cristallizzano in “organizzazioni di potere”, che usano la propria forza per piegare a fini di parte l'amministrazione della giustizia e violare la stessa indipendenza del giudice. Il CSM deve vegliare sull'indipendenza, ma esso stesso rischia di essere dominato dalle correnti? Inoltre, se le correnti o parti di esse vengono a stabilire collegamenti di potere con partiti politici, o parti o esponenti di essi? Non sono interrogativi retorici, poiché la storia recente ha mostrato casi di nomine a importanti uffici giudiziari da ragioni di quel tipo, iniziative giudiziarie condotte in appoggio a questa o quella forza politica. Il tema della “responsabilità” è delicatissimo, poiché si comprende che essa entra necessariamente in conflitto con l'indipendenza. I nostri giudici rispondono per i reati che commettono amministrando la giustizia (per esempio se “vendono” le loro sentenze, se “coprono” deliberatamente certi imputati, ecc.). Non rispondono invece nei confronti dei singoli che siano statoti danneggiati da una loro decisione ingiusta (a meno che tale decisione, eccezzionalissimamente, sia anche un reato). L'irresponsabilità nei confronti degli utenti della giustizia è quindi pressoché totale. Solo il giudice, a differenza di chiunque altro, se sbaglia non paga. Per questo si è proposto di introdurre il “risarcimento” a carico del giudice che abbia agito con colpa grave, a favore di chi abbia subito il danno e per sollecitare questa soluzione è stato indetto il referendum del novembre del 1987. Altri però vedono in questo un pericolo: il giudice sarebbe condizionato psicologicamente e cercherebbe di evitare le cause rischiose, quelle in cui vi sia la possibilità di commettere errori e dove siano implicati personaggi potenti. Per evitare questo pericolo e salvare l'imparzialità del giudice, si propone allora di far pagare il danno allo stato, chiamare il giudice a rispondere davanti al CSM di eventuali infrazioni disciplinari e prevedere il diritto dello stato di “rivalersi” sul magistrato condannato disciplinarmente. Tanto più perché i meccanismi di controllo attitudinali dei giudici sono totalmente carenti. Una volta entrati in magistratura a seguito di un concorso che accetta la conoscenza del diritto, non le doti di equilibrio e correttezza necessarie, essi divengono pressoché intoccabili. (- Questa Repubblica – Gustavo Zagrebelsky)

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