Fatti e volti del consiglio comunale di Molfetta
Una sorta di rubrica sui personaggi politici, le loro verità, le loro ipocrisie, le loro contraddizioni. Cominciamo con il sindaco Tommaso Minervini
MOLFETTA - Il primo consiglio comunale dell’era Tommaso II, tolto l’inevitabile formalismo istituzionale e il buonismo da primo giorno di scuola, ha rivelato fatti e volti su cui si svilupperà la politica a Molfetta. La chiameremo proprio così “Fatti e volti del consiglio comunale”, questa sorta di rubrica di “Quindici”, la testata che, come sempre, vi accompagnerà con i suoi commenti, con la lettura degli avvenimenti, col racconto dei personaggi politici, con le loro verità e le loro ipocrisie, con le loro contraddizioni. Del resto, visti i trascorsi di molti di loro, voltagabbana che hanno fatto il salto della quaglia, tradendo i loro leader, ci sarà da raccontare, anche perché ognuno, volente o nolente, la propria storia se la porta dietro, anche se cerca di farla dimenticare, soprattutto quando è quantomeno imbarazzante.
Ecco perché è nato il ciambotto, composto da personale politico delle terze e quarte file, che aspira alla prima fila, anche senza averne i requisiti, per cui “uccidere il padre” per godere dell’eredità politica, rimane l’unica strada percorribile. E così oggi ci ritroviamo una classe dirigente di bassa qualità attenta più agli interessi di lista che a quelli dei cittadini e un dato sintomatico è rappresentato dalla presenza di ben 8 liste civiche (anche il Pd locale, per come è ridotto, per la sua storia di sconfitte e di mutazione genetica, è al massimo una lista civica, magari di Emiliano).
Cominciamo ovviamente dal sindaco Tommaso Minervini apparso nervoso e preoccupato per essere il leader di un gruppo “imbarazzante” al punto da sentirsi in obbligo di giustificare questa “anomalia” come una “consigliatura di transizione”, per salvare le istituzioni da ricomporre unitariamente al fine di ripristinare la dialettica politica compromessa. Insomma, il sindaco si sente una sorta di “salvatore della patria” che guida un’armata brancaleone politicamente meticcia, come non si era mai vista nella storia di Molfetta e trova “la pezza a colore” della transizione.
In pratica, dopo 8 settembre dell’amministrazione di sinistra, con relative divisioni e lo sfaldamento del centrodestra con la fuga da Antonio Azzollini, arriva l’uomo della provvidenza a ridare un ruolo e una casa ai reduci della destra, alla quale Tommaso ha sempre garantito una sopravvivenza come fece la prima volta per diventare sindaco, quando si schierò con la destra di Fini e Amoruso che aveva come suo fido scudiero, proprio quel Saverio Tammacco, uomo politico per tutte le stagioni che oggi si schiera a sinistra con Michele Emiliano.
Peccato che Minervini non riesca mai ad essere un sindaco di sinistra. Una ragione ci sarà.
Intanto promette di garantire la continuità istituzionale, senza maledire o benedire il passato, perché (senti questa!) “gli uomini passano e le istituzioni restano”, riferito anche a se stesso (almeno per ora): solita frase fatta, condita di retorica. Una transizione anche anagrafica, dunque, come tiene a specificare (a scanso di equivoci). E tu ti immagini il vecchio saggio dalla barba bianca, che porta per mano una città “devastata” dalla sinistra, della quale fino a ieri ha fatto parte. Rimettere sul binario Molfetta, cominciando dal porto, è l’obiettivo di Minervini, che non si fida di nessuno (altro che squadra!) tant’è che mantiene per sé deleghe importanti dal bilancio al personale, dai contratti e appalti allo sport, lasciando ai suoi compagni di strada, primo fra tutti Mariano Caputo, i lavori pubblici, l’urbanistica e l’ambiente tutte deleghe dell’odiata ex assessora Rosalba Gadaleta, la Boldrini di Molfetta, permettendo loro di soddisfare l’antico e sempre insoddisfatto bisogno di mettere le mani sulla città per continuare a costruire, costruire, costruire, l’unica politica che la destra ha saputo fare, foraggiata dai palazzinari locali, che oggi ritornano in auge, per continuare a condizionare la politica, a devastare il territorio, ostacolandone perfino la crescita civile.
Intanto Mariano Caputo non si è presentato al primo consiglio comunale forse per evitare domande imbarazzanti sulla moglie Rita Campi amministratrice dell’Mtm superindebitato da anni, che non si è ancora dimessa dopo la nomina del marito assessore. Ma si sa, certi politici non conoscono l’etica e il rispetto delle istituzioni, tant’è che cantano canzonette durante le riunioni del consiglio. Forse questo potrebbe essere un altro motivo di assenza di Mariano: impegnato ad aggiornare il suo repertorio canoro, che ci farà ascoltare dai banchi della giunta e della maggioranza. Certamente questa sarà una piacevole novità: ascoltare le delibere di giunta a suon di musica per renderle più comprensibili. O forse no.
Staremo a vedere.
Appuntamento alla prossima puntata di “Fatti e volti del consiglio comunale” per presentare altri protagonisti della prima assise cittadina.
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