Facebook, la grande ammucchiata
Che cosa spinge milioni di persone a condividere incessantemente minuto per minuto la propria vita e altrettanti milioni di persone a interessarsi incessantemente minuto per minuto della vita altrui? Gli scienziati sociali la chiamano “consapevolezza ambientale” e, a quanto pare, è per molti irresistibile. E' una specie di consapevolezza estrema del ritmo della vita di qualcun'altro, un ritmo mai conosciuto prima. Si può sapere quando un contatto sente le prime avvisaglie di un raffreddore e poi si scopre di avere la febbre e poi, dopo qualche ora, si sente meglio. Oppure si può sapere chi sta avendo una pessima giornata di lavoro, quali siti sta visitando, dove si trova fisicamente o cosa sta pensando o se si sta facendo un panino e perfino se qualche amico sta parlando male di te. Il paradosso della consapevolezza ambientale è che ogni piccolo aggiornamento, ogni singolo bit di informazione sociale è insignificante di per sé, anche se estremamente superficiale talvolta. Ma prese tutte insieme, nel tempo, queste microinformazioni diventano un ritratto sorprendentemente sofisticato della vita altrui, fornendo la possibilità di un'esperienza psicologica interpersonale del tutto inedita. L'informazione così minuta e in tempo reale si trasforma in una sorta di lettura della mente a distanza. E' come se ogni contatto avesse una sorta di display collocato sulla fronte. Si finisce per realizzare un legame spesso più intimo di quello che si ha con certi familiari o amici con cui ci si sente qualche volta al mese. Ciò che si accresce a dismisura è il numero dei conoscenti, persone che si sono incontrate a un congresso, vecchi amici del liceo o persone incontrate a una festa. Prima dell'avvento di queste applicazioni di social network questi legami deboli e transitori si spezzavano facilmente e uscivano rapidamente dall'attenzione e dalla vita delle persone. Stabilito un contatto con Facebook invece, questi fortuiti incontri del destino cominciano a esistere, per di più in una forma inedita ed estremamente saliente e finiscono per non essere più perduti. E questo si capisce, è bello e utile. Aumenta la nostra capacità di risolvere i problemi per esempio. Si metta il caso di star cercando un nuovo lavoro. Nella cerchia di amici può non esserci nessuno in grado di aiutarci, ma un conoscente con cui è vivo un legame tecnologico su Facebook può aiutarci eccome. C'è gente che non fa più una mossa, un acquisto, una scelta, senza aver consultato il proprio network, che è una fonte inesauribile di esperienze e consigli. Il fondatore di Microsoft ha chiuso con Facebook. Ogni giorno, in media, ottomila sconosciuti volevano diventare suoi amici. Tra dicembre 2007 e gennaio 2008 molti frequentatori di Facebook hanno abbandonato o si sono suicidati, termine usato in gergo. Evidentemente si erano stancati del loro potere di condividere, per rendere il mondo più aperto e connesso, come il ventiquattrenne fondatore Mark Zuckerberg ha definito la sua creatura alla recente convention di S.Francisco. Perché nel frattempo, scartato il giocattolo, si sono accorti di alcuni difetti. Ma una volta entrati in questo circolo era difficilissimo uscire. Ancora pochi mesi fa Facebook era una trappola. Se decidevate che eravate stanchi di far sapere alla vostra cerchia di sodali virtuali dove vi trovavate, cosa stavate leggendo, quali acquisti avevate fatto, potevate disattivare il vostro account. Le vostre informazioni personali rimanevano sul server per un ragionevole periodo di tempo, come recitava la clausola del sito. Ma oggi spulciando nella sezione aiuto, spunta anche un bottone per fare hara-kiri virtuale e sparire una volta per tutte. I rischi per chi resta rimangono. Molti adolescenti dai 12 ai 18 anni, mettono i loro nomi, indirizzi e luoghi frequentati su siti alla moda come Facebook. Vengono contattati da pedofili i quali, sotto false generalità, riescono anche a incontrare i ragazzini, con tutto quello che di drammatico segue. Così allarmanti sono anche i contatti, cui seguono incontri e rapporti fra adulti, uomini e donne sole o finti tali. E la casistica di vittime di Facebook si allunga, facendosi sempre più variegata. I navigatori di Facebook, secondo alcuni esperti sociali e psicologi, si dividono in due correnti: gli esibizionisti e gli anestetizzati. Abbiamo voglia a dire che noi (che siamo persone intelligenti) andiamo su Facebook per arricchire le nostre conoscenze e relazioni sociali, per restare in contatto con amici o recuperare quelli perduti. Scappano le confidenze anche le più intime, e siamo consapevoli che tutto il mondo le può leggere. In psicologia questo si chiama esibizionismo o qualcosa del genere. Insomma, confessiamolo, a molti di noi fa piacere raccontarsi al mondo. Dall'altra parte troviamo gli anestetizzati. Capita spesso di ascoltare conversazioni cellulare con dettagli di relazioni non erotici ma emotivi: che cosa provava, cosa sentiva nel suo cuore. E tutti ascoltano. Secondo lo psicologo si tratta di esibizionismo erotizzante. Sono persone che perdono il contatto con la realtà, che non si rendono conto che ci sono persone intorno ad ascoltare e che le nostre convenzioni sociali fanno differenza tra quello che si può raccontare in pubblico a degli sconosciuti e quello che sono le proprie intime emozioni. Un'anestesia evidentissima. Si parla anche di persone deluse dai rapporti sociali reali, di manifesta inferiorità psicologica e dall'incapacità di aprirsi al dialogo sociale quotidiano. Possiamo dire che il mondo di Facebook è un pianeta ancora tutto da scoprire. Attenzione però: anche qui c'è bisogno di regole e della consapevolezza che queste regole vengano rispettate, onde evitare possibili turbamenti della psiche delle nuove generazioni.