Epilogo del Pdl agli sgoccioli anche l'azzollinismo
A decretarne la fine non è tanto il susseguirsi di fatti giudiziari incresciosi, che sempre più minano la credibilità dell’azione politica della sua amministrazione. Questi costituiscono semplicemente l’epifenomeno di un’azione amministrativa fondata sulla spartizione del territorio, sull’incorporamento di esso entro una visione privatistica della città, che la riduce a massa amorfa di possibilità economiche da sfruttare fino all’osso. Indipendentemente dalle persone e dalle esigenze di un territorio sempre più martoriato dalla crisi economica e politica. In altri termini, la città è ridotta ad un coacervo di transazioni finanziarie, di blocchi d’interesse privato, da gestire per ricavarne utili sempre maggiori. A tal fine, è necessario neutralizzare in maniera sempre più capillare le potenzialità eversive che il territorio matura costitutivamente in sé, visto l’affiorare prepotente di contraddizioni che minacciano la vita della gente, precarizzando il lavoro e l’esistenza. E’ a questo livello che l’amministrazione Azzollini ha agito, lacerando le relazioni sociali, con la cancellazione dei connotati identitari del territorio, che formano i presupposti essenziali della vita comunitaria. Con la riduzione delle possibilità a quelle del grande consumo, con l’illusione del lavoro offerta dai call center, con la riduzione della cultura a pochi grandi eventi astratti da una visione progettuale che metta in gioco l’idea stessa del divenire di una comunità, Azzollini ha favorito la rottura definitiva del rapporto essenziale fra cittadini e territorio, ponendo le basi per la riduzione di quest’ultimo ad un affare di appropriazione e compravendita. In cui anche le connotazioni caratterizzanti in senso fisico il territorio sono state subordinate alla necessità di costruire e produrre, anche a costo scontrarsi contro tutto e tutti, anche con le esigenze vitali dell’ambiente. Basti pensare alle lame e alla battaglia personale contro l’Autorità di Bacino. La città sembrava finalmente essere stata espropriata ai cittadini, immersi nelle relazioni estetizzanti degli spazi immaginari del centro commerciale, ormai separati- anche in senso fisico- dalla dimensione comunitaria e dai problemi che la attanagliano. Ma la tragica fine del PdL a livello nazionale, segnalata dalle recenti elezioni amministrative, sancisce la fine di un modello. Rappresenta l’inadeguatezza di un modo di fare politica che anestetizza la vita per ridurla a valore monetario, astraendola dal suo spazio sociale di maturazione identitaria e di scambio culturale, fino al suo sacrificio estremo. La nascita di movimenti di partecipazione dal basso, in tutto il territorio nazionale, segnala in ogni caso l’eccedenza della vita di fronte alla sua riduzione a categorie economico-finanziarie, che la sacrificano fino ad ucciderla, pur di preservarsi. Anche a livello locale, il modello azzolliniano sembra non avere più effetto. L’indignazione di fronte ad una politica che riduce il senso di una comunità alla estetizzazione più assurda dei rapporti, che avviene nella città commerciale, per poi appropriarsi degli spazi, ormai slegati da un percorso di crescita e formazione che li lega ai cittadini,trova sbocco in iniziative e movimenti di riappropriazione del territorio. E non basterà l’offerta di qualche grosso concerto per l’estate molfettese a frenare un processo che ormai attraversa Molfetta e l’Italia intera, e che chiede di ripartire dal basso, dalla vita, per ricostruire una socialità fondata sul lavoro, sulla partecipazione, sulla cultura autentica, che definisce il senso di essere comunità. Il modello Azzollini è ormai finito. La crisi strutturale delle stesse categorie che hanno riempito gli slogan del liberismo esasperato fanno emergere le esigenze inaggirabili della gente, che ha voglia di ripartire senza dover sottostare ai diktat del padrone di turno. La sinistra, se vorrà far propria questa sfida, dovrà uscire dalle logiche in cui Azzollini si è mosso in questi anni, adoperandosi per ricucire il rapporto fra la politica e le esigenze della gente, confrontandosi con i movimenti, assumendo le loro istanze. La sinistra deve essere tutt’uno con i problemi della società civile, a partire dai quali è necessario partire per ricostruire un senso nuovo di essere comunità, che ritrovi nella città il terreno in cui radicare un nuovo progetto che non neutralizzi il disagio delle nuove generazioni, immettendolo in una nuova dimensione irreale, fatta di luci e distrazioni. La città è il luogo di tale riappropriazione e ricostruzione, è lo spazio in cui è necessario trovare un’identità progettuale in cui possano essere messe a confronto le differenze, senza essere livellate; in cui possa avvenire lo scontro dialettico che definisce i contorni di una nuova politica, al di fuori delle logiche finanziarie che, ormai oggettivate, divengono sempre più cieche di fronte alle persone in carne e ossa, fino a scontrarsi con se stesse. La sinistra può e deve essere lo spazio del confronto e della ridefinizione, al di fuori di qualsiasi categorizzazione predefinita. E’ questa la sfida per la città, e l’opportunità di costruire una nuova stagione politica per Molfetta.
Autore: Giacomo Pisani