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EMIGRAZIONE - Da Molfetta a Mantova e ritorno INCHIESTA – Il problema di trasferirsi al Nord per trovare lavoro
15 febbraio 2001

Il problema del reclutamento di lavoratori nelle industrie del Nord che ciclicamente esplode, di rimando tra TV e giornali, è effettivamente paradossale nel contesto dell’economia del lavoro in Italia. Il giornalista economico Giuseppe Turani parla di un’Italia spaccata in due, con un tasso di disoccupazione del 4,9% (fisiologico) al Nord e del 22% al Sud, due percentuali eloquenti, ma non esaustive del problema. L’exploit della “Franco Tosi” di Legnano, che lamentava di non riuscire a coprire il bisogno di ben 1500 lavoratori (!), ha riportato l’attenzione sul problema, ma sono molte le aziende, tutte collocate nel centro-nord, che lanciano i loro appelli all’insegna della carenza di lavoratori. Dall’altra parte, ecco il paradosso, la cronica mancanza di occupazione al Sud da sola dovrebbe, a rigor di logica, spingere verso l’emigrazione. Allora, o la disoccupazione è tutto un bluff, o davvero mancano le condizioni perché questo divario venga colmato. Innanzitutto come punto di partenza bisogna chiedersi: quali sono i lavori offerti per cui si richiede (e non si trova) personale? Si tratta di impieghi che hanno un tasso di “desiderabilità” molto basso, ossia si tratta di lavori manuali, cosiddetti lavori poveri: saldatori, montatori, attrezzisti, operatori di macchine ecc. Poiché a determinare quel tasso medio di disoccupazione del 22% sono anche le migliaia di laureati (in lauree cosiddette “deboli”) che difficilmente accetterebbero di trasferirsi come operai in un’azienda del Nord, le percentuali cominciano ad avere un altro significato. Non si tratta di snobbare certi lavori ma di desiderare una occupazione che sia anche precaria ma adeguata agli studi fatti. “Sì, sono stato per un po’ di tempo a lavorare al Nord, vicino Mantova, come operaio” dice Gaetano, 27 anni, giovane molfettese ex emigrato al Nord. “Perché sono tornato? Beh, la mia era una situazione particolare, l’azienda per cui lavoravo, una grossa ditta che produce veicoli industriali, ha dovuto all’improvviso accelerare i ritmi di produzione; essendo operaio generico, i tempi di lavoro erano impossibili, inumani. Ho resistito un paio d’anni ma poi ho dovuto rinunciare”. Eppure, Gaetano la voglia di lavorare ce l’ha, e ce l’aveva, visto che per trovare quel lavoro, era partito “all’avventura”, ospite di un amico e, prima di essere assunto, si faceva il giro delle ditte della zona con il curriculum in mano. Tant’è che, dice, se avesse la possibilità, ripartirebbe anche subito; vorrebbe solo avere la possibilità di essere assunto per un profilo più alto, d’altra parte un diploma ce l’ha, un curriculum alle spalle pure. Intanto ha trovato lavoro qui, nei dintorni, presso un grande magazzino. Ma, dice, se a Mantova il lavoro, per quanto duro, ti offriva delle garanzie rispetto agli straordinari, ai contratti, alla tutela sindacale, qui non è sempre così. Nell’azienda dove lavoravo ero il rappresentante dei lavoratori interinali; qui spesso alcune aziende non sono sindacalizzate e ci sono casi in cui a fronte di un contratto part-time l’orario di lavoro va ben oltre...”. La questione delle garanzie e dei diritti che a quanto pare è un problema locale, è anche nelle parole di Maria, da alcuni anni in Trentino come insegnante. “Il mio iter lavorativo prima di giungere all’insegnamento è stato lungo. Ho frequentato un master in gestione aziendale, ho avuto esperienze in azienda giù a Bari, con risultati deludentissimi. Straordinari obbligatori, pressioni psicologiche fortissime, una retribuzione non adeguata alle mansioni svolte. Un inferno. Non solo, la mia preparazione professionale invece che essere vista come ricchezza era fonte di invidie. Ho fatto altri lavori, l’assicuratrice, per esempio. Ma tutto all’insegna della precarietà. Insostenibile. Trovare lavoro qui per me è stata una salvezza”. Quindi la mancanza di occupazione è un realtà amara, ma altrettanto amara è la constatazione che spesso da noi le condizioni di lavoro non sono favorevoli. Quando conviene trasferirsi Tornando alla questione iniziale, ossia il paradosso della situazione occupazionale, c’è una seconda domanda: quanto conviene economicamente trasferirsi altrove? Chi ha una formazione mirata ai profili più richiesti dalle ditte e la buona volontà di trasferirsi vive il problema delle spese di vitto e alloggio che spesso decurtano gli stipendi in maniera determinante. Il trasferimento andrebbe fatto, dunque, a parità di potere d’acquisto, ossia facendo in modo che lo stipendio non si disperda per provvedere al vitto e all’alloggio. Ma laddove ciò non avviene è comprensibile che un lavoratore, prima di partire, si faccia i conti i tasca, soprattutto se ha una famiglia da mantenere. Che senso ha lavorare se non si riesce a mettere da parte nulla? Il problema è così sentito che sembra volervi far fronte una ditta della provincia di Treviso, la Star Elettrodomestici che offre 2,5 milioni netti senza straordinari per, saldatori, piegatori dell’acciaio, lucidatori, operai specializzati. Già, operai specializzati, altro problema. Non si trova personale specializzato ma, poiché si rischia di compromettere la produzione, si cerca una risposta nella formazione interna. Alla Motovario di Formigine, nel modenese, dove si producono apparati specifici che servono a far funzionare rulli trasportatori, scale mobili ecc., a marzo partirà un corso organizzato dalla stessa azienda per formare i futuri operai direttamente in fabbrica. Alcune aziende, dunque, si organizzano, ma il paradosso rimane. Riassumendo, le aziende hanno diritto di recepire personale specializzato che a quanto pare scarseggia (viene da chiedersi se esista o no un collegamento tra gli enti preposti alla formazione professionale e le aziende). I lavoratori che emigrano hanno diritto a condizioni logistico-economiche adeguate, il più delle volte assenti. I cosiddetti disoccupati “intellettuali” difficilmente possono contribuire a colmare il gap tra non lavoro al Sud e lavoro al Nord. Domanda e offerta quindi non si incontrano. La parola agli economisti e, soprattutto, ai politici. Lucia G. Binetti
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