Recupero Password
Emigranti ed e-migranti
04 gennaio 2013

Buon 2013 a tutti! Il 2012 appena passato è stato il nostro annus horribilis?
Non lo sappiamo ancora, solo perché conosciamo quel che abbiamo alle spalle, ma il futuro, immediato e remoto, sono ignoti e, nella situazione attuale, poco prevedibili. Ipotesi non tanto azzardate vedono altre turbolenze, anche se “in fondo al tunnel si intravede la luce” – è uno slogan che viene spesso ripetuto per dire timidamente che forse qualcosa sta cambiando, in meglio, si spera.
Abbiamo parlato di annus horribilis, a causa anche di quanto ci è costato economicamente – almeno ai cittadini così detti fedeli allo Stato (quelli che le tasse le pagano sempre e comunque) – in termini di erosione del “portafoglio” disponibile. Il risparmio delle famiglie, voce importante nell’economia nazionale, subisce continue riduzioni: siamo costretti ad attingere al risparmio per far fronte ad alcune delle scadenze sempre più onerose.
Il risultato spicciolo di queste situazioni, si può condensare nel concetto ormai accettato quasi da tutti: i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri! Può apparire una semplificazione rozza, ma sembra sia così: sembra sia scomparsa la famosa “middle class”. La classe intermedia, la borghesia che, seppur non ricca, aveva una posizione sociale, economica soddisfacente per le esigenze della vita corrente: il polmone verde dell’economia di una Nazione.
 
Nelle cronache leggiamo spesso di personalità (in genere persone che hanno rendite autonome medio-alte, se non ricche) che, ritenendo ingiuste o troppo onerose le imposte e le tasse che il loro stato di benestanti induce, addirittura lasciano la loro Patria per trovare domicilio non solo fiscale, in Paesi dove il carico fiscale è meno oneroso, ovvero dove le agevolazioni sono più vantaggiose. E’ un fenomeno – che a tutti gli effetti, si può etichettare come e-migrazione, con le dovute proporzioni – che nulla ha a che vedere con l’immagine che abbiamo storicamente dell’emigrante.
I nostri Padri, i nostri Nonni nei primi decenni del secolo scorso, lasciavano famiglia, affetti, Patria per avventurarsi in Paesi lontani (U.S.A., Argentina, Venezuela, Australia e, persino, nazioni europee come la Svizzera, la Germania – del dopoguerra – il Belgio) in cerca delle opportunità che in Italia erano loro negate. In certi casi erano accolti con diffidenza, se non con ostilità. Alcuni, molti, non solo hanno fatto fortuna, a volte anche in modo illecito, ma sono tornati dopo anni di sacrifici, ricchi ed opulenti, con una gran voglia di ostentare e giustamente la propria ricchezza conquistata.
Il fenomeno emigratorio ha, senza dubbio, apportato benefici notevoli anche all’economia globale della Nazione: il reddito da rimesse degli Emigranti ha costituito per lungo tempo un’importante voce nel bilancio dello Stato. Il “costo” pagato dagli Emigrati è stato in certi casi molto pesante, anche in termini di tragedie immani. Come dimenticare la disgrazia delle miniere di Marcinelle (Belgio): 1956, oltre cento vittime di nazionalità italiana, eufemisticamente definiti dispersi, perché sepolti dal crollo delle gallerie minerarie; di Monongah (Md U.S.A.): 1907, oltre trecento vittime di nazionalità italiana; Dawson (NM U.S.A.) 1913, oltre 140 vittime di nazionalità italiana.
 
Oggi assistiamo ad un altro tipo di migrazione: quella dal “Sud del mondo”. Quella che costringe moltitudini di disperati, diseredati, poveri, prima ad indebitarsi con individui senza scrupoli, per procurarsi le risorse per il costo del “passaggio” e poi, sempre spinti dal miraggio che in qualche modo spingeva anche i nostri genitori: quello di migliorare la propria condizione, ad affrontare il “nuovo” mondo, dove sono quasi sempre …accolti con riluttanza, se non ostilità.
 
Ma tornando alla nuova moda di e-migrare per sottrarsi alla mannaia di un fisco ritenuto a ragione in alcuni casi troppo rapace, ci viene spontaneo rilevare la simmetria ma di segno opposto fra l’emigrazione per trovare fortuna e cambiare il proprio stato e l’e-migrazione per …conservare, il più possibile, la propria “fortuna” e non cambiare il proprio stato.
 
Possono essere considerati due fenomeni uguali e contrari, in tutto e per tutto.
Infatti se abbiamo detto che l’emigrazione dei primi decenni del secolo scorso, pur con il suo carico di rimpianto, dolore per la separazione, incognita per un futuro in una Terra “aliena”, aveva come obiettivo quello di trovare quanto non era disponibile in Patria. Apportava, ha apportato benefici concreti, ha arricchito – in certi casi – famiglie che altrimenti sarebbero vissute in condizioni di indigenza; ha, in qualche modo, fatto ricadere alcuni di tali benefici anche sulla Comunità.
 
L’attuale trend invece sortisce un effetto uguale ma contrario: sottrae ricchezza alla Nazione di origine (l’e-migrante che deposita, per carità, lecitamente il proprio patrimonio all’estero, ovvero lo impiega in parte o totalmente per acquistare beni immobili, o fare investimenti) perché sottrae ricchezza allo Stato, quindi di fatto genera un danno che sopportiamo tutti.
 
La conclusione della riflessione può forse cristallizzarsi in un’esigenza di più equa redistribuzione degli impegni dei Cittadini verso lo Stato sempre, non possiamo mai sottacerlo, nella logica semplicissima di contribuire tutti al bene comune, ponendo a disposizione quanto si ha, secondo le proprie possibilità. Non è bello che lo Stato esageri con le imposizioni fiscali, invocando la necessità di ripianare bilanci dissetati da scelte scellerate. Tanto quanto è poco dignitoso sottrarsi a certi obblighi agendo come i nuovi e-migranti.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Tommaso Gaudio
Nominativo
Email
Messaggio
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Nobiltà - clero - terzo stato! Molti si chiederanno come avverrà tutto questo? Con i governi forti, è la risposta. L'autoritarismo non è il totalitarismo: i governanti autoritari non sopportano un'opposizione attiva, ma finchè una persona non attacca i poteri costituiti, la lasciano in pace. I cittadini rispettosi della legge che pensano solo ai propri affari e per il resto conducono una vita privata inoffensiva non hanno nulla da temere dai loro leader. Quella mobilitazione permanente e totale da parte dello Stato che caratterizza i regimi totalitari qui non compare, anche perché, tra l'altro, sarebbe incompatibile con un'economia di successo. Ma coloro che criticano l'insindacabilità del potere del governo, coloro che fanno tesoro della libertà di parola per denunciare il nepotismo, coloro che in occasione delle elezioni osano proporre candidati alternativi vanno incontro a un mare di guai. I margini della libertà civica sono estremamente ridotti. Sviluppo economico nella libertà politica ma senza coesione sociale, oppure sviluppo economico e coesione sociale privi di libertà politica: è questa l'alternativa che le società moderne si trovano ad affrontare? Il modello asiatico piace a moltissimi uomini d'affari e i politici conservatori cercano di seguirlo. I valori asiatici, e l'autoritarismo politico che ne discende, sono diventati la nuova tentazione. Abbandoniamo il modello americano, suggerisce la nouvelle vague politica, “e chiediamo all'Asia un nuovo modello di come il progresso economico possa combinarsi con la stabilità sociale e con i valori della conservazione”.
Red Devil, con poche parole, ha sintetizzato benissimo lo scenario che si viene creando! Ho seguito, in parte, l'inchiesta sulla rete RAI3. Sconvolgente! Non trovo altri termini per descrivere le situazioni descritte. Red Devil parla di "NOBILTA'"; beh la nostra "nobiltà" può essere assimilata alla lobby dei vari Parlamenti (centrale e locale) e di qulla galassia più o meno palese che ruota, per proprio interesse, intorno a questi; Il Clero: quello si che esiste, è esistito ed esisterà e condizionerà sempre, a seconda delle convenienze, questo o quel modello; traendone benefici che, è onesto riconoscerlo, riversa in parte anche su chi ne ha bisogno. Dicendo questo, intendo dire che quando NON condividerà un determinato modello, allora lo "tollererà" più o meno in silenzio; fin quando la cosa non sarà così degenrata che non sarà più possibile ...ignorarla. Il Terzo Stato: vogliamo chiamare così gli "esodati"?, i giovani e meno giovani in cerca di occupazione che condnsenta loro di farsi un futuro? I "cassintegrati" che NON vedono un futuro? Le famiglie che non riescono più a far fronte agli impegni? I "separati", per alcuni dei quali, vivere disnitosamente, a causa degli obblighi deririvanti dalla separazione, diventa impossibile: devono chiedere aiuto alla CARITA' di pochi Enti benemeriti? gli "immigrati" che per le più diverse ragioni non si sono inseriti nel tessuto sociale? Le categorie sotto cui far confluire il famoso "Terzo Stato" sono tantissime. Si capirà, CAPIREMO alla fine che bisogna fare qualcosa?

L'individualismo ha trasformato non solo la società civile, ma anche i conflitti sociali. Anche quando molte persone soffrono per lo stesso destino, non c'è nessuna spiegazione unificata e unificante alle loro sofferenze, nessun nemico suscettibile di essere combattuto e costretto ad arrendersi. Ma la cosa più importante, e anche più grave, è che le persone realmente svantaggiate e quelle che temono di scivolare nella loro condizione non rappresentano una nuova forza produttiva, nemmeno una forza con cui oggi si debbano fare i conti. I ricchi possono diventare più ricchi senza di loro; i governi possono essere rieletti anche senza i loro voti; e il prodotto nazionale lordo può continuare ad aumentare indefinitamente. Non è vero che i conflitti individualizzati siano più facili da affrontare (da regolare) delle lotte con classi organizzate o di altre battaglie; è vero, anzi, il contrario. Essi dimostrano che la gente non ha nessun senso di appartenenza, nessun senso di un impegno sociale e quindi nessuna ragione per rispettare la legge o i valori che l'hanno ispirata. Se sei disoccupato perché non fumare marijuana, partecipare ai droga-party e andarsene in giro con automobili rubate? Perché non rapinare vecchie signore, battersi con bande rivali e, se necessario ammazzare qualcuno? L'espressione “legge e ordine” copre una moltitudine di peccati e non sembra facile attribuirle una base concreta. Persone più mo meno giovani (tra cui anche donne, di età via via più bassa) non vedono nessuna ragione per continuare ad attenersi alle presunte regole generali del gruppo di cui fanno parte: preferiscono dissociarsi da una società che le ha già confinate ai margini e per la quale esse diventano una minaccia. Coloro che se lo possono permettere pagano la propria protezione. I servizi di sicurezza (per quanto mal remunerati e quindi esposti a tentazioni) stanno conoscendo una crescita che non ha l'eguale in nessuna attività professionale. Coloro che non possono permettersi una protezione diventano vittime. La sensazione che si va diffondendo è quella che stia venendo meno ogni certezza: di qui senso di anomia, tramonto di ogni regola, e profonda insicurezza.
Nel suo momento migliore il Primo Mondo non era un posto poi tanto brutto in cui vivere e prosperare. C'era mai stato qualcuno che l'avesse chiamato “Primo Mondo”? Oppure quell'ordine doveva servire solo a distinguerlo dall'innominabile “Secondo Mondo” dell'oppressione comunista, ormai quasi scomparso, nonché del “terzo Mondo” (e magari tra un po' anche dal quarto) della miseria, della malattia e della prostrazione? Qualunque ragione ci sia dietro il suo nome, guardiamoci bene dal liquidarlo troppo disinvoltamente. Nel suo momento migliore esso combinava insieme tre aspetti positivi dal punto di vista sociale: - era fatto di economie che non si limitavano a offrire una vita decente a molti, ma sembravano fatte apposta per crescere e dischiudere opportunità anche a coloro che non erano ancora arrivati alla prosperità; - constava di società che avevano compiuto il passo dallo status al contratto, da un'inerte dipendenza a un individualismo combattivo, senza distruggere le comunità in cui le persone vivevano; - praticava programmi politici che combinavano il rispetto dello stato di diritto con quei rischi della partecipazione politica, con quell'alternanza fra liquidazione e scelta dei governi, che abbiamo imparato a chiamare “democrazia”. Viene voglia di chiedersi quando e dove siano esistiti paesi così ricchi, civili e illuminati. Questo Primo Mondo, nella stagione del suo apice aveva una pecca: tutti i suoi membri escludevano altri dai benefici delle loro conquiste e perfino delle loro opportunità. Ci sono voluti decenni di lotte intestine – lotte di classe – per affermare l'uguaglianza fondamentale di tutti gli esseri umani nella società. E ci sono volute anche due guerre moderne: per quanto sia terribile a dirsi, non esiste un fattore di livellamento sociale più efficace di una guerra moderna che coinvolga l'intera popolazione. Non è un caso che la seconda guerra mondiale sia stata chiamata “guerra totale”. Fino a quando alcuni paesi sono poveri e, ciò che conta ancora di più, condannati a restare tali, perché vivono del tutto al di fuori del mercato mondiale, la prosperità resta un vantaggio ingiusto. Fino a quando ci sono individui che non hanno diritto di partecipazione sociale e politica, i diritti dei pochi che ne fruiscono non possono considerarsi legittimi. Questo è un giudizio morale, ma non solo: a tale riguardo è eloquente il caso dell'immigrazione. In via di principio è inaccettabile che dei paesi civili ostacolino il libero movimento delle persone. Le umilianti esperienze delle persone in cerca di asilo in molti paesi del Primo Mondo sono altrettanti atti d'accusa in contrasto con le loro pretese civili; tuttavia il problema non è di quelli che si prestino a soluzioni semplici.


Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet