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Donna e politica alla Fiera del Levante: anche Molfetta non è un Paese per donne
15 ottobre 2011

Molfetta approda alla Fiera del Levante, non per i suoi meriti, ma per le discutibili scelte politiche e amministrative dell’amministrazione del sindaco senatore Antonio Azzollini. Molfetta «È un paese per donne?». Questo il titolo della conferenza di presentazione alla Fiera del Levante del rapporto ombra, redatto dalla dott.ssa Claudia Signoretti della Pangea Onlus e dall’avv. Barbara Spinalli del Foro di Bologna, alla CEDAW (Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le donne), trattato internazionale approvato nel 2009 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e sottoscritto da 186 Stati, tra cui anche l’Italia. Composto da 30 articoli, ha come fi nalità l’eliminazione di tutte le discriminazioni di natura sessista ancora presenti in diverse parti del mondo. Uno degli obblighi che i paesi aderenti alla CEDAW devono rispettare è stilare, ogni 4 anni, un rapporto uffi ciale che illustri alle Nazioni Unite la condizione dalla donna nel Paese. Il rapporto ombra redatto dall’avv. Spinelli e dalla dott.ssa Signoretti è la relazione parallela a quello uffi ciale presentato quest’anno dal Governo italiano. Alla luce di quanto emerge dalla lettura del rapporto ombra e dalle considerazioni delle esperte, la situazione nel nostro Paese non è confortante e, a livello locale, la città di Molfetta non rappresenta la cosiddetta eccezione che conferma la regola. Nel dibattito è stata sottolineata con rammarico la scarsa applicazione dell’art. 51 della Costituzione che sancisce come «tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffi ci pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». Però, in Italia si registra una bassissima percentuale di partecipazione femminile alla politica attiva. Come non ricordare, a questo proposito, la questione delle “quote rosa” a Molfetta quando nel 2008 il sindaco senatore Azzollini nominò una Giunta comunale tutta al maschile? In quell’occasione, era stato violato l’art. 37 dello Statuto Comunale secondo cui «il sindaco, nella formazione della Giunta, assicura la presenza dei due sessi». Era stato, allora, presentato ricorso da alcuni esponenti dell’opposizione e, soprattutto, dalla Consulta regionale femminile. Tra le attiviste più convinte, Serenella Molendini, consigliera per le Pari Opportunità per la Puglia, e l’avv. Francesca La Forgia, entrambe presenti alla conferenza. La faccenda si risolse con una soluzione di ripiego: la nomina di un solo assessore donna, Anna Maria Brattoli (classifi cata al 19° posto nella lista del Pdl per le amministrative 2008), che aff ermò di essere solidale con il sindaco e che «le donne non votano le donne e che dovrebbero impegnarsi di più». L’unico assessore donna del Comune di Molfetta lasciò l’amletico dubbio se, a suo avviso, ad impegnarsi di più dovrebbero essere le elettrici o le donne che secondo lei esercitano attivamente i propri diritti politici. In ogni caso, questo non sembra essere un discorso che la sola rappresentante delle cittadine molfettesi dovrebbe fare. Molfetta è solo uno dei tanti esempi. Infatti, cadono sotto la scure della mancata applicazione del diritto di rappresentanza femminile anche le amministrazioni locali di Bitritto, Adelfi a, Oria, Bisceglie. E non è da meno nemmeno Bari. Il problema è più insidioso e complicato di quello che sembra perché, come ha fatto notare l’avv. Valeria Pellegrino, l’Italia, almeno sotto il profi lo formale, può essere considerato “un paese per donne”. Possediamo strumenti giuridici fortissimi, l’art. 51 della Costituzione e l’art. 6 del TUELL, per cui «gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna […] e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti». Nel concreto la realtà è ben diversa, perché ogni giorno si realizza una sorta di sistematica violazione dei diritti delle donne. Violazione perpetrata «sistematicamente e sfacciatamente», come sostiene la stessa Pellegrino, dai vertici di organismi politici che disattendono ai principi di pari opportunità, convocando spesso giunte prevalentemente maschili, escludendo senza fare troppi complimenti le donne, come successo a Molfetta. Si tratta di veri e propri abusi cui la legge cerca di rispondere con strumenti spesso limitati e fallaci. Anche le celeberrime “quote rosa” non si rivelano alla fi ne che uno strumento ineffi cace, soprattutto se si pensa che sono previste sanzioni di carattere pecuniario per quei partiti che non rispettano i diritti di rappresentanza femminile. Infatti, sarebbe molto diverso se quelle giunte interamente maschili fossero sciolte: forse, solo allora, le amministrazioni si tingerebbero con un po’ di rosa in più. Inoltre, le donne possono anche avvalersi, almeno sulla carta, d’istituti di parità che di solito non sono trattati con la minima serietà da parte del mondo politico maschile che continua imperterrito a considerarli niente più che «giochi di società», come ha spiegato la dott.ssa Magda Terrevoli, presidente della Commissione regionale per le Pari Opportunità. Quello che sarebbe più indicato, invece, è un intervento strutturale che colpisca le coscienze critiche dei cittadini e smuova dalle fondamenta la cultura prevalentemente sessista radicata nel paese, nella quale serpeggiano antichi pregiudizi di natura patriarcale. Questi sono solo principi e, come ha sottolineato l’avv. Anna Losurdo, presidente della Commissione per le Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bari: «con il principio non si va da nessuna parte». Di conseguenza, per quanto gli strumenti a disposizione delle donne possano essere limitati e spesso contraddittori, rimangono pur sempre gli unici esistenti. Per portare avanti una “battaglia rosa” bisognerebbe forse orientarsi verso interventi popolari che partano dal basso, evitando al tempo stesso di trasformare istanze necessarie alla crescita culturale e sociale del paese in pubblicità per questo o quel partito politico. Insomma, per cambiare devono essere le donne le prime a sensibilizzarsi sull’argomento. Per quanto ancora le donne lasceranno che abusino dalla loro pazienza?

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