Don Tonino un contemplattivo
xOra che la Congregazione delle Cause dei Santi ha dato l'ok per l'avvio della procedura di beatificazione di don Tonino Bello, occorre chiedersi quali siano le “virtù eroiche” che lo porteranno agli onori degli altari e come egli le abbia manifestate. Per la Chiesa, la santità significa soprattutto questo: virtù testimoniate in sommo grado. Nel caso di don Tonino, credo coincidano con quelle teologali: fede, speranza e carità. Manifestate nel quotidiano. Direi quasi in modo “carnale”. Dove l'ascesi coincide con la ricerca del Signore nel volto dell'altro. Fede. Don Tonino si è innamorato di Gesù Cristo: una persona. Ha avuto gli occhi costantemente puntati su di Lui. Ha detto di Gesù le stesse cose che un uomo direbbe della propria donna: «Mi sono innamorato di Gesù Cristo come fa chi ama perdutamente una persona e imposta tutto il suo impegno umano e professionale su di lei; attorno a lei raccorda le scelte della sua vita, rettifica i progetti, coltiva gli interessi, adatta i gusti, corregge i difetti, modifica il suo carattere in funzione della sintonia con lei. Quando parlo di innamoramento di Gesù Cristo, voglio dire questo: un investimento totale della nostra vita. Innamorarsi di Gesù Cristo vuol dire: conoscenza profonda di Lui, dimestichezza con Lui, frequenza diuturna nella sua casa, assimilazione al suo pensiero, accoglimento senza sconti delle esigenze più radicali e più coinvolgenti del Vangelo. Vuol dire ricentrare davvero la vita intorno al Signore Gesù». Più chiaro di così… Speranza. Di ritorno da Sarajevo mi ha detto: «Come attendo la pace in questo tempo di diluvio! Come attendo l'iride nel cielo, l'arcobaleno della convivialità! Ma si fa presto a stampare l'intera tavolozza dei colori sulla tela delle parole; più difficile è dipingere i valori nel quotidiano, nel rapporto interpersonale. Per questo sono andato a Sarajevo. È lì che, oggi, si può fare la pace. È lì che rinasce la speranza. Nell'incontro disarmato con chi fa la guerra. L'annuncio del Risorto è: «Io sono la pace». Lui è la pace e la speranza: una persona venuta a portarla». Carità. Ha fatto la stessa carriera di Dio: «Da ricco che era, si è fatto povero», fino ad amare i poveri «con viscere di misericordia». Si è industriato a promuovere le «pietre di scarto» al rango di «testate d'angolo»: delle persone. Ha offerto un'ala di riserva a chi rischiava di rimanere impigliato nei rovi delle nuove e vecchie povertà. Conferitogli l'episcopato, ha assunto costantemente la cronaca come luogo e tempo di svolgimento della storia della salvezza. Si è messo il grembiule del servizio e ha indicato una Chiesa estroversa, attenta e aperta al mondo, senza primati e privilegi, propensa a farsi dare del “tu” in modo fraterno e solidale. La Chiesa della minorità, in linea con la radice spirituale francescana alla quale si è alimentato fin dall'adolescenza. La malattia e la sofferenza hanno fatto il resto, offrendogli il passaporto per il Regno. Ma già da giovane annotava nel suo diario: «Io volevo diventare santo. Cullavo l'idea di passare l'esistenza tra i poveri, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando il Vangelo senza sconti e testimoniando coraggiosamente il Signore Risorto». L'ha fatto. A me pare che il suo “programma di vita” l'abbia attuato. Che don Tonino abbia inverato con la propria esistenza una prospettiva difficile e ardita perché giocata contemporaneamente su due piani: il divino e l'umano. La credibilità della sua testimonianza riposa su questa coerenza di fondo e sulla capacità di incarnare i valori che elevano al modo di chi intende realisticamente conseguirli nel rapporto interpersonale. È il modo dei “contemplattivi”. Un sentiero oggettivamente “minore” e speciale ma attuale e attuato, credibile e creduto, di vivere il cristianesimo danzandolo sul pentagramma moderno della santità: senza iato tra il dire e il fare.