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Don Tonino, servo di Cristo
15 febbraio 2011

Essere servo di Cristo, la matrice cristologica da cui parte l’esperienza pastorale, episcopale e di santità di Mons. Antonio Bello. «Don Tonino si è posto alla sequela di Cristo, suo unico riferimento, da cui scaturiscono la sua parola profetica e il suo impegno pastorale», ha esordito Mons. prof. Domenico Amato, vice postulatore della causa di beatifi cazione di Mons. Bello, nella conferenza «Don Tonino Bello alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi », tenutasi nella chiesa di Santo Stefano e patrocinata dall’Arciconfraternita di Santo Stefano. «L’aver seguito il Vangelo fonda e manifesta la santità di don Tonino, che non è solo un grande uomo che si è battuto per grandi ideali», ha sottolineato Mons. Amato, ricordando anche le parole di Mons. Luigi Martella, vescovo della diocesi Molfetta-Ruvo- Giovinazzo-Terlizzi, nel decennale dalla morte di don Tonino: Mons. Bello si distingue per quella «libertà di spirito» la cui «profondità evangelica ha come riferimento Cristo». Lo stesso don Tonino in diverse occasioni ha manifestato il riferimento alla matrice cristologica, impostata sul modello trinitario: Trinità e incarnazione-passione-resurrezione. Un impianto teologico che emerge in omelie, discorsi e scritti, con un linguaggio diretto, rigoroso e preciso. Il modello trinitario: incarnazione e povertà. «Dobbiamo cogliere Gesù Cristo come paradigma del nostro rapporto con l’altro», l’invito di don Tonino, che riprende il passo 20 della «Gaudium et Spes», spesso citato da Papa Giovanni Paolo II. L’uomo deve spendersi per l’altro come Gesù Cristo, icona della prossimità, è morto per l’umanità: «don Tonino viveva il mistero della liturgia in modo profondo, in comunione continua con l’eucarestia - ha continuato Mons. Amato - per una vita che parte dall’eucarestia e a quella ritorna». La comunione con l’Eucarestia si esprimeva nella contemplazione del mistero dell’incarnazione, «non estraneazione ma attenzione alla realtà in cui cogliere la presenza divina», ha aggiunto Mons. Amato, a tal punto che don Tonino «meditava e pregava di fronte al presepe»: un contemplativo, dunque, che comunica non per uno sforzo d’immaginazione, bensì dall’esperienza di meditazione. Mons. Amato ha ricordato la rifl essione di don Tonino in occasione di una lectio divina natalizia. Il mistero del Natale si coglie nel presepe, archetipo popolare per comunicare il messaggio dell’incarnazione: è necessario «compiere un cammino a ritroso, rileggere le tappe della civiltà per ritrovare le origini del cristianesimo nella grotta di Betlemme». Povertà e incarnazione i segni della «debolezza di Dio» nel presepe, rivelava don Tonino, un Dio che «ha spiazzato tutti, manifestandosi nella non forza, non potenza e non violenza»: su questa profondità teologica si innesta la rifl essione sulla povertà. «Una povertà che non è solo atto della volontà, ma sequela di Cristo», ha ribadito Mons. Amato, ricordando le omelie sulla lavanda dei piedi, «da cui don Tonino traeva non solo la nozione di servizio da rendere agli altri, ma anche le immagini della chiesa del grembiule e della stola, dunque servizio e contemplazione ». La povertà è un «percorso che s’impara», è annuncio del regno di Dio: «don Tonino invitava a andare oltre la contingenza, a usare in modo corretto e non egoistico i beni materiali», ha spiegato Mons. Amato. Perciò povertà è rinuncia «che non va ostentata, che non è disprezzo delle cose ma distacco, libertà dai beni per servire con gioia Cristo e concretizzare meglio il messaggio evangelico»: ma anche denuncia di ingiustizie, egoismi e arrivismo. «Guardando al guardaroba di don Tonino, dopo la sua morte - ha raccontato - abbiamo capito la sua ricchezza, lui che ha vissuto dell’essenziale». Passione e resurrezione. Povertà come svuotamento di sé: è l’esperienza della Quaresima che aff ascina don Tonino come momento che spinge l’uomo verso Dio e avvicina Dio all’uomo. L’esperienza della nullità (il deserto spoglia l’uomo del suo abito sociale, mostrando la sua vera essenza), dell’alleanza (le lacerazioni della società contemporanea osteggiano il messaggio della Quaresima) e della trascendenza (purifi cazione dall’idolatria), per superare la brama di potere e ricchezza e la malia della superstizione. «Ricordare la fase acuta della malattia di don Tonino - il ricordo di Mons. Amato - permette di cogliere il suo radicale immedesimarsi nella soff erenza del Cristo, quel salire con lui sulla croce». Predicava gioia e resurrezione, «attingeva quella forza dal cammino che aveva compiuto alla sequela di Cristo - ha continuato - era la tomba del Cristo vivente, proprio come il povero». Servizio e contemplazione non devono essere mai disgiunti: «aiutare gli altri, annunciando non noi stessi, ma Cristo, assoluto cui deve tendere la Chiesa - la chiosa di Mons. Amato - dobbiamo essere come don Tonino, come il Risorto, le cui mani e piedi bucati sono il simbolo della donazione agli altri e della verità del Vangelo».

Autore: Marcello la Forgia
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