Don Tonino: “I giovani? Basta lasciarli invecchiare”
“Il messaggio dirompente di un vescovo che la memoria popolare considera già santo” Gianni Di Santo Non si è ancora spenta l’eco della venuta di Papa Francesco a Molfetta il 25 aprile scorso, ricorrendo 25 anni dalla morte di don Tonino Bello, per onorare la sua memoria che, a distanza di circa due mesi, tale attesa si rinnova per domenica 8 luglio in cui il Papa tornerà in terra di Puglia, a Bari, per una preghiera ecumenica rivolta verso l’Oriente. Il messaggio di pace di don Tonino è sempre con noi, tanto che io mi sento in dovere di far conoscere una dotta dissertazione sui giovani pronunciata dal nostro venerato Vescovo nel lontano 8 ottobre 1984, nella Sala dei Templari, su richiesta della sezione Fidapa, operante in città, sul tema: “I giovani tra presente e futuro” che mi è sembrata, a distanza di tanti anni, di stringente attualità e profondità, con la veemenza della sua parola, su cui conviene tornare ancora a riflettere oggi. Allora io ne presi nota fedelmente, ma ritengo che non sia stata mai pubblicata e la ripresento ora affinché, sollecitando il risveglio delle coscienze, sia di monito e di speranza per tutti I GIOVANI TRA PRESENTE E FUTURO Su invito della locale sezione della Fidapa il nostro Vescovo, mons. Antonio Bello ha inaugurato l’anno sociale dell’associazione femminile con una dota conversazione su un argomento di grande interesse per il futuro della nostra società: “I giovani tra presente e futuro”, tenutasi l’8 ottobre 1984 nella Sala dei Templari, con grande concorso di cittadini, di giovani in particolare. Angustiato dai recenti deprecabili fatti avvenuti nella nostra città don Tonino ha voluto trattare l’argomento indicato per farne una fredda analisi, non dissociata però da una nota di speranza. Da buon scolastico Egli ha disegnato nella prima parte l’Areopago del mondo giovanile secondo alcune linee di definizione del quadro generale; nella seconda parte ha cercato di delineare quali sono i segni di speranza che si affacciano nel futuro dei giovani in un mondo caratterizzato da vari sistemi di significato. Iniziando l’analisi dell’attuale situazione esistenziale, il Vescovo ha precisato che le categorie d’interpretazione del passato non servono più, cosicché non è possibile tracciare nell’insieme un quadro globale. Il pianeta giovani è caratterizzato dalla crisi di un’epoca che si annunciava “nuova” attraverso e dopo le esperienze della Resistenza, della Costituzione, della Nuova Frontiera; attraverso l’appassionata testimonianza del tormentato pontificato di Paolo VI, dei movimenti femministi, del partito radicale. Le speranze non realizzatesi si sono risolte nella mancanza di impeto nei luoghi partecipativi della società. Abitanti di una terra senza orizzonti, senza utopie, sussistono solo il calcolo, il tornaconto in una oscura crisi delle coordinate concettuali di valore. Alle magnifiche “sorti” del progresso nessuno crede più: prevale un catastrofismo” che si rifà ai “nuovi filosofi” (Lèvi Strauss) nel dileggio delle opere e dei giorni cantati dai poeti classici, nel rifiuto dell’ottimismo. Di contro all’evoluzione non verificatasi si è avuta un’implosione distruttiva del senso della vita in uno scialo di morte: su questo pensiero negativo nessuna redenzione storica è possibile. E’ un malessere che brucia le viscere stesse della città, anche della nostra città. Di qui l’emergere delle nuove verità; il fenomeno della droga che è come la punta di un iceberg, il sesso, la pigrizia, il calo della militanza negli spazi tradizionali, il rifugio nel privato, Il rizoma, pianta senza radice e senza fusto, un non albero è il simbolo di questo non essere, nel rifiuto del soprannaturale in quanto rifiuto di ogni radice. Assistiamo allo stesso spodestamento della parola: nella storia del mondo non c’è un “andare verso” ma un precipitare verso. Nell’amnesia culturale non c’è un sapere che merita di essere ricordato, non ci sono più grandi enciclopedici ma solo frammenti. In questo asfittico clima culturale i giovani rimandano le loro decisioni, il progetto fa loro paura, procrastinano le loro decisioni. Dall’altro lato c’è crisi del concetto di Dio si nota una tranquilla insignificanza del problema di Dio; Dioniso prende il sopravvento sul Dio Crocifisso. Dioniso, simbolo animalesco e divino, è gioco e violenza, impone la maschera e l’ubriachezza, fa perdere l’identità. Il credente arriva pure a lottare con Dio, invece nei giovani c’è la rimozione di Dio, forse anche per la latitanza di coloro che si dicono credenti. Non c’è più spazio per la trascendenza. E così cresce una società caratterizzata dalla progettualità, in cui non si va mai al di là dell’oggi e del domani, nella crisi degli orizzonti complessivi e in una religiosità, quando c’è, di corto respiro. Ma chiediamoci, ha continuato il Vescovo: quanto resta del giorno? Papa Giovanni XXIII diceva: “De homine hangamur. “Siamo angosciati per l’uomo, cosi traduce don Tonino. Restiamo in attesa con animo vigile perché si possono cogliere dei segni di speranza. Ci sono ancora dei sistemi di significato forti, per i giovani, un quadro di valori che si costruisce lentamente con materiale afferente: idee, valori, norme, secondo certi nuclei di aggregazione. Prevalgono nel mondo soggettivo dei giovani il bisogno di felicità, musica, gioco, contemplazione, poesia. La PACE è il respiro sociale del bisogno di felicità, tema religioso e umano da portare a maturazione e per il quale è necessario delineare le linee operative. Per questo bisogna “lavorare sulla soglia”, stimolare le capacità critiche in particolare nei giovani, suscitare domande di senso, mettere spessore di futuro a tutto proiettandosi in spazi lontani. E’ necessario aprire gli occhi una volta per tutte sul pericolo cibernetico, ideologico nel senso dello stretto interesse aziendale, nominare i valori senza paura, attuare la rivoluzione della vita quotidiana. Al di là delle rivoluzioni economiche e politiche c’è un primum, protestare contro le nostre ipocrisie, dando il nostro consenso alle cose umili e pulite, liberandoci dall’elefantiasi dei bisogni. Noi non sentiamo più l’armonia della vita passando il tempo a tendere e allentare. Rimane un’agonia di desiderio e il tempo passa. Dopo aver ricordato versi e pensieri di grandi poeti e pensatori moderni, Brecht, Tagore, Severino, il nostro Vescovo riferisce con amara ironia una frase di Benedetto Croce che nessuno di noi può condividere amara e contraria al suo desiderio di contribuire a migliorare le sorti degli altri e dei giovani in particolare: “Per risolvere il problema dei giovani basta lasciarli invecchiare”. Si perderebbe la speranza nell’alba del domani, dopo la notte buia. Attraverso la sua appassionata dissertazione mons. Antonio Bello, seguito da ascoltatori interessati, ha rivelato la sua amarezza di uomo e di pastore, insieme alla forza del suo pensiero e alla speranza cristiana. Che il suo messaggio venga recepito da tutti, uomini di cultura e di buona volontà! © Riproduzione riservata